di Salvatore Sfrecola
Il 17 marzo 1861, a Torino, il Parlamento proclamava la nascita del Regno d’Italia e, pertanto, la costituzione dello Stato nazionale al termine dei moti risorgimentali.
Si celebra oggi, dunque, la “Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera”, istituita il 23 novembre del 2012 con la legge n. 222, nella data della proclamazione, a Torino, il 17 marzo del 1861, dell’Unità d’Italia.
E con le seguenti parole, che costituiscono parte del testo della legge 17 marzo 1861 n. 4671 del Regno di Sardegna, aveva luogo la proclamazione ufficiale del Regno d’Italia:
“Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d’Italia.
Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino addì 17 marzo 1861″.
La completa unificazione del territorio nazionale avvenne però solo negli anni seguenti con le annessioni: nel 1866 del Veneto e della provincia di Mantova; nel 1870 di Roma e del Lazio; nel 1918, al termine della Prima Guerra Mondiale, del Trentino-Alto Adige e della Venezia Giulia.
La nascita dello Stato italiano è stata solennemente festeggiata nel 1911 per i primi 50 anni, nel 1961, per 100 anni e nel 2011 per i 150 anni.
È una festa, ma non è “la” festa nazionale, come per tutte le Nazioni è la data nella quale si è formato lo Stato.
Ne sono evidenti le ragioni.
Si dovrebbe ricordare che l’Italia è divenuta una, dopo per secoli nei quali siamo stati “calpesti/ derisi”, come si sente dall’Inno di Mameli, l’Inno Nazionale, per merito di una classe politica che si è stretta intorno al Regno di Sardegna ed ai Re che si sono susseguiti nel tempo, da Carlo Alberto, a Vittorio Emanuele II, a Umberto I, a Vittorio Emanuele III, il “Re vittorioso”, “Duce Supremo”, come si legge nel Bollettino della Vittoria dato da Villa Giusti il 4 novembre 1918, al termine della Guerra che ha effettivamente unificato il Paese, dalle Alpi al Lilibeo, secondo la configurazione che la geografia ha dato all’Italia ed alle popolazioni che l’hanno abitata nei secoli contribuendo, con le loro diversità ed esperienze, alla creazione di un popolo unico ricco delle ricchezze delle varie aree geografiche, tutte portatrici di esperienze civili, culturali e artistiche ineguagliabili.
Ricordare il 17 marzo 1861 significa, dunque, riandare al passato, a quello straordinario moto unitario che fu il Risorgimento quando, provenienti da ogni angolo d’Italia, quanti credevano nella unità si ritrovarono nella capitale del Regno di Sardegna, a Torino, che nel corso degli anni, nei quali si combatteva ovunque per la libertà e la costituzione, tutti gli uomini liberi si sono ritrovati consapevoli del fatto che solo con l’impegno della Casa di Savoia sarebbe stato possibile realizzare il loro sogno. Lo dimostrarono uomini come Giuseppe Garibaldi, repubblicano, che riconoscevano nel Re Vittorio Emanuele II la personalità capace di unire tutti per il bene della Patria.
Ed è così che si festeggia l’unità d’Italia, ma in modo riduttivo. Nel senso che non è la Festa Nazionale, quella nella quale, per ricordare la formazione dello Stato unitario, gli italiani si fermano un giorno a festeggiare.
Non lo si fa perché si vuole evitare anche solo di ricordare agli italiani, soprattutto alle giovani generazioni che l’Italia un tempo fu un Regno e che fu il Regno ad unificarla nelle forme della Monarchia Rappresentativa, come si legge nello Statuto Albertino, la costituzione delle libertà civili e politiche che anche la Repubblica non ha potuto fare a meno di ereditare.