giovedì, Novembre 21, 2024
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Attaccano il Ministro Valditara per nascondere lo sfascio della scuola

di Salvatore Sfrecola

A ben vedere coloro che alimentano la polemica contro il Ministro “dell’istruzione e del merito”, Giuseppe Valditara, hanno uno scopo evidente, nascondere il fallimento della scuola ispirata all’ideologia “egualitaristica” che ha sì esteso l’istruzione ma ne ha ridotto il livello, con effetti deleteri sulla preparazione dei nostri ragazzi, a cominciare dalla conoscenza della lingua italiana. Non a caso, infatti, i “sinistri” di casa nostra, che hanno gestito o comunque ispirato la politica scolastica degli ultimi decenni, hanno cominciato ad attaccare il Ministro per aver richiamato il “merito”, voluto a Giorgia Meloni nella nuova denominazione del Ministero, per valorizzare le eccellenze, obiettivo di una scuola che a tutti riconosce le medesime possibilità, tutti stimola e aiuta, ma premia i meritevoli come, del resto, sta scritto in Costituzione.

“Merito”, che Piero Sansonetti, intervenendo a “Quarta Repubblica”, la trasmissione curata da Nicola Porro su Rete4, ha associato a scuola “di classe”. Peccato che, da veterocomunista un po’ patetico, il direttore de Il Riformista non si è accorto che la scuola, che a lui evidentemente piace, prodotta dalla politica “progressista”, è divenuta una “macchina della disuguaglianza”, come si legge nel titolo del bel libro di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi “Il danno scolastico”.

Sansonetti, infatti, finge di non sapere che in Costituzione, all’articolo 34, premesso che “la scuola è aperta a tutti” (comma 1), in attuazione del principio di eguaglianza formale, è poi previsto (comma 2) che “i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.

Ha spiegato, in proposito, la Corte costituzionale fin dal 1993, con la sentenza n. 274, che è insita nella previsione costituzionale la consapevolezza che l’impegno profuso dalle istituzioni verso i capaci e i meritevoli non possa prescindere da una attenta valutazione del merito scolastico, perché la Costituzione “riconosce il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi ai “capaci e meritevoli”, la cui valutazione, come si ricava anche dai lavori preparatori della Costituzione, implica un riscontro relativamente al ‘profitto’”.

Nel paventare una scuola “di classe” Sansonetti evidentemente propende per quell’egualitarismo che mortifica i migliori senza stimolare chi ha bisogno di essere aiutato negli studi. Perché “una scuola facile e di bassa qualità allarga il solco fra ceti alti e ceti bassi”. Ignora coloro che non hanno mezzi personali e verosimilmente aiuti familiari. Concepita come ha prodotto la Sinistra negli ultimi decenni, la scuola favorisce implicitamente i figli di famiglie di persone di cultura, che possono sopperire alle carenze didattiche con ausili privati, biblioteche familiari, genitori e parenti che forniscono insegnamenti.

“Abbassare il livello culturale dello studio non è democratico – scrive Paola Mastrocola nel libro richiamato, scritto con Luca Ricolfi – , anzi, è il contrario: è il gesto più antidemocratico e classista! Favorisce i ricchi e i privilegiati, che possono non studiare e, grazie a fenomeni quali le lezioni private a gogò, ce la faranno sempre. Bisogna rendere in grado i “poveri” (gli umili, gli svantaggiati, i ceti meno abbienti) di fare le scuole migliori. Rendere in grado! Un ragazzo non potrà fare il liceo se noi per otto anni (cinque di elementari e tre di medie) non gli abbiamo insegnato quasi niente o, se gli abbiamo insegnato qualcosa, poi non abbiamo anche deciso di esigere e di pretendere che lui le sapesse, quelle cose! Non farà né il liceo né l’università, un ragazzo, se non sa scrivere, se non sa fare un discorso compiuto, se non sa capire il senso (profondo, sfumato, metaforico, ironico…) di quel che legge, e se non sa ripetere con parole sue quel che ha studiato. Siamo stati noi a farne uno svantaggiato, uno che non parte uguale, che non ha le stesse opportunità iniziali. Siamo noi i colpevoli. Noi!

