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Galateo istituzionale dimenticato, a proposito del “conflitto” Governo-Corte dei conti

di Salvatore Sfrecola

La questione del contrasto, che sembra opporre il Governo alla Corte dei conti, a proposito del ruolo che la magistratura contabile esercita sui progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ha un duplice profilo, uno che potremmo definire di “galateo istituzionale”, un altro tecnico, riferito agli aspetti giuridici.

Sul piano delle relazioni tra il Governo o un suo Ministro e la magistratura di controllo va detto che i contrasti non sono una novità. Quello che distingue l’attuale comportamento è il modo con il quale il dissenso viene gestito. Infatti, è noto, a chi ha un minimo di esperienza, che i governi, la politica, poco tollerano i controlli, siano quelli di legittimità, amministrativi per intenderci, siano quelli della giurisdizione penale, come sappiamo dalle polemiche sul reato di “abuso di ufficio”.

Accadeva anche nella prima Repubblica, nella quale tuttavia la politica sapeva far buon viso a cattivo gioco. Nel senso che masticavano amaro e, quando del caso, richiedevano la registrazione “con riserva”, prevista appunto per superare, nell’interesse supremo dello Stato, un contrasto con la Corte dei conti in punto di legittimità dei provvedimenti soggetti al controllo preventivo. E questo a tacere delle volte nelle quali i rilievi della Corte facevano molto comodo alla politica, la quale, com’è noto, riceve sollecitazioni da ambienti vari, interessati a determinate erogazioni di denaro. Accadeva così che coloro i quali chiedevano provvedimenti di dubbia legittimità si sentissero rispondere: “lo farei volentieri ma la Corte dei conti non lo registrerebbe”. La Corte, la prima magistratura ad essere unificata all’indomani della costituzione del Regno d’Italia ha le spalle grosse. in Repubblica ha anche una copertura costituzionale (art. 100, comma 2) e può essere criticata senza effetti pratici. La politica rimaneva indenne e non correva il rischio che su un provvedimento sospetto ci mettesse gli occhi la magistratura penale. In questi casi non si sa mai come va a finire.

A proposito di garbo istituzionale, in altra occasione ho ricordato come il Presidente del Consiglio Cavalier Benito Mussolini avesse il massimo rispetto per la funzione di controllo, sia della Ragioneria Generale dello Stato che della Corte dei conti. Questa nel ventennio ha più volte negato la registrazione a provvedimenti del Duce, il quale non se ne aveva a male. Ricorreva alla registrazione con riserva e andava avanti. E quel Presidente non era tenero. Ma non faceva venir meno, lui che era tutto sommato un parvenu rispetto ai Cavour o ai Giolitti, il rispetto per la magistratura contabile.

Ma la vicenda odierna non è solamente di galateo istituzionale, perché affronta il merito di quel controllo “concomitante” voluto dalla legge che, come sembra qualcuno al Governo ignori, non è una novità nell’attività delle Istituzioni Superiori di Controllo Finanziario che, come ho spiegato altre volte, esercitano i controlli nello stesso modo, secondo le indicazioni dell’INTOSAI (International Organization of Supreme Audit Institutions) e, nella specie, della Corte dei conti europea, da sempre attenta nelle verifiche della utilizzazione di fondi europei. 

Dunque, il governo non può risentirsi delle osservazioni che la Corte formula con rispetto, con spirito collaborativo e come tali vanno prese in considerazione. E ciò nonostante a capo della Struttura di missione, di recente istituita presso la Presidenza del Consiglio, sia stato posto un illustre magistrato della Corte dei conti, il Presidente di Sezione Carlo Alberto Manfredi Selvaggi, il quale non potrà non essere a disagio alla luce della tensione in atto alimentata giorno dopo giorno dal Ministro Raffaele Fitto con toni che dimostrano come la parte politica non intenda dialogare con la competente Sezione della Corte dei conti, Collegio formato da magistrati con notevole esperienza, presieduto da una persona colta ed equilibrata, il Presidente Massimiliano Minerva studioso di grande valore. Invece di attuare un approccio propositivo, come sarebbe stato nella Prima Repubblica, si legge su alcuni giornali di una ipotesi di emendamento ad uno dei decreti-legge in corso di conversione che vorrebbe ridurre le competenze del Collegio per il controllo concomitante, la Sezione della Corte dei conti nata un anno fa per monitorare lo stato di avanzamento del PNRR. Non solo, si vorrebbe anche estendere lo “scudo erariale”, cioè l’immunità per i fatti causativi di danno allo Stato o agli enti pubblici nei casi in cui la condotta sia connotata da “colpa grave”. Un autentico scandalo se si considera che grave è la colpa dovuta a massima negligenza, imprudenza o imperizia, inosservanza di regole, quella che i romani equiparavano al dolo, perché “lata culpa”, con le parole di Ulpiano (D.50, 16, 213, 2, I, regularum), “est nimia neglegentia; id est non intellegere quod omnes intelligunt”. In italiano non comprendere quello che tutti comprendono. Gli italiani che pagano le tasse e che si sentono tutelati dalla Corte dei conti dovrebbero insorgere come un sol uomo contro chi propone di mandare esenti da responsabilità quanti causano un pregiudizio alle casse dello Stato.

Per i controlli, poi, se fossero limitati i poteri della Corte italiana il Governo che fosse inadempiente le stesse cose se le sentirebbe dire dalla Corte dei conti europea.

Allora il sospetto è che qualcuno al Governo, consapevole dei ritardi e della difficoltà di rimediare, sia alla ricerca disperata di un alibi in caso di mancata realizzazione di alcuni progetti, cioè di un capro espiatorio evidentemente individuato nella Corte dei conti e nei suoi occhiuti controlli che “intralciano” l’attività delle amministrazioni. Alibi fragile, a “ben vedere” dal momento che sappiamo tutti che da anni le istituzioni nazionali, statali e degli enti regionali e locali, non riescono a realizzare progetti finanziati da fondi comunitari. Quindi niente di nuovo sotto il sole. La stessa Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nell’intervista di oggi a Il Messaggero, ha affermato che “la capacità di spesa è un problema storico” ed ha ricordato come nella verifica sullo stato di attuazione delle politiche di coesione 2014-2020 “abbiamo constatato che, dopo 8 anni, risultava effettivamente speso solo il 34% dei 126 miliardi di risorse programmate, tra europee e nazionali”.

Le responsabilità, dunque, sono antiche e derivano essenzialmente dalla scarsa preparazione dei nostri tecnici, disabituati a progettare e gestire progetti impegnativi, che la politica da anni tende a dare fuori dei ministeri, una situazione a tutti nota, che l’ineffabile Ministro Brunetta, incautamente messo a Capo del Ministero dell’amministrazione, ha ritenuto di superare con massicce infornarle di giovani laureati, certamente dotati di ampie nozioni universitarie, ma privi assolutamente di esperienza e pertanto frenati nelle decisioni e bloccati al momento della firma. Invece di valorizzare l’esperienza esistente, affiancando il personale in servizio con giovani risorse, si sono fatte scelte teoriche, tipiche di chi non ha mai messo piede in una pubblica amministrazione, che conosce solo dai libri e dalle ricerche di chi negli uffici pubblici non ha mai preso in mano una pratica per portarla a conclusione.

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