A seguito del mio articolo del 6 agosto “Il Capo di Gabinetto? Me lo hanno imposto”, il Professor Luigi Tivelli, ex consigliere parlamentare, persona che io stimo moltissimo per la sua cultura giuridica e per la lunga esperienza di consigliere ministeriale e Capo di Gabinetto, mi aveva telefonato per manifestare il suo aperto dissenso rispetto alla mia imposizione secondo la quale deve esistere una consonanza ideologica tra Ministro e Capo di Gabinetto, nell’attuale contesto storico-politico, molto diverso da quello che richiamava Tivelli, quando era consuetudine che i Capi di Gabinetto rimanessero anche al cambio del Ministro. Questo, per la verità, è accaduto anche in tempi recenti ma a mio giudizio è sbagliato, come ho spiegato. Non perché le persone scelte non siano professionalmente capaci e affidabili servitori dello Stato, ma perché nell’attuale polarizzazione, che vede il governo e l’opposizione su posizioni molto differenziate, sulla base di una accentuata diversità del retroterra culturale e politico, che il Capo di Gabinetto abbia una connotazione evidentemente diversa da quella del Ministro, perché così è accaduto in tante occasioni, non fa il bene del Ministro e dell’Amministrazione quando la struttura percepisce il principale collaboratore del Ministro come distante dal vertice politico. Inoltre, è naturale che in assenza di sintonia con il vertice politico il collaboratore finisce per non avere quell’entusiasmo nella “missione” politica necessario per andare al di là dell’ordinaria amministrazione. Ricordo, nella mia esperienza, che quando ho collaborato con ministri con i quali avevo una particolare affinità di pensiero mettevo in campo anche un po’ di fantasia perché il ministro assumesse iniziative che, nella mia esperienza amministrativa, ritenevo dessero lustro all’autorità politica.
Queste le nostre distanti e distinte posizioni, ritenendo comunque utile un confronto con chi, per cultura giuridica ed esperienza ha qualcosa da dire al riguardo, volentieri ho accolto il suggerimento dell’amico Luigi Tivelli di aprire un dibattito. Lo faccio proprio con un suo pezzo che un po’ ricalca le cose che io avevo scritto nell’articolo del 7 di agosto, come me le aveva anticipate per telefono e che ora consegna in questa breve nota per chi fosse interessato ad interloquire sul tema per scienza ed esperienza.
Salvatore Sfrecola
“Ci confrontiamo ancora una volta con il Presidente Salvatore Sfrecola che dalla sua carriera significativa nella Corte di conti ha tratto fra gli altri aspetti grande dovizia giuridica, solida conoscenza dell’economia pubblica condite da una certa generosità. Dal 2001 quando eravamo colleghi Capi di gabinetto, lui col Vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini, io del Ministro per i rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi. Certo ho sempre saputo che lui è un liberale cavouriano con tendenze monarchiche, io sono un “repubblicano in Repubblica”, come amava dire il grande Vicepresidente della Costituente Giovanni Conti, che ha fatto di tutto nella sua carriera di Consigliere parlamentare della Camera, con molte fasi da Consigliere parlamentare in Presidenza del Consiglio eccetera, per essere e diventare sempre più al di sopra delle parti.
Insieme a Guglielmo Negri, già impareggiabile Vicesegretario Generale vicario della Camera, poi Consigliere di Stato, che però a differenza di tanti colleghi si era anche specializzato ad Harward nel 1951, l’altro mio maestro principale è stato Antonio Maccanico, tra l’altro grande Segretario generale della Camera dei deputati e della Presidenza della Repubblica con Pertini e Cossiga, molte volte ministro, eccetera. A dire il vero io avevo già letto da giovane “La Giustizia nell’amministrazione” di Silvio Spaventa che detta i fondamenti dell’imparzialità del servizio all’amministrazione, ma devo dire che sia Negri che Maccanico (di cui sono stato anche consigliere giuridico e portavoce) erano legatissimi al dettato dell’articolo 97 della Costituzione, quello che sancisce la separazione tra politica e amministrazione e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione.
Per questo fui tra i primissimi a criticare con forza quel pessimo punto di svolta che fu l’introduzione del ”sistema delle spoglie” nella Pubblica Amministrazione ad opera dell’allora Ministro della funzione pubblica, Franco Bassanini, nella seconda metà degli anni ‘90. Ho omesso poi di citare il senso dell’articolo 98 secondo cui “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”.
Ho sempre pensato che l’introduzione di quello che ho sempre definito “sistema delle spoglie all’italiana”, malamente mutuato e con effetti ben più degenerativi, dal sistema delle spoglie USA fosse e sia un vulnus ai principi dettati dal combinato disposto di quei due articoli della Costituzione.
Ricordo tra l’altro che ne discussi con un grande Presidente del Consiglio di Stato da poco scomparso come Franco Frattini, che dovette apprestare da Ministro della funzione pubblica del Governo Berlusconi del 2001, succeduto a precedenti governi di Centrosinistra, una sorta di contro spoil system, in quanto con la prima applicazione di quel sistema delle spoglie all’italiana una sorta di politicizzazione, con nomina fiduciaria o parafiduciaria da parte dei ministri o di fatto qualche sottosegretario no di tanti dirigenti di prima e anche di seconda fascia costringeva anche Frattini, che non credeva in quel modello in quanto Ministro della funzione pubblica, ad assumere contromisure. Nulla quaestio se lo spoil system si applica ai Capi dipartimento, ai Segretari generali e alle figure apicali ma farlo discendere fino alla dirigenza perfino di seconda fascia ha finito per snaturare la dimensione, il senso della pubblica amministrazione e del servizio allo Stato.
