di Salvatore Sfrecola
È il mio piccolo, delizioso Presepe che mi accompagna da anni insieme ai tanti ricordi delle giornate liete del Natale di Cristo. Da quando mi innamorai della originalità di una creazione artigianale per la composizione, in un unico pezzo dei personaggi della Capanna, riccamente vestiti con tessuti ricercati, opera di una gentile signora che si dedicava a costruire una serie di figure collegate con la Festa della Natività. È il Presepe classico, con Gesù, Giuseppe e Maria secondo la tradizione dei Vangeli tramandata fino ai nostri giorni, contestata da un sacerdote in provincia di Avellino, oggi agli “onori” delle cronache per aver ritenuto di allestire un Presepe nel quale non c’è un ruolo per San Giuseppe. Nella Capanna, infatti, ha posto due mamme. Ed ha giustificato questa sua iniziativa spiegando nel corso di “Dritto e Rovescio” su rete 4 ad un Paolo Del Debbio a tratti sbigottito, a tratti inorridito che la sua scelta, in realtà, vorrebbe far rivivere il Presepe nella realtà di oggi. Sbagliando in modo grossolano. Perché il Presepe è la ricostruzione, in forme diverse secondo il gusto di chi lo ha costruito, di una immagine ricavata dai Vangeli come dato storico sul quale non si possono avere dubbi. Nella capanna sono Giuseppe, la Madonna e il Bambino Gesù. La storia va rispettata. Ma, dice il nostro sacerdote, nel pubblico che si accalca intorno alla Capanna oggi troviamo figure un tempo ignote alla tradizione, come il pizzaiolo o il pescivendolo, così dimostrando di confondere due aspetti molto diversi, quello storico appunto, che è intangibile nelle figure che la animano, che dovrebbero essere vestite come sappiamo dalla tradizione, e quello delle persone accorse per lo straordinario evento, passanti, curiosi, devoti nell’aspettativa ebraica del Messia, che possono ben essere rappresentative di realtà diverse dal punto di vista personale e lavorativo. Non più solo i pastori della Palestina a testimonianza di un popolo dedito soprattutto alla pastorizia ed a piccole attività artigianali, come il fabbro, che non manca mai, il pescatore e, naturalmente il falegname in omaggio a San Giuseppe.
Il nostro sacerdote, “nostro” per tecnica espositiva, perché lontano mille miglia dall’insegnamento evangelico può ben rappresentare altre realtà personali, come famiglie di fatto giuridicamente non legate da un matrimonio religioso o civile, ma non può farci credere che si possa presentare un bimbo con due papà o due mamme, come lui ha rappresentato nel Presepe, perché dovrebbe ben sapere del disagio che emerge in talune realtà nelle quali con quello che, a mio giudizio, è un disprezzo per i bambini, si soddisfa un egoistico desiderio degli adulti.
Di fronte al balbettio del sacerdote che forse non si rende conto del disagio che diffonde, ci consoli che molte città italiane ed europee continuano a mantenere alta la tradizione dei riti religiosi del Natale, festa alla quale ovviamente si accompagna, nella gioia della nascita del Cristo anche una serena prospettiva di svago per le famiglie, nella speranza di una pace che andiamo cercando da tempo e per la quale il messaggio cristiano dovrebbe costituire un elemento insostituibile di fiducia. Il Presepe, dunque, “da rappresentazione religiosa a simbolo anche laico di valori irrinunciabili”, così titola Sandro Gherro, professore emerito di diritto ecclesiastico dell’università di Padova, direttore di Opinioni Nuove il suo articolo introduttivo ad un fascicolo speciale dedicato al Natale nel quale ricorda il Presepe di Greccio, voluto da San Francesco otto secoli fa. Tema ripreso “anche per ancora riflettere su come il nostro Presepio che perpetua quell’evento, non soltanto simboleggi il mistero cristiano dell’Incarnazione, bensì anche proclami un valore di universale rilevanza antropocentrica…. La rappresentazione di Greccio – scrive il professor Gherro – ricorda plasticamente che Cristo si è fatto veramente uomo anche per la sua necessità di trovare accoglienza nella normalità della famiglia composta dall’unione consortile di un uomo e di una donna. E perciò confligge con la pretesa di omologare in questa normalità l’unione omosessuale, naturalmente sterile, ma con intenzionalità genitoriale da soddisfare tramite l’abominio dell’utero in affitto o almeno con l’adozione (e allora disattendendo l’antico brocardo dell’“adoptio naturam imitatur”). Matrimonