di Salvatore Sfrecola
Il minimo che si può dire è che dalle parti di via XX settembre, ed anche nello staff del Ministro, il Codice dell’Ordinamento Militare (d.lgs. 15 marzo 2010, n.66) è ignorato o, quanto meno, hanno saltato l’art. 1472 (Libertà di manifestazione del pensiero) secondo il quale “1. I militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione”. Altrimenti il Generale Roberto Vannacci sarebbe ancora al suo posto.
Non c’è da aggiungere null’altro. Neppure fare riferimento ai sacri testi delle democrazie liberali che esplicitamente riconoscono, tra i diritti fondamentali, quello di manifestazione del pensiero. Addirittura nella “Dichiarazione dei diritti e dei doveri dell’uomo e del cittadino”, in apertura delle costituzioni di fine ‘700, come nella Costituzione della Repubblica Cispadana del 19 marzo 1797: II. ”niuno può essere impedito a dire, scrivere, e pubblicare , anche con le stampe, i suoi pensieri”. O nella costituzione napoletana del 1799 all’art. 4: “La libertà di opinione è un diritto dell’uomo. La principale delle sue facoltà è la ragionatrice. Quindi ha il diritto di svilupparla in tutte le possibili forme; e però di nutrire tutte le opinioni che gli sembrano vere”.
Nel frattempo è intervenuta la Costituzione della Repubblica con il suo art. 21 il quale afferma che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. E è a questo principio che si uniforma il Codice dell’Ordinamento Militare con la disposizione richiamata in apertura di queste brevi considerazioni. Che devo necessariamente estendere ad alcuni aspetti del dibattito che ha infiammato giornali e televisioni. Cominciando, per allentare la tensione, da una frase scherzosa che si sente ripetere spesso ad ogni presentazione di libro. Alla quale provvederebbero persone che non l’hanno letto per illustrarlo ad altri che non lo leggeranno.
Bè, è certamente vero solamente in parte oggi. Dubito, infatti, che molti di coloro che hanno scatenato la polemica contro il generale per il suo “Il mondo al contrario” lo abbiano letto integralmente. Ma è certo, in questo caso, che molti lo leggeranno, come dimostra l’impennata degli acquisti su Amazon.
Io non l’ho ancora letto ma, abituato a recensire libri, mi sono fatto l’idea che quanti hanno scatenato la polemica su alcune frasi le abbiano estrapolate da un testo corposo ed interpretate trascurando l’intero contesto, il complesso del pensiero che ha ispirato l’Autore. Che, ovviamente, si può condividere o meno. Ma il tema non è commentare le singole espressioni, ma il diritto di un cittadino italiano di manifestare il proprio pensiero con un coraggio che indubbiamente gli va riconosciuto per essere palesemente consapevole che scriveva di temi coperti dal politically correct per cui avrebbe ricevuto critiche feroci. Tanto più nella consapevolezza che quel che il Generale ha scritto in gran parte è condiviso dalla maggioranza degli italiani. Altrimenti, se avesse detto cose stravaganti sarebbero stati in pochi a scrivere ed a chiedere la sua testa. Invece non è stato sufficiente che lo Stato Maggiore lo abbia rimosso dall’incarico ricoperto. “Non basta”, si è sentito dire. Insomma, ma è cosa nota, si può dire solamente quel che, per una evidente minoranza, è buono e giusto.
Ma questo – se ne facciano una ragione i critici del Generale Vannacci – in un regime liberale non è ammissibile. Perché, governi la destra o la sinistra, la Costituzione vale per tutti e la libertà di manifestazione del pensiero è ritenuta concordemente uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento. Un principio che, se investito dal Generale in sede di impugnazione del trasferimento, sarà senza dubbio ribadito dal Giudice amministrativo.