Ma non ho le prove”, concludono Mastrocola e Ricolfi.

In verità abbiamo certamente significativi elementi indiziari, come diciamo noi giuristi. Qualche anno fa ben seicento professori universitari segnalarono al Ministro dell’istruzione che nelle tesi di laurea si trovavano errori “di grammatica” non ammissibili neppure in una terza elementare. Vuol dire che è mancato l’insegnamento lungo l’intero corso degli studi durante i quali nessuno ha spiegato loro che l’uso della lingua italiana non è importante solamente per i letterati, gli avvocati, i filosofi, gli storici. Anche un ingegnere, un fisico o un chimico, all’inizio o nel corso della sua attività professionale, sarà chiamato a presentare le ragioni di un progetto, di un programma, di una ipotesi di lavoro. E, se dovrà essere valutato per come spiega, è evidente che il giudizio sarà graduato in relazione a come si esprime, a voce e per iscritto.

E così, la scuola egualitaria che piace a Sansonetti è diventata classista, non fa da “ascensore sociale”, non è in grado di colmare le disuguaglianze di partenza, non fa che certificare e riprodurre privilegi e differenze.

Da allora l’aggressione continua e alza i toni. Sia che il Ministro manifesti la necessità di migliorare la retribuzione dei docenti inviati ad insegnare in aree del Paese dove più elevato è il costo della vita, sia che rilevi che un “dirigente scolastico” approfitti di una scazzottata tra studenti di diverso orientamento politico, non per condannare (giustamente) le aggressioni, “da qualunque parte provengano”, ma per gettare benzina sul fuoco ed alimentare la polemica fascismo/antifascismo e creare disagio anche al Governo. Ciò che un docente non dovrebbe mai fare, ché destare “scandalo” è contrario alla missione educativa, soprattutto quando si viene a sapere che quel funzionario ha “legittimamente” manifestato pubblica adesione ad un partito politico, oggi all’opposizione, candidandosi in vari contesti. Perché quel partito, con la sua ideologia, è responsabile dello “sfascio” della scuola pubblica, un’espressione alla quale ricorro con piena consapevolezza del degrado degli studi, solo riandando alla mia esperienza familiare, agli studi di mio padre, ai miei, a quelli delle mie figlie ed a quelli che stanno affrontando i miei nipoti che nel marasma dei programmi “inventati” da coloro che i propri figli iscrivono nelle migliori scuole private o all’estero, nonostante la valentia, in questi casi, dei docenti.

Tornando al tema del merito ricordo un dibattito a Porta a Porta, presenti alcuni studenti che rappresentavano vari orientamenti “politico-culturali”, come ha tenuto ad indicare, con molta generosità, Bruno Vespa. Mi ha colpito, in particolare, l’argomentazione di una giovane studentessa, dal ricercato look borghese, che ha accusato la scuola “del merito” di ispirarsi ad obiettivi classisti, accusando il Ministro ed il Governo di voler riportare gli insegnamenti a quelli di cento anni fa. Nessuno dei presenti ha detto a quella giovane, che probabilmente ha ritenuto di aver detto qualche cosa di vero, che cento anni fa gli studi erano molto severi, selettivi e formativi. Quella giovane arrogante e “ignorante”, nel senso che ignora e non ha fatto nulla per apprendere, che mio padre al liceo classico traduceva dal greco al latino e all’università gli fu negata la possibilità di vedersi assegnata una tesi di laurea in diritto romano perché non conosceva il tedesco e pertanto, secondo il titolare della cattedra, non avrebbe potuto consultare parte della dottrina più significativa che si è sviluppata intorno alle pandette. Così mio padre optò per una tesi di storia del diritto italiano che discusse in una seduta di laurea nella quale i componenti della commissione potevano interrogare il laureando su tutte le materie del corso di laurea in giurisprudenza.

