di Salvatore Sfrecola
Leggo che in un asilo di Viareggio è stata cancellata la “Festa del Papà”, celebrata in quasi tutto il mondo, anche se ogni Paese la declina in base alla sua storia e alle sue tradizioni.
In Italia si festeggia il 19 marzo, il giorno in cui morì San Giuseppe, il Padre putativo di Gesù, ricordato nel Calendario Romano dal 1479, da Papa Sisto IV. Successivamente, considerando San Giuseppe una figura paterna positiva, che incarna il papà buono, modello di vigilanza e provvidenza, la Chiesa Cattolica lo ha proclamato protettore dei padri di famiglia e patrono della Chiesa Universale.
Per la direttrice scolastica che ha assunto questa decisione di non festeggiare il papà sarebbe discriminatorio ricordarne la figura nei confronti dei bimbi che un papà non ce l’hanno.
La tesi non mi convince. Perché, in primo luogo, discrimina chi il papà ce l’ha e, di fatto, colpisce la figura del padre che contestualmente viene eliminata dai disegni e da ogni altra manifestazione con la quale i bimbi volessero ricordare il loro genitore e manifestare nei suoi confronti quell’affetto che si esprime nei gesti semplici, come un disegno colorato con qualche parola d’amore e un po’ di cuoricini, come abbiamo visto più volte da figli e nipoti.
Credo da sempre che la natura si ribelli istintivamente a certe violenze. Il padre, come la madre, sono figure che i bimbi di tutto il mondo, da che mondo è mondo, sentono e ricercano nelle somiglianze fisiche e nelle doti caratteriali, che fanno risalire anche nel tempo anche ai nonni ed ai trisavoli, alla famiglia in sostanza, della quale delimitano l’ambito.
Secondo la direttrice “non esiste più una famiglia modello. Oggi ci sono situazioni aperte e particolari che devono essere rispettate e tutelate. Soprattutto da una scuola”.
La vicenda si presta a varie considerazioni. In primo luogo, come già accennavo, per non discriminare chi non ha il papà, di fatto si discriminano coloro che ce l’hanno, con l’effetto di cancellare tradizioni risalenti nel tempo, proprie della nostra società. È come quando si evita di fare il Presepe o non si forniscono a mensa piatti con carne di maiale, perché offenderebbero i musulmani.
Sono comportamenti che dimostrano la mancanza di senso di appartenenza ad una comunità ma anche di rispetto per la sua storia e le sue tradizioni. Aggiungo che se io vivessi in un paese musulmano non sarei disturbato dai riti di quella religione, che rispetterei come la mia. E riterrei un intervento corretto distinguere in una mensa scolastica piatti di carne e piatti vegetariani o vegani a seconda dei gusti. Perché seguendo il modo di ragionare della direttrice di Viareggio potremmo arrivare alla conclusione che l’esposizione della bandiera nazionale, il tricolore italiano, disturbi un ospite o un residente proveniente da un paese dove la bandiera è composta di altri colori.
Tornando al papà, è evidente dalle parole della direttrice dell’asilo di Viareggio, come abbiamo letto in un articolo di Giorgio Gandola su La Verità, che con l’intento di non discriminare chi non ha il papà si cancella la stessa figura paterna, perché la società “non è più quella di 50 anni fa”.
Vorrei dire alla direttrice che la natura non si violenta e ci dice inequivocabilmente da secoli che un bimbo nasce da un papà e da una mamma che, appunto, si chiamano genitori. Infatti, lo hanno generato. Nulla che offenda i bimbi senza papà e spesso senza mamma, vittime dell’egoismo dei grandi, uomini e donne che, non potendo procreare, incuranti dei sentimenti naturali del bambino, pensano solamente al proprio capriccio.
Il tema è serio e non si risolve escludendo la “Festa del Papà”, perché negli altri 364 giorni dell’anno ci sono bimbi che hanno il papà ed altri che non ce l’hanno.