di Salvatore Sfrecola
Non conosco il Ragioniere Generale dello Stato, Biagio Mazzotta, che notizie di stampa vorrebbero in disgrazia presso il Governo perché avrebbe detto in più occasioni “no” ad alcune richieste concernenti la ricerca, tra le pieghe del bilancio, di risorse ritenute necessarie per coprire alcuni costi dei programmi di governo. E, da ultimo, anche di non aver fatto bene i conti sugli effetti del superbonus sul bilancio dello Stato.
Non conosco il dottor Mazzotta ma ho conosciuto alcuni dei suoi predecessori che negli ultimi decenni hanno fatto la storia dell’istituzione, da Gaetano Stammati a Vincenzo Milazzo, che Giulio Andreotti chiamò a Capo di Gabinetto della Presidenza del Consiglio, a Giovanni Ruggeri ad Andrea Monorchio a Vincenzo Grilli fino a Mario Canzio. Con alcuni ho avuto un rapporto come magistrato della Corte dei conti addetto all’Ufficio controllo tesoro, con altri, in particolare con Monorchio e Canzio ho dialogato anche nella veste di consigliere di ministri. Sempre ricevendo particolare collaborazione. Con molti “sì” e pochi “no”, mai ingiustificati, a prescindere, come avrebbe detto Totò. La mia esperienza mi induce ad invitare tutti coloro che scrivono della Ragioneria Generale dello Stato ad avvicinarsi a questa Istituzione con rispetto per il ruolo prezioso che svolge da sempre a garanzia della legalità della spesa, attraverso gli uffici centrali del bilancio costituiti presso i ministeri, mediante la verifica che il relativo importo non ecceda la somma stanziata in bilancio e sia imputata al capitolo pertinente. Mentre nella fase di formazione del bilancio la Ragioneria Generale attraverso l’Ispettorato generale del bilancio ha il compito di verificare le coperture in relazione ad una corretta valutazione degli oneri recati dalle leggi di spesa, compito spesso ingrato, che comporta a volte di dire “no” alla politica in una condizione di bilancio fortemente rigida, nel senso che gli stanziamenti di spesa spesso non consentono rimodulazioni e le entrate tributarie non assicurano nuove disponibilità in ragione della rilevante evasione fiscale. Eppure, studiando l’andamento della spesa, è sempre possibile reperire risorse. Infatti, la Ragioneria Generale ha contezza dell’andamento delle erogazioni attraverso il monitoraggio dei pagamenti assicurato dal sistema informativo delle tesorerie in tempo reale e può, pertanto, prevedere il formarsi di residui passivi (spese impegnate e non pagate nell’esercizio) o di economie in modo da individuare risorse disponibili per nuove o maggiori spese. Naturalmente questa ricognizione va fatta d’intesa con le amministrazioni che gestiscono i capitoli di spesa presi in considerazione. Si è sempre fatto in un dialogo tra i tecnici della Ragioneria e quelli dei ministeri perché la rimodulazione delle previsioni di spesa è comunque frutto di una scelta politica che coinvolge la responsabilità dei dialoganti. Lavoro complesso, impegnativo, che dovrebbe essere fatto lungo l’intero esercizio finanziario, non con l’affanno dell’ultima ora in vista della presentazione del disegno di legge di approvazione del bilancio di previsione dello Stato per il prossimo anno e per il triennio. E, soprattutto, senza la diffidenza, che ho percepito in più occasioni, nei confronti del Ragioniere Generale e dei suoi funzionari, i quali fanno il loro mestiere di custodi della finanza pubblica, e se da via XX Settembre giunge un “no” il più delle volte vuol dire che effettivamente gli oneri derivanti da una nuova spesa sono superiori a quelli indicati dai ministeri o dai partiti i quali tendono naturalmente a sottostimarli per rendere più agevole l’iter parlamentare dell’iniziativa. Di esempi se ne potrebbero fare mille e mille ancora. Basti, al momento, richiamare la polemica politico-giornalistica sul costo del superbonus che sarebbe stato sottostimato dalla Ragioneria, così facendo intendere che quell’“errore” sia dovuto all’intenzione di agevolare l’iniziativa del Governo dell’epoca. Quando i tecnici che dovevano stimare gli effetti delle misure, prima dell’approvazione, non avrebbero calcolato metà dei costi, sulla base di “relazioni tecniche sull’impatto delle misure” che – ha scritto Federico Fubini sul Corriere della Sera – “vengono dal Dipartimento delle finanze del MEF, sulla base di dati dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia per l’energia enea. Qui qualcosa sembra non aver funzionato…”.