Del resto, molti anni dopo, quando mi sono iscritto al ginnasio-liceo “Torquato Tasso” di Roma, siamo partiti in trentanove per arrivare in ventuno. E non eravamo tutti figli di professionisti, con case dotate di biblioteche, assistiti all’occorrenza da parenti colti nelle varie discipline. C’erano anche, come ho ricordato in altre occasioni, colleghi di famiglie modeste. Tutti eravamo seguiti col medesimo impegno da professori che sapevano stimolare la nostra attenzione indicando una lettura utile. Chi non aveva a casa il libro poteva prenderlo in biblioteca. Quella scuola, vorrei far sapere alla nostra giovane “ignorante”, costruita subito dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia, aveva aule immense, luminosissime per i grandi finestroni, disponeva di due straordinarie aule, una per le scienze naturali l’altra per la fisica, dotate di reperti e di strumenti che consentivano di rendere evidenti le cose che si studiavano sui libri. Ma non solamente al liceo la scuola “classista” riservava attenzione ai giovani di famiglie modeste. Fin dalle elementari a questi veniva riservata una particolare attenzione. Ricordo, ad esempio, che alcuni, considerati dalla “vigilatrice scolastica” abbisognevoli di integratori vitaminici, ricevevano i medicinali a scuola. All’epoca andava molto di moda l’olio di fegato di Merluzzo che ad un mio collega veniva dispensato con pilloloni neri, forse più gradevoli di quel liquido maleodorante che mia madre mi imponeva con un abbondante cucchiaio.

Avrei detto ancora a quella giovane che ancora negli anni cinquanta e sessanta la scuola era ancora molto severa, con tutti. Gli studi erano molto impegnativi. I riassunti erano all’ordine del giorno, esercizio di straordinaria importanza per abituare a sviluppare l’attenzione per la sintesi, che significa anche andare al nocciolo di una questione. Imparavamo molte poesie a memoria. Che dovevamo recitare alla cattedra dinanzi al professore ed ai colleghi. Era un esercizio di memoria, molto importante, ed imparavamo a recitare dinanzi al piccolo pubblico della classe. Ma ci è stato utile quando, iniziando esperienze di lavoro ci siamo presentati perchè fosse apprezzato il nostro modo di esporre. In buon italiano, che è la lingua del nostro lavoro, qualunque sia. Una relazione ad un progetto, come una memora difensiva o una sentenza si apprezzano per come sono scritte. Studiavamo storia, filosofia e arte. Rigorosamente ancorata al periodo storico del quale conoscevamo le date. Poi è passato di moda. È nozionismo, ha detto il saggio di turno, ovviamente “di sinistra”. Così mi è capitato di sentire in televisione qualche giorno fa che l’America è stata scoperta intorno al 1900. Né trascuravamo scienze naturali, biologia, botanica, chimica, matematica e fisica. Meno di quella che facevano i colleghi dello scientifico. Ma sta di fatto che dal classico sono usciti fior di economisti e di scienziati. Proprio perché quella formazione stimolava non solo cultura letteraria, ma un metodo di studio e di lavoro.

Ho appreso, dunque, con piacere che il Ministro Valditara è intenzionato a dare impulso alla scrittura manuale, importante anche per la costruzione e l’esternazione del pensiero, ed all’apprendimento mnemonico, esercizio fondamentale, come ho imparato. Spero anche in un rinnovato studio della storia che ci dà gli strumenti per ragionare sul presente ed immaginare il futuro. Per sostenere la nostra identità che la scuola che vorrebbe la giovane intervenuta a Porta a Porta perderebbe inevitabilmente declassando i nostri studi rispetto a quelli delle altre nazioni europee dove si studia molto di quel che abbiamo abbandonato per fare una scuola di massa che nessuno mi convincerà mai non possa essere di alta qualità. È solo un problema di organizzazione e di risorse. Il che significa poter disporre di un corpo docente di qualità, ben pagato ed aggiornato, e di locali idonei. Le mie figlie hanno studiato in scuole titolate ma prive perfino della palestra (al Tasso ne avevamo due con tutte le occorrenti attrezzature per gli esercizi) per non dire di aule di scienze e fisica che conoscono solamente dai miei racconti.

È forse banale ripeterlo ma le risorse per la scuola costituiscono il più grande investimento per il futuro della società. Perché è sui banchi degli istituti di ogni ordine e grado che si formano i cittadini ed i futuri professionisti. E il degrado degli studi è anche conseguenza del livello del corpo docente perché insegnanti modesti “formano” studenti modesti, alcuni dei quali diventeranno “professori”.

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