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Una destra alla ricerca di una classe dirigente adeguata

di Salvatore Sfrecola

In Gran Bretagna le personalità più in vista della classe politica, soprattutto del partito Tory, i conservatori, hanno frequentato le migliori scuole del Regno, molti l’Eton College, dove sarà iscritto anche il Principe George. Studi classici e modernissimi dove accanto all’informatica si studia latino, greco, storia, diritto, economia ecc. In Francia Capi dello Stato, ministri, alti dirigenti dell’Amministrazione e delle imprese pubbliche e private provengono dall’Ècole Nationale d’Administration. Non deve, dunque, stupire se la classe politica italiana, in un Paese dove il degrado degli studi dura da anni, sia estremamente modesta, su entrambi i fronti. Tuttavia non è del tutto vero quel che scrive Dagospia, richiamando un articolo di Giulia Merlo per Il Domani: “La destra senza classe dirigente deve ricorrere ai servigi dei grandi vecchi: Amato, Cassese e Violante”. E ciò nonostante intorno ai partiti di centrodestra, maggioritari nel Paese, come attestano i risultati elettorali nazionali e locali, si muova un vasto mondo di studiosi, professionisti, alti dirigenti dello Stato e dell’imprenditoria pubblica e privata. Personalità che, tuttavia, a differenza di quel che accade a sinistra dove giornali, case editrici, istituzioni universitarie radunano e rilanciano i più idonei alle esigenze dei partiti, sono, nella maggior parte dei casi, del tutto abbandonate. Sicché di una classe dirigente “di destra” in senso proprio, organizzata ed operativa nei luoghi della politica e nella società non si può parlare.

Non lo dico solamente io e non da poco tempo. Un mio contributo ad una riflessione consapevole sulle ragioni della inadeguatezza del personale di partito, parlamentare e di governo, ho cominciato a fornirlo all’indomani della conclusione dell’esperienza del Governo Berlusconi-Fini quando, dopo un quinquennio di squilli di trombe e rullar di tamburi per cercar di far credere che si facesse qualcosa di buono e di duraturo per gli italiani, il risultato elettorale a maggio del 2006 fu umiliante, mandati a casa per un pugno di voti (26 mila circa).

Ne ho scritto in un libro che ancora oggi richiamano giornalisti ed osservatori della politica: “Un’occasione mancata – o una speranza mal riposta?”, edito da Pagine. Riflessioni suggerite da elementi tratti da due osservatori privilegiati, l’uno politico, Palazzo Chigi, l’altro tecnico istituzionale, la Corte dei conti, circa l’assoluta inadeguatezza dell’azione politica e di governo.

Scrivevo come i partiti, genericamente definiti di destra o di centrodestra, avessero trascurato nel corso degli anni di formare una classe dirigente politica di capacità adeguate, coadiuvata da personalità della cultura giuridico amministrativa ed economico finanziaria, capaci ed ideologicamente vicine. E così, al momento di formare le liste per le elezioni politiche e, successivamente, per la formazione del governo, accanto ad alcune personalità di valore, si son visti spuntare amici e compagni di scuola, belle ragazze e giovanotti eleganti, persone in ogni caso del tutto prive di cultura politica e di esperienza amministrativa eppure inserite in posizioni di responsabilità. A far danni. Incapaci di guidare le pubbliche amministrazioni attraverso le quali si realizzano gli obiettivi dell’indirizzo politico emerso dalle urne, quei partiti sono stati capaci solamente di gridare al complotto, all’occupazione del potere da parte delle sinistre, nonostante queste siano evidentemente minoritarie nel Paese.

Le ragioni di questo stato di cose sono evidenti e note. La classe politica recluta da molto tempo persone sempre più modeste che, a loro volta, giunte in posizioni di rilievo, hanno favorito altri ancora più modesti, in un degrado visibile soprattutto in quanti vengono indicati a ricoprire posti di responsabilità nei partiti, in Parlamento ed al Governo. Basti pensare alla circostanza che più di un governo ha schierato, in posizioni di elevata responsabilità, dei tecnici, in particolare dei funzionari.

La storia insegna che i partiti politici nascono per operare nei settori fondamentali della vita di una comunità ad iniziare dall’ordine pubblico e dalla sicurezza interna, per continuare con la giustizia, l’economia, l’istruzione. Il fatto che in alcuni recenti governi i partiti non siano stati in condizione di candidare una loro personalità per la funzione di Ministro dell’interno, cardine della sicurezza pubblica, e così della giustizia, dell’economia, dell’istruzione, dimostra in modo evidente che questi partiti non hanno saputo allevare personalità capaci di ricoprire quei ruoli. E, naturalmente, questi ministri tecnici si circondano di altri tecnici, che loro conoscono, con i quali hanno dimestichezza e che in qualche misura stimano.

