di Salvatore Sfrecola
Non è questione di repubblica presidenziale o semipresidenziale o di premierato. Per assicurare la governabilità è necessario costruire una nuova classe politica. E per far questo la riforma centrale è quella della legge elettorale che i partiti continuano a trascurare parlando di percentuali e di premi di maggioranza, ignorando che la ragione di una scelta elettorale è quella affidarla al popolo, al quale va restituito il gusto di scegliere i propri rappresentanti. Il fatto è che i partiti non faranno mai una legge elettorale che consenta ai cittadini di scegliere. Al più potranno votare la lista e far eleggere coloro che propongono i partiti, anzi le segreterie dei partiti e, all’interno di esse, un nucleo piccolo di potenti.
D’altra parte, la carenza gravissima della classe politica è evidente, ed è stata evidente negli ultimi governi quando ruoli importanti che dovrebbero essere espressione normale dei partiti e della loro offerta politica, come il Ministero dell’Interno, quello dell’economia e quello della giustizia sono stati affidati ad estranei ai partiti. Ho scritto più volte che se questo è accaduto le ipotesi sono due: o i partiti disprezzano quel ruolo, e mi rifiuto di crederlo, oppure non hanno persone all’altezza dell’esercizio della relativa funzione. Anche in questo governo i ministeri che ho citato, l’interno e la giustizia sono affidati a estranei alla politica, a tecnici, e quello dell’economia ad una bravissima persona che però non è un economista.
Allora è evidente che il premierato, come nei mesi scorsi la repubblica presidenziale sono soltanto degli slogan con i quali la politica tiene vivo un dibattito che, ancorché la riforma fosse approvata, non assicurerebbe una nuova governabilità. Perché troveremo ancora molti ministeri affidati a tecnici, certamente “di area” ma non a politici allevati dai partiti. Per disporre di personalità di valore i partiti dovranno abbandonare l’attuale sistema di cooptazione e presentare al corpo elettorale, in collegi ristretti, i migliori perché i cittadini possano scegliere sulla base di una conoscenza diretta, al modo del sistema elettorale inglese che da anni assicura governabilità al Regno Unito. Lì effettivamente si sa, a distanza di poche ore dalla chiusura dei seggi, chi sarà il nuovo Primo Ministro, il leader del partito che ha avuto il maggior numero di parlamentari. In quel sistema, il potere dei partiti sta nei gruppi parlamentari, non nelle segreterie dei partiti o nei capicorrente.
Solo con una legge elettorale che restituisca il diritto di scelta ai cittadini questo Paese potrà avere una classe politica degna di un “grande Stato”, come Camillo Benso di Cavour qualificava il neoistituito Regno d’Italia quando indicava la futura capitale in Roma. L’Italia è, nonostante tutto, un “grande Paese” con una storia unica, erede di una cultura straordinaria, letteraria, storica, filosofica, artistica e musicale. Deve tornare ad essere un “grande Stato”, come l’avevano fatto gli uomini del Risorgimento e quanti lo avevano rinnovato nel dopoguerra con personalità di straordinaria capacità. Spesso ci troviamo a scherzare sugli uomini della Prima Repubblica, naufragata nelle aule di giustizia quando, abbandonato l’iniziale impegno morale, è stato accertato che concussione e corruzione dilagavano a tutti i livelli di governo. È stato il vichiano esaurimento di una classe politica che si è spenta senza rinnovarsi.
Quel tempo è passato. Resta un manipolo di modesti frequentatori delle stanze di un potere che non sanno neppure esercitare se non nelle nomine di amici e amici degli amici, inebriati da quello che per loro è “il potere” che non riescono a concepire come servizio alla comunità in esecuzione dell’indirizzo politico delineato in sede elettorale e presto dimenticato. Governare è da sempre un’arte difficile, occorre conoscere gli apparati e le norme che ne regolano il funzionamento. È così che i programmi diventano realtà percepita dalla gente.
Oggi, gran parte del personale politico non è all’altezza del ruolo e forse non se ne rende conto. E naturalmente i modesti si circondano di persone ancora più modeste. Non se ne esce. Se non, ripeto, con un rigoroso e doloroso cambio di classe dirigente con persone che si fanno conoscere, parlano con gli elettori, conquistano consensi nel campo avversario, trasmettono entusiasmo per le idee che professano. È così che funziona la democrazia. È così che si governa.