di Salvatore Sfrecola
Giornali e televisioni hanno dato conto di una notizia, secondo la quale nei rapporti settimanali sull’immigrazione che vengono trasmessi al Governo italiano, gli apparati di sicurezza e gli analisti sottolineano come in Libia, “nei campi di detenzione ma non solo, ci siano 685.000 migranti irregolari pronti a partire per sbarcare sulle coste italiane”, come si legge sul Corriere della Sera di oggi.
È certamente apprezzabile l’informativa e la sua precisione quanto al numero dei migranti, soprattutto con riferimento a quel “non solo”, che dimostra una conoscenza al di là del dato, pur importante, ma forse più facilmente calcolabile, di coloro che sono nei “campi di detenzione”. Per cui viene spontaneo ritenere, in considerazione della puntualità dell’accertamento, che i Servizi, per aver individuato il numero dei presunti migranti pronti a partire, avranno certamente vagliato plurime fonti ed individuato i trafficanti e anche, immagino, con quali mezzi questo esodo biblico starebbe per essere realizzato.
Messe, dunque, da parte le persone che fuggono da guerre o da altri pericoli imminenti per la vita loro e delle loro famiglie che, nel Paese che ha inventato il “diritto di asilo”, considerato che non tutti sanno che la prima legge al riguardo in territorio italiano è stata voluta da Romolo, il primo Re di Roma, l’esodo di coloro i quali fuggono per motivi economici pone, in via generale, dei grossi problemi di percezione del fenomeno nel suo complesso. Per cui, come ha detto più volte, ad esempio, Giulio Tremonti, che si è dedicato a riflessioni di carattere storico sui fenomeni dell’economia, queste persone dovrebbero essere aiutate “a casa loro” attraverso forme di collaborazione economica come partnership in attività commerciali e industriali, in modo da assicurare loro un dignitoso regime di vita e prospettive di sviluppo. Considerato che non sarebbe difficile immaginare in Somalia, in Libia o in Tunisia modalità di collaborazione ad esempio nel turismo, con Tour Operator che, in forma societaria, coinvolgano i governi e imprenditori locali. Il che significa che manca anche un po’ di fantasia, perché queste attività, ai tempi del deprecato colonialismo, c’erano, erano svolte nell’interesse del colonizzatore ma davano lavoro anche a larghe fette della popolazione. Basterebbe sviluppare attività di compartecipazione che potrebbero assicurare crescita a quei paesi probabilmente avviandoli verso una più compiuta democrazia.
Detto questo e tornando alla indicazione dei Servizi, puntuale nella quantificazione di coloro che sarebbero in procinto di attraversare il mare, mi sembra lecito chiedersi a quale stadio di conoscenza siano giunti. Perché, se hanno potuto valutare questo numero di persone, immagino che siano in condizione di individuare contestualmente chi organizza il traffico di esseri umani e anche i mezzi per la traversata, cosa che non mi sembra difficile con gli strumenti che abbiamo oggi, attraverso una ricognizione delle coste, in particolare della Libia come oggi titolano i giornali, individuare la flottiglia, chiamiamola così, dei mezzi destinati alla traversata. Ciò che consentirebbe in una forma di collaborazione con gli stati rivieraschi, che a parole si dicono disponibili, una volta individuate queste imbarcazioni alla fonda, nei porti e nelle rade, di sequestrarle o di affondarle, naturalmente quando non ci sia nessuno a bordo. La cosa mi sembra talmente intuitiva, come emerge dalle conversazioni con quanti, leggendo sui giornali e sentendo le televisioni, riflettono su queste vicende e sui dati che vengono forniti, che il fatto che non avvenga fa pensare che ci sia una volontà di non provvedere.
Noi ci dobbiamo rendere conto che questa migrazione, una delle tante che la storia dell’umanità conosce, va controllata perché, com’è giusto e umano dare un rifugio a chi fugge dalla guerra, non è possibile accogliere altre persone al di là di quelle che attraverso i decreti flussi possono trovare impiego in Italia. Questo perché, come abbiamo visto nei servizi televisivi sui centri di raccolta, non corrisponde a criteri di civiltà mantenere i migranti in strutture assolutamente inadeguate, sovraffollate, senza servizi igienici adeguati al numero delle presenze, a rischio di epidemie. Persone che tentano la fuga spesso per finire per strada o per essere sfruttati dalla criminalità organizzata. Non è, infatti, da stupirsi se persone che non hanno un lavoro e quindi una fonte di guadagno, possano, per sopravvivere, dedicarsi a furti che spesso hanno avuto la forma di aggressioni violente, soprattutto di anziani indifesi, rendendo le città insicure. Altri vengono sfruttati nelle aziende agricole per la raccolta di frutta e ortaggi. Un fenomeno, quello del “caporalato”, che non si comprende come non si riesca ad estirpare, considerato che le aree dove queste attività avvengono sono note e di dimensioni tali che potrebbero essere facilmente oggetto dei controlli delle autorità preposte.
Per concludere, vedo molta approssimazione, tanta buona volontà ma scarsa determinazione in un settore che diventa ogni giorno più preoccupante, tra l’altro con costi ingenti a carico del bilancio dello Stato.