Il centrodestra, infatti, non ha saputo non solo creare quella che ovunque nel mondo è la struttura parallela dei governi, cioè il “governo ombra” (lo shadow cabinet del Regno Unito che nella gestione del potere fa da anni scuola), nel quale personalità di rilievo nei partiti costituiscono punti di riferimento nei vari settori, ma non ha neppure in qualche modo impegnato personalità delle università, delle professioni, delle pubbliche amministrazioni in modo da creare intorno ai politici un’area culturale e professionale dalla quale trarre amministratori pubblici e tecnici da collocare accanto ai responsabili della politica, in Parlamento ed al Governo.

Neppure a livello locale la classe politica di centrodestra è riuscita a costruire una struttura adeguata. Emblematico il caso di Roma, la Capitale d’Italia! Dopo cinque anni di governo del Movimento 5 Stelle ci si è risolti all’ultimo momento a presentare per la carica di Sindaco un personaggio estremamente modesto, tanto che c’è stato chi ha ritenuto che non si volesse vincere. Quando sarebbe stato necessario, dal giorno successivo alla vittoria di Virginia Raggi, preparare una nuova classe amministrativa a livello di potenziale giunta comunale, individuando i responsabili del traffico, del verde, del decoro urbano, del patrimonio storico-artistico, perché i cittadini romani avessero un riferimento concreto in possibili futuri assessori.

Non si è fatto perché, fino all’ultimo momento, le correnti, i gruppi di potere hanno dovuto misurarsi nella scelta dei candidati in Consiglio comunale e nei Consigli municipali.

La stessa cosa è accaduta a livello nazionale. Abbiamo sentito dire dal centrodestra frasi di questo genere: “siamo appena entrati al governo e quindi non potevamo sapere del bilancio dello Stato”, dimostrazione evidente di incapacità, perché l’opposizione deve essere in condizione, nel momento in cui assume la responsabilità del governo, di assicurare la continuità della gestione pubblica. Per tornare al bilancio dello Stato, l’opposizione lo deve conoscere così come lo conosce il governo e deve essere pronta a modificarlo secondo il proprio indirizzo politico. Non deve aver bisogno di studiare dopo se ha saputo svolgere il proprio ruolo in precedenza.

A me sembra che le cose che vado dicendo siano come la classica “scoperta dell’acqua calda”. Non serve uno scienziato della politica o dell’amministrazione. Sono, queste mie, considerazioni banali, che ripeto con il dispiacere di chi ha atteso la vittoria del centrodestra, che ha guardato con simpatia ad alcuni personaggi, soprattutto al Presidente del Consiglio. Ma la realtà è questa. Nasconderla significherebbe non credere nella parte politica della quale si segnalano inadeguatezze.

Se, poi, scendiamo a livello di collaborazioni ministeriali la situazione è ancora più deprimente. Perché se il Ministro Crosetto, in un’intervista di inizio legislatura, ha detto che bisognava non rinnovare le nomine “politiche” effettuate dai precedenti governi (di sinistra), perché persone che evidentemente non condividono gli ideali politici del nuovo governo, non solo questa intenzione giustissima non ha avuto seguito, ma i nominati dalla sinistra sono stati confermati, anzi alcuni sono stati stabilizzati. Cioè negli apparati amministrativi è prevalente personale nominato dalle sinistre. Per non dire poi dei Capi di Gabinetto, dei Capi degli Uffici Legislativi che sono stati quasi tutti mantenuti nei loro posti. Solo in qualche caso hanno cambiato ministero.

Ora io ho scritto, ricevendo qualche limitata critica ma molti, qualificati consensi, che il Capo di Gabinetto, il quale è il primo collaboratore del ministro ed in suo nome dialoga con la struttura amministrativa, deve essere sì un bravo grand commis d’Etat ma deve anche avere una vicinanza ideale con il ministro perché solo in questo caso sarà non solamente un onesto esecutore delle direttive dell’autorità politica ma un elemento propositivo, come chi condivide una missione.

Assente una adeguata classe dirigente, spuntano gli Amato, i Cassese, i Violante, tutti da sempre lontani dalla destra liberale e conservatrice, una scelta che, scrive Giulia Merlo, “testimonia, per l’ennesima volta, il vuoto di classe dirigente d’area”.

C’è speranza che qualcosa cambi? Non si intravede nulla di significativo. Ma la speranza, come sappiamo, è l’ultima a morire!

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