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I monarchici italiani festeggiano il 25 aprile ma sollecitano il superamento della contrapposizione fascisti/antifascisti. E guardano al futuro

di Gianni Torre

Alessandro Sacchi, brillante avvocato napoletano, cassazionista, Presidente dell’Unione Monarchica Italiana (U.M.I.), non ha dubbi: “la festività del 25 aprile, istituita con decreto del Principe Umberto di Savoia, Luogotenente Generale del Regno, di lì a poco Re Umberto II, celebra l’impegno del Re e del Regio esercito per la liberazione delle aree d’Italia occupate dall’esercito di Hitler e dagli alleati fascisti della Repubblica sociale italiana. La “sedicente repubblica”, sottolinea, “come si legge nell’intestazione dei provvedimenti della Gazzetta Ufficiale che rinviano ad atti del cosiddetto Governo di Salò”.

Mi riceve nel suo studio, al quarto piano di un antico palazzo in prossimità delle Riviera di Chiaia, da platja, “spiaggia” in catalano, ricordo della dominazione aragonese, tra raccolte di leggi, sentenze e volumi di diritto, che testimoniano di una lunga tradizione familiare. Sono ben cinque le generazioni di Avvocati Sacchi. Il padre e lo zio, “i mei maestri”, dice, che lo hanno avviato alla professione forense del campo civilistico. Ma sono in bella mostra anche i simboli della sua fede monarchica, la bandiera innanzitutto, con lo “bianca croce di Savoia” come la cantò Giosuè Carducci, e naturalmente la foto del Re Soldato, Vittorio Emanuele III, e quella di Umberto, con dedica. 

“Ho iniziato giovanissimo a coltivare sentimenti di ammirazione per Casa Savoia e per i Re che, a cominciare da Carlo Alberto, hanno messo in gioco il loro trono per farsi promotori dell’unità d’Italia. Pensi – mi spiega – al piccolo esercito del Regno di Sardegna che sfida la più grande potenza militare dell’epoca, l’impero austro ungarico. Quando il 23 marzo 1848 Carlo Alberto affida al suo esercito la bandiera tricolore con al centro lo stemma della sua Casata e attraversa il confine per soccorrere i milanesi in rivolta, il Re sa di giocarsi tutto. Ha contro una grande armata guidata dal Feldmaresciallo Conte Josef Radetzky, Governatore del Lombardo Veneto, un mito nella storia militare austriaca. Aveva vinto Napoleone a Lipsia, mica poco. Da allora il piccolo Piemonte è stato il motore dell’unità d’Italia. Accoglieva i liberali fuggiti dagli stati che comminavano la pena di morte a coloro che chiedevano la costituzione, dal Regno delle Due Sicilie, moltissimi, e dallo Stato della Chiesa, dove la ghigliottina ha funzionato sul collo dei liberali fino alla vigilia della presa di Roma, il 20 settembre 1870”.

Mi fa dono dei volumi della collana da lui stesso curata “L’Italia in eredità”, edita da Historica, di Francesco Giubilei. Sono quattro opere collettanee dedicate a Vittorio Emanuele II, “il Re Galantuomo”, Cavour, “i Primo Ministro”, Garibaldi, “l’eroe dei due mondi”, e Umberto II, “il Re degli italiani”, da poco nelle librerie, presentato a Roma al Centro Congressi Cavour il 18 Marzo, nel quarantennale della morte del sovrano.

“Io c’ero, mi dice, ad Altacomba, l’Abbazia della Savoia, in occasione dei funerali del Re insieme a migliaia di italiani, persone comuni, adulti, giovani, giovanissimi, famiglie e moltissimi ex combattenti, sobbarcandosi le spese di trasferimento ed utilizzando ogni possibile mezzo di trasporto, auto, autobus, treni da ogni parte d’Italia giunsero in Francia come per raccogliere un retaggio. Del Re che era stato tenuto fuori della Patria da una legge ingiusta, l’esilio, una pena medievale che la Repubblica non ha avuto il coraggio di eliminare neppure quando, morente, Umberto aveva invocato di poter morire in Italia”. La voce è ferma, non cede alla commozione. Gli anni sono passati, non è più il giovane del Fronte Monarchico Giovanile. Oggi Alessandro Sacchi è un avvocato affermato, Presidente dell’Unione Monarchica Italiana, “eletto”, ci tiene a dire, in un Congresso con ampia partecipazione di delegati da tutta Italia. E dalla sua elezione l’Associazione è cresciuta. Neppure il lockdown e la pandemia hanno fermato Sacchi ed i suoi collaboratori. Perché in videoconferenza ha presentato libri, dibattuto su temi di attualità, con ospiti illustri, docenti universitari, storici, politici. Poi, finito il blocco, i monarchici dell’U.M.I., senza abbandonare lo strumento delle videoconferenze e la presenza sui social, da Facebook a tik tok dove registrano migliaia di visualizzazioni, sono tornati sul territorio con conferenze, dibattiti, incontri di studio con iscritti e simpatizzanti. “Tanti, mi dice, perché a risvegliare l’interesse per la Monarchia, anche nei giovani, sono spesso i ricordi di famiglia. Del padre, del nonno o di altri familiari combattenti i suoi vari fronti di guerra, funzionari dello Stato, fedeli al giuramento di fedeltà al Re”.

Riprendiamo, dunque, il discorso sul 25 Aprile. “Vede, mi dice, dopo il 25 luglio 43, quando il Fascismo si dissolse nel momento stesso in cui, con la votazione dell’ordine del giorno Grandi si decise di ripristinare la “legalità costituzionale” violata nel ventennio fascista, così anticipando una iniziativa che Re Vittorio Emanuele aveva accuratamente preparato nei mesi precedenti con la collaborazione dei vertici delle Forze Armate, la Corona riprende quella iniziativa che gli era stata impedita quando il Partito Liberale di Giovanni Giolitti, il Partito Popolare di Luigi Sturzo ed i socialisti di Filippo Turati, incapaci di affrontare la crisi economica e sociale del primo dopoguerra, avevano dato via libera al governo Mussolini votandogli la fiducia. Negli anni successivi, mentre un Parlamento succube accoglieva le iniziative del governo di manomissione dello Statuto Albertino, i Re è stato lasciato solo dai partiti cosiddetti antifascisti e dagli stessi intellettuali ostili al Duce. Diciamolo chiaramente. Mussolini con promozioni, medaglie e onorificenze varie si è letteralmente comprato la classe dirigente dell’epoca, quella militare e dell’alta amministrazione.

Il Re ha mantenuto, per fortuna dell’Italia, un indiscusso prestigio, ma nessuno si è opposto alle leggi razziali, tranne, com’è noto, il Sovrano che tuttavia non poteva non promulgarle dopo il voto del Parlamento, né all’entrata in guerra. È stato l’andamento disastroso delle operazioni militari a convincere gli alti gradi delle Forze Armate ed i massimi esponenti del regime che la “parentesi” del Fascismo, come ha scritto Benedetto Croce, si era chiusa definitivamente. 

Poi l’armistizio, nel quale il Re ha portato, pur nella inevitabile condizione della resa, il suo prestigio a garanzia della continuità dello Stato. E quando l’invasione tedesca ha reso necessaria una risposta militare nelle regioni occupate sono stati i reparti del Regio esercito per primi a riprendere le armi contro l’invasore e i suoi alleati fascisti. Poi si sono aggiunti i cittadini di tutti gli orientamenti politici. Ma è stata la Corona ad intestarsi la lotta armata per liberare l’Italia. È una verità storica incontrovertibile nonostante le sinistre abbiano voluto far propria la Guerra di Liberazione Nazionale e continuano oggi a mantenere un clima di contrapposizione superato dal tempo. E furono i reduci di Salò a parlare di “fuga” del Re da Roma, dimenticando che Vittorio Emanuele III, in uniforme di Primo Maresciallo dell’Impero, aveva lasciato la Capitale, assolutamente indifendibile se non a rischio della sua completa distruzione, per recarsi nella parte d’Italia libera e così assicurare la continuità dello Stato”. 

Tuttavia, Sacchi ritiene che non si possa continuare a fomentare tra gli italiani la contrapposizione fascismo/antifascismo che non di rado si trasforma in un incentivo all’odio politico, tra quanti rimasero fedeli al giuramento prestato al Re e coloro che ritennero di continuare a combattere al fianco dell’alleato tedesco. E così, a distanza di 78 anni i monarchici italiani, “paladini della democrazia liberale e parlamentare ereditata dal Risorgimento nazionale, rivolgono un appello alle Forze Politiche perché promuovano, tra quanti operarono in buona fede su posizioni contrapposte, quella pacificazione che, largamente condivisa ed auspicata dall’opinione pubblica, è necessaria per guardare al futuro dell’Italia con fiducia nella sua capacità di crescita e di sviluppo nell’interesse delle future generazioni”.

Abbiamo detto di ieri e di oggi. E il domani? gli chiedo. “Tornerà la Monarchia, ovviamente, d’altra parte le democrazie europee più sviluppate sono dei Regni che nell’Unione Europea, pur partecipando alla politica comune, mantengono alto il senso dell’identità di quei popoli. Le pare poco?”

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