di Salvatore Sfrecola
“Se non ci fosse di mezzo una strage, ci sarebbe da ridere. Anzi, c’è da piangere pensando che costui è stato al vertice della Repubblica”, Presidente del Consiglio dei ministri e Presidente della Corte costituzionale. Così conclude Maurizio Belpietro su La Verità di oggi, un pezzo nel quale dà conto di una “brusca retromarcia del dottor Sottile indegna di un servitore dello Stato”, come titola a pagina 3. Giuliano Amato, in effetti, ne esce male, anzi malissimo dopo l’intervista a La Repubblica (“Ustica, onta per Parigi. Macron chieda scusa”), che l’illustre giurista, tra l’altro, accusa di aver travisato nel titolo il senso delle sue considerazioni sulla strage di Ustica, quando il DC9 dell’Itavia esplose in volo provocando la morte di 81 persone, tra passeggeri e membri dell’equipaggio.
Oggi, nel rispondere ad una richiesta di chiarimenti di Giacomo Amadori, sempre su La Verità, Amato dice “io ho solo rimesso sul tavolo un’ipotesi già fortemente ritenuta credibile, non perché avessi nuovi elementi, ma per sollecitare chi li ha a parlare, a dire la verità”. Intanto ha gettato scompiglio tra gli osservatori delle cose della politica, in particolare per l’evidente disagio che l’intervista ha determinato con il Governo francese, con l’effetto di mettere in difficoltà Giorgia Meloni che con il Capo dello Stato francese, Emmanuel Macron, ha avuto di recente più di qualche motivo d’incomprensione sulla politica dell’immigrazione e sulle relazioni con alcuni paesi del Nord Africa dai quali provengono i migranti, tutti in passato colonie di Parigi.
Non ha nulla di nuovo da dire Amato. Era stato immediatamente invitato a farlo da Giorgia Meloni se avesse avuto qualche elemento di novità, anche perché, rispetto all’ipotesi che l’aereo fosse stato abbattuto per errore da un missile lanciato da un aereo francese con l’obiettivo di colpire un diverso velivolo sul quale doveva essere il leader libico Muhammar Gheddafi, Amato aveva in precedenza, in tribunale e in Parlamento, modificato la sua versione dei fatti, come da lui immaginata sulla base delle risultanze delle indagini giudiziarie.
Ancora su La Verità François de Tonquédec, richiamando la testimonianza di Giuliano Amato l’11 dicembre 2001, nel corso del processo penale, lo accusa di essere un “giocoliere delle parole” che racconta delle divergenze di opinioni, ai tempi in cui era a Palazzo Chigi, tra lui e l’Ammiraglio Fulvio Martini, Direttore del SISMI dal 1984 al 1991, che sosteneva la tesi dell’esplosione interna, cioè della bomba a bordo del velivolo. Rispondendo a domande nel corso dell’istruttoria Amato aveva precisato come si era convinto della tesi del missile partendo da un documento ambiguo: “fui io che nella lettura degli elementi che venivano apportati dissi che nonostante questa conclusione assolutamente aperta… a me pareva che gli elementi nel loro insieme portassero oggettivamente verso il missile, ma io attribuii a me stesso lettore questa conclusione, non alle conclusioni che erano dal punto di vista delle parole usate, assolutamente aperte tra le due ipotesi”. Ecco il gioco delle parole del resto consueto nel giurista che gli fecero guadagnare l’appellativo di “dottor Sottile”. Sempre alla ribalta non solo da politico, che è normale tra chi vive anche dell’apparenza, ma anche da Presidente della Corte costituzionale, cosa non gradita ai più perché in quel ruolo, immaginato come super partes, l’apparire è assolutamente vietato perché attraverso parole, spesso in libertà per il gusto di essere sul proscenio, possono intravedersi idee che potrebbero poi guidare le sue scelte di giudice.
Da questo punto di vista Giuliano Amato alla Corte costituzionale, scelto dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, è un cattivo esempio di come non deve essere indicato un componente del Collegio del “Giudice delle leggi”. Ex segretario di un partito politico, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e poi Presidente del Consiglio Amato si è trovato inevitabilmente a giudicare della costituzionalità di leggi promosse o comunque votate da esponenti del partito o della maggioranza parlamentare della quale è stato esponente di primo piano o da lui stesso come Capo del Governo. Anche uno studente del primo anno di giurisprudenza comprenderebbe immediatamente che quella scelta non si doveva fare, che anche per i giudici scelti dalla politica, siano eletti dalla Camera in seduta comune, o nominati dal Capo dello Stato, un minimo di indipendenza va salvaguardata agli occhi del cittadino.
Ebbene quel giudice, che non ha avuto la sensibilità di non accettare la nomina in ragione della sua provenienza politica è stato ad ogni pie’ sospinto candidato a tutte le più alte cariche dello Stato, compresa la Presidenza della Repubblica, quando appariva difficile l’individuazione di un successore di Sergio Mattarella, poi confermato quasi per disperazione.
Adesso non sappiamo se uscirà definitivamente di scena. Certamente dovrebbe, anche per salvaguardare quell’immagine costruita attraverso i suoi studi di diritto costituzionale prima che la politica lo lanciasse sul proscenio con un copione ancora da scrivere giorno dopo giorno, con il rischio che l’intemperanza facesse premio sulla riflessione.