di Salvatore Sfrecola
Fra le decine di voci autorevoli di operatori e studiosi dell’amministrazione che hanno condiviso le mie riflessioni sul ruolo dei capi di gabinetto, una voce si è alzata contraria, molto critica, quella di un amico che stimo moltissimo, Luigi Tivelli, il quale vanta una lunga esperienza di Consigliere parlamentare, Consigliere giuridico e Capo di gabinetto, nonché di studioso, autore di interessanti pubblicazioni in materia di pubblica amministrazione.
La sua critica al mio articolo, contenuta in un messaggio vocale su whatsapp, procede dalla considerazione che personalità che hanno svolto il ruolo di Capo di gabinetto, quale Pasquale de Lise, Corrado Calabrò, Antonio Catricalà e Alfonso Maria Rossi Brigante, tra i più longevi nell’esercizio della funzione, hanno collaborato con ministri di diverso orientamento politico. Il che smentirebbe la mia teoria sulla necessaria coincidenza, dal punto di vista ideologico e del pensiero politico, fra il ministro il suo Capo di gabinetto.
Nel giustificare la permanenza di taluni Capi di gabinetto con più ministri io avevo spiegato come ciò avvenisse nel tempo in cui erano preposti a ministeri politici prevalentemente democristiani, per cui dall’uno all’altro si attuava una sorta di staffetta, anche quando non erano appartenenti alla medesima corrente, per cui si giustificava la permanenza di questi personaggi con ministri diversi.
Ma proprio questo sottolinea la validità delle mie osservazioni. Perché le personalità che Tivelli richiama hanno svolto funzioni di Capo di gabinetto in un tempo, quello della prima Repubblica, nel quale, per esigenze di governabilità, le differenze tra i partiti non erano così accentuate come oggi, quando, a seguito di una tendenza al bipolarismo, sia pure ancora non del tutto consolidata, la distanza ideologica fra ministri e fra coalizioni di governo è spesso molto accentuata. E non è neppure vero del tutto che i personaggi richiamati abbiano collaborato con ministri di diversi partiti. Perché, ad esempio, Rossi Brigante ha collaborato quasi esclusivamente con ministri democristiani, se si escludono il tecnico Elio Guzzanti ed il liberale Raffaele Costa.
Ora è vero, ma io questo l’ho scritto, che i Capi di gabinetto sono soprattutto dei tecnici di elevata professionalità per cui possono collaborare con ministri diversi, proprio in ragione di quella provenienza dalla magistratura amministrativa e contabile che è nella tradizione dei capi di gabinetto, fedeli servitori dello Stato.
Tuttavia, oggi, come ho detto, la contrapposizione politica è molto evidente ed è sottolineata dalle parole, che ricordavo, del ministro Crosetto il quale constatava un fatto, sotto gli occhi di tutti, che nel corso del tempo le sinistre hanno riempito gli uffici pubblici di dirigenti nominati ex articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 165 del 2001, consolidando nell’ambito delle strutture la presenza di persone spesso fortemente ideologizzate come chiunque conosca l’amministrazione sa benissimo. E riconosce che Tizio, Caio e Sempronio, nominati da questo o quel ministro, hanno spesso una accentuata “simpatia” politica, quando non si tratta di vera e propria appartenenza, nei confronti di uno schieramento o di un partito. Crosetto osservava, pertanto, la necessità di un ricambio perché se l’amministrazione non è pronta a dare esecuzione alle direttive dei ministri la realizzazione dell’indirizzo politico amministrativo non si attua o non si attua in pieno.
Oggi, per la prima volta c’è un governo presieduto da una giovane parlamentare “di destra”, con partiti, la Lega e Forza Italia, che si sono spesi nella difesa di valori, soprattutto etici, che sono molto lontani da quelli della sinistra che ha governato negli ultimi anni. Per cui, agli occhi degli apparati e anche degli osservatori non si giustifica che un Capo di gabinetto il quale abbia collaborato ad esempio con un ministro del Partito Democratico o del Movimento 5 Stelle possa svolgere le medesime funzioni con un ministro della Lega, di Forza Italia o di Fratelli d’Italia.
Se è vero, secondo un detto popolare, che “l’abito non fa il monaco”, tuttavia l’apparenza è molto rilevante e segnala che in alcuni ministeri Capi di gabinetto che hanno avuto una lunga dimestichezza con uomini e partiti che oggi sono all’opposizione hanno a volte manifestato apertamente la loro visione politica dello Stato e dell’amministrazione.
È un momento di forte contrapposizione che è stata rilevata anche in alcuni discorsi del Capo dello Stato che, pur nella neutralità che rigorosamente mantiene, non ha trascurato di richiamare in più occasione idee e orientamenti politico-ideologici che appartengono alla parte politica nella quale ha militato, in posizione di responsabilità, per decenni. Del resto su La Verità di sabato 5 agosto una giurista insigne, docente di diritto costituzionale comparato, la Professoressa Isabella Loiodice, ordinario a Bari, ha sottolineato come il Capo dello Stato abbia mostrato di condividere opinioni diverse sul ruolo delle Commissioni d’inchiesta parlamentari, che sono espressione tipica del controllo politico delle Camere, da quelle della maggioranza che le ha volute. Tutte le idee, in democrazia, hanno la massima dignità ma è bene che di ognuno si sappia come la pensa.