Veniamo però all’aspetto e alla funzione dei Capi di gabinetto che, con tanto zelo ed impronta strettamente fiduciaria, ha trattato l’amico Salvatore Sfrecola da queste colonne. Credo di aver scritto alcuni fra i libri e i saggi più significativi sui civil servant, salvo che qualcuno ritenga un saggio significativo qualche libro anonimo del tipo “Io sono il potere”, secondo il quale il Capo di gabinetto sembra l’uomo più onnipotente della Repubblica.
Esattamente due giorni fa sono andato volentieri, qui a Sabaudia, da dove scrivo, al premio Catricalà ed ho ripercorso ancora una volta la figura di Antonio che è stato volentieri e indifferentemente Capo di gabinetto di centrodestra o di Centrosinistra o ha assunto figure similari in governi di centrosinistra o di centro destra.
Come è noto ci sono delle personalità autorevoli cui spesso i ministri si sono affidati o si affidano per consigli sulla scelta dei Capi di gabinetto. Nel mio libro “Chi è Stato – gli uomini che fanno funzionare l’Italia”, del 2009, l’unico in cui c’è un lungo ritratto dialogo, intervista con Gianni Letta, il dottor Letta dichiara chiaramente che lui sia nelle scelte dirette che nei consigli si è sempre comportato come se non esistesse la norma dello spoil system.
Un’altra personalità con un’impronta più nettamente da grande professore e giurista come Sabino Cassese, da alcuni anni a questa parte denuncia con forza gli effetti del “sistema delle spoglie” e onestamente credo che ad entrambi sia capitato di dover suggerire per le posizioni di Capo di gabinetto indifferentemente figure per governi di centrodestra e di centrosinistra, in quanto richiesti di qualche consiglio.
Apprezzo, ad esempio, tra gli altri, per salire ad un livello più apicale la figura di Carlo Deodato, oggi Segretario Generale della Presidenza del Consiglio nel governo Meloni. Ma ricordo bene, come credo sapesse chi lo ha scelto per questo incarico nei mesi scorsi, che Deodato era capo del DAGL (il Dipartimento per gli affari Giuridici e Legislativi) nel governo a guida PD di Enrico Letta.
Ho chiesto lumi ad un ottimo ex Capo di gabinetto, oggi Capo del Dipartimento per l’editoria e la comunicazione della Presidenza del Consiglio, Luigi Fiorentino, che tra l’altro è anche uno dei pochi alti dirigenti pubblici che conosce e insegna il management pubblico e mi ha ricordato di aver fatto in anni non lontani indifferentemente il Capo di gabinetto per ministri della Lega o di centrosinistra o del Movimento 5 Stelle. Gli esempi potrebbero ampiamente proseguire. Credo di avere le idee abbastanza fresche perché sto licenziando definitivamente un libro dal titolo “I segreti del potere – le voci del silenzio”, oltre che un mio lungo saggio introduttivo fatto essenzialmente di ritratti e dialoghi con figure di civil servant. I migliori e più significativi di essi hanno appunto indifferentemente esercitato le loro funzioni con governi e ministri di colore diverso.
Nessun dubbio che il Capo di gabinetto è l’imbuto essenziale che deve avere in qualche modo rapporti fiduciari con il ministro, fra il ministro e l’amministrazione di riferimento. Ma c’è bisogno davvero di essere dello stesso colore del ministro per fare questo? Io preferisco quelli che, come nel mio piccolo, è capitato a me, hanno girato l’alta amministrazione, provenendo dal carriera di Consigliere parlamentare, tenendo sempre in tasca il senso degli articoli 97 e 98 della Costituzione. Ciò che ho sempre tentato di trasferire come insegnamento anche quando a suo tempo fungevo con qualche assiduità da docente di amministrazione pubblica alla allora Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione. Oportet ut scandala eveniant, direbbe l’amico Salvatore Sfrecola che pratica forse più di me i brocardi latini.
Pertanto, grazie Salvatore per aver aperto questo tema e questo fronte. Sarebbe bello e significativo che su questi punti intervenissero altre voci forse più competenti o con maggiore esperienza della mia. Che potrebbe dire ad esempio un Corrado Calabrò, che ha iniziato come Capo della Segreteria tecnica di Aldo Moro e attraversato poi da Capo di gabinetto decine di ministeri con ministri diversi di diversi colori? Che potrebbe dire l’ottimo de Lise? Ma che potrebbero dire anche altri di generazioni più giovani? Mi sembra che i civil servant italiani tante volte abbiamo un po’ di timore a misurarsi col confronto critico, che invece farebbe molto bene a tanti e pure al senso del servizio allo Stato, vuoi che tengano o non tengano in tasca gli articoli 97 e 98 della Costituzione”.