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Patrick Zaki, thank you Italia

di Salvatore Sfrecola

Devo dire che l’attendevo. La grazia concessa dal Presidente egiziano, Abdel Fattah al Sisi, era nell’aria. Patrick Zaki, condannato l’altro ieri dal Tribunale di Mansura a tre anni di reclusione con sentenza inappellabile, accusato di “diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese” per un articolo scritto nel 2019 su attentati dell’Isis e due casi di presunte discriminazioni di cristiani copti in Egitto, non poteva farsi altri 14 mesi di carcere. Non solamente per l’impegno, discreto e deciso, profuso dal nostro Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e dal Ministro degli affari esteri, Antonio Tajani. Ne risentiva l’immagine stessa dell’Egitto, già pesantemente deteriorata agli occhi dell’opinione pubblica italiana, e non solo, dal caso di Giulio Regeni.

I reati di opinione ripugnano alla coscienza degli uomini liberi. Essi sono espressione della peggiore arroganza del potere, quella che nega la libertà di manifestazione del pensiero che nel nostro ordinamento è tutelata a livello costituzionale (art. 21), come espressione dei diritti inviolabili dell’uomo garantiti dall’art. 2. È uno de diritti che segnano l’evoluzione degli ordinamenti liberali fin dalle costituzioni del primo ‘800, come lo Statuto Albertino che garantiva i diritti dei cittadini, di libertà individuale (art. 26) e di stampa (art. 28).

Il giovane Zaki all’uscita dalla caserma, nella quale è stato trattenuto dopo l’udienza, ha abbracciato i familiari e ringraziato l’Italia ed il Governo italiano. Ha parlato in inglese, come ha sempre fatto, anche in occasione degli auguri di Natale. Inglese, solamente inglese per uno studente di un ateneo italiano, quello di Bologna, dove Patrick si è laureato il 5 luglio discutendo la tesi da remoto.

Siamo felici per la sua libertà. Ci farebbe piacere che, nel ringraziare l’Italia, traducesse il thank you in un sonoro “grazie Italia”. Magari alla prima occasione.

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