di Salvatore Sfrecola
“Della festa del 25 aprile si sono impossessati un po’ tutti, fino a farla sembrare una cosa della Repubblica. Pochi sanno che invece la dobbiamo a Umberto di Savoia, futuro re Umberto II, che la istituì con decreto luogotenenziale il 22 aprile 1946”. Lo ricorda, alla vigilia della festa della Liberazione, il Presidente dell’Unione Monarchica Italiana (U.M.I.), Avv. Alessandro Sacchi, che, parlando con l’Adnkronos, auspica che il 25 aprile “diventi la festa di tutti, perché le feste nazionali debbono unire, ma quando qualcuno se ne impossessa, diventano divisive”. E sottolinea che “la Resistenza fu un fenomeno che non ebbe colore”, ma soprattutto “senza gli ufficiali del regio esercito, che sapevano maneggiare le armi, sarebbe stata molto marginale”.
La scelta è antica, spiega Sacchi: “noi celebriamo la liberazione dell’Italia dal giogo nazifascista… (perché) c’erano anche partigiani monarchici militanti, gente che liberava l’Italia gridando ‘viva il re’, perché la monarchia era una cosa unificante”. Gli danno ragione le immagini ed i filmati del 25 luglio e dell’8 settembre 1943 quando la gente scese in piazza per festeggiare la caduta del regime fascista e, immaginava, anche la fine della guerra che, in effetti continuò soprattutto nelle aree del nord e del centro occupate dai tedeschi aiutati dai fascisti di Salò. Il messaggio che l’U.M.I. è: “celebriamo il 25 aprile, ma superiamo le divisioni… salviamo la buona fede di chi combatteva dall’altra parte e guardiamo avanti”. Questo è l’appello che io rivolgo alle forze politiche: condividiamo un percorso unificante e non divisivo”. Per Sacchi anche “parlare di antifascismo nel 2023 è qualcosa che fa sorridere chi ha un minimo di competenze storiche. I fascisti, come i partigiani, non esistono più. Sono vicende collocabili in uno spazio-tempo ormai superato e allora – si chiede – perché mantenere questa tensione, quasi una guerra civile serpeggiante tra fascisti e antifascisti?”
La democrazia, certamente, non è in discussione. Oggi è un valore comune alle forze politiche che, divise sul da farsi per il bene del Paese, partecipano alle elezioni, governano o si oppongono secondo le regole della democrazia parlamentare. E questa realtà deve far riflettere su alcuni aspetti che concorrono a mantenere alta la tensione e a non favorire la riconciliazione. La democrazia in Italia non è stata scoperta tra il 1946 e il 1948, quando è entrata in vigore la Costituzione della Repubblica. L’Italia, lo Stato nazionale, è nato nel 1861 come espressione degli ideali risorgimentali consegnati nello Statuto Albertino, la carta fondamentale della democrazia parlamentare che, con norme “chiare e sobrie”, per dirla con Piero Calamandrei, ha sancito i diritti fondamentali, in gran parte transitati nella Costituzione della Repubblica. Ciò che ci porta a condividere l’opinione illustre di Benedetto Croce, secondo il quale il Fascismo è stata una parentesi nella storia d’Italia. Ricollegare, dunque, la lotta di liberazione dal nazifascismo alla pregressa esperienza democratica e liberale è necessario, per la verità storica e per rafforzare il senso della libertà ritrovata.
Ho fatto cenno alle immagini ed ai filmati del 25 luglio e dell’8 settembre 1943 che testimoniano fiducia nel Re Vittorio Emanuele III che si era reimpossessato del suo ruolo costituzionale compresso dalle leggi fasciste approvate da un Parlamento succube, approfittando della natura “flessibile” dello Statuto del Regno.
Del resto, dice bene l’Avv. Sacchi. I primi ad imbracciare le armi, che sapevano bene usare, furono i militari. Ed anche qui immagini e filmati ci dicono di reparti inquadrati, con i loro ufficiali e la bandiera del Regno d’Italia. Poi a quei soldati si unirono civili di tutti gli schieramenti politici, liberali, cattolici, comunisti, socialisti che, uniti nella lotta ai nazifascisti, finite le operazioni militari si sono immediatamente divisi, perché portatori di ideologie e di programmi di governo tra loro incompatibili.
Messi fuori dal governo alcuni, in particolare i comunisti, si sono impossessati della Resistenza come fosse esclusiva loro. E gli altri, che pure avevano combattuto e versato sangue qua e là per l’Italia li hanno lasciati fare con la conseguenza di impedire quella riconciliazione nazionale nella quale la maggioranza degli italiani crede, senza dimenticare che alcuni hanno mantenuto fede nello Stato ed al giuramento al Re ed altri hanno ritenuto, in buona fede, di continuare a combattere a fianco dell’alleato con il quale, con molte difficoltà, era stata condotta fino ad allora la guerra.
Comunque la si veda è stata un’immane tragedia sofferta da un popolo che non voleva e non aveva interesse ad entrare in guerra, soprattutto a fianco di un regime lontano dalla storia e dalla cultura della romanità cristiana. Ciò che è stato possibile solo perché erano venute meno le regole della democrazia costituzionale costruita, con tanti sacrifici, nel corso del Risorgimento nazionale. Chiusa la crociana parentesi, lì sono le radici autentiche del nostro Stato, rinverdite certamente, ma ben salde in quel terreno ricco di fermenti liberali che fu arato dai Padri della Patria, il Re Vittorio Emanuele II, il Conte di Cavour, il Generale Garibaldi e il patriota Giuseppe Mazzini.