di Salvatore Sfrecola
“Così come viene oggi esercitato, il diritto di manifestare il proprio pensiero da singoli magistrati o dall’associazione nazionale dei magistrati travalica la separazione e l’equilibrio dei poteri”. Sabino Cassese, amministrativista insigne e giudice emerito della Corte costituzionale ne è certo e lo scrive su Il Dubbio.
La “divisione dei poteri” è principio cardine delle costituzioni liberali. E ricordando che nel nostro ordinamento costituzionale “il popolo costituisce fonte di legittimazione di tutte le funzioni statuali esercitate in suo nome dallo Stato-soggetto” ho scritto nei giorni scorsi su questo giornale che, conseguentemente, “la giustizia è amministrata in nome del popolo” (art. 101 Cost.) e “i giudici sono soggetti soltanto alla legge” (comma 2). Per dedurne che “la riconduzione al popolo anche di una forma di esercizio del potere, quale quella giurisdizionale, è data dalla Costituzione che, ponendosi come un prius logico-giuridico dello Stato e del popolo, stabilisce due diverse fonti di legittimazione del potere, quella democratico-rappresentativa e quella garantistica”. Per cui “il rapporto fra giurisdizione e sovranità popolare deve essere ricostruito in termini di subordinazione strutturale della prima rispetto alla seconda”. Con la conseguenza che “essendo la legge espressione del Parlamento la fedeltà ad essa costituisce per il giudice il primo e più elementare modo di radicare la sua attività alla volontà popolare”.
Consigliavo, quindi, alla magistratura associata, cioè all’A.N.M., ed ai singoli magistrati estrema prudenza nel contestare eventualmente l’iniziativa parlamentare di riforma di norme riguardanti il diritto penale ed il processo, svolgendo osservazioni sorrette dalla loro esperienza professionale, sempre nel rispetto del ruolo preminente del Parlamento. Ma evidentemente non si può imporre il silenzio né ai singoli né all’Associazione che li rappresenta. E sempre nel rispetto del ruolo del potere legislativo, perché le osservazioni sulla riforma non si trasformino in un boomerang, come sicuramente avverrebbe se, agli occhi del cittadino, la critica alla riforma fosse considerata espressione di una parte politica. Ciò che farebbe perdere prestigio alla Magistratura che non apparirebbe più indipendente. Tuttavia, sarebbe un errore da parte del Governo evitare ogni confronto con l’A.N.M.. Il Ministro Nordio, che in qualche dichiarazione ha detto che unico suo interlocutore è il Consiglio Superiore della Magistratura (C.S.M.) e non l’Associazione Nazionale Magistrati, sbaglia e provoca una polemica e favorisce un conflitto del quale nessuno sentiva il bisogno. E dà ossigeno all’opposizione confusa e divisa.
Nessuna riforma si può fare contro la categoria che gestisce un determinato servizio, siano i medici o i commercialisti, gli avvocati o gli ingeneri od i magistrati, appunto. Nella prima repubblica non è mai successo. Gli uomini di governo sapevano come avviare una riforma coinvolgendo le categorie interessate. Riforma che, nel caso della Giustizia, riguarda anche l’Avvocatura e le Associazioni dei cittadini utenti di un servizio che rivela moltissime, gravi lacune: soprattutto è intollerabilmente lento, sia nel penale che nel civile, a causa di norme processuali incongrue rispetto all’esigenza di avere decisioni in tempi brevi. Ma di questo non si occupa nessuno. Ogni settore ha un suo “rito” con regole diverse, anche quando sarebbe necessario unificarle e comunque molte, troppe sono le fonti di complicazione, platealmente denunciate dall’altissimo numero dei giudizi di Cassazione rispetto a quelli che caratterizzano gli ordinamenti di molti paesi con i quali l’Italia si può confrontare. Perfino i siti internet delle giurisdizioni seguono regole diverse negli adempimenti richiesti e nell’accesso agli atti costringendo gli utenti a continui reset per individuare le modalità di gestione.
Da ultimo, mi lascia perplesso la conclusione, richiamata iniziando questa breve nota, cui è giunto il Prof. Cassese, che evidentemente individua nell’A.N.M. un potere dello Stato. Credo che in sede di esame boccerebbe chi lo dicesse. Ma divenuto consigliere del Governo, l’affermazione ha un senso politico e significa semplicemente “lasciateci lavorare” o, più brutalmente, “il Governo è il Governo e voi…”. Che in democrazia non va bene. Con la conseguenza che il Ministro non si perita di proporre una limitazione all’uso delle intercettazioni delle quali, giustamente, da Procuratore, faceva largo uso.
La poltrona di via Arenula scotta, da sempre. Chi su di essa si siede ha un gravosissimo ruolo in un Paese nel quale la richiesta di giustizia è da troppo tempo insoddisfatta. Per quel ruolo occorre un saggio che sappia andare al sodo dei problemi facendo meno ideologia per proporre soluzioni pratiche e condivise. Il che non è, in astratto, difficile. Evitando polemiche “inventate” o “inutili”, come quella del Ministro Fitto con la Corte dei conti, a proposito del “controllo concomitante” che, risolvendosi in osservazioni e suggerimenti, non ha evidentemente quell’effetto rallentante dei progetti finanziati a carico dei fondi europei che gli è stato attribuito negli interventi polemici di alcuni uomini di governo. Di Pietro direbbe “che c’azzecca?”. È mancanza di esperienza. Che ci può stare in neofiti dell’Esecutivo, anche se la lunga opposizione avrebbe dovuto insegnare qualcosa nel metodo e nel merito delle scelte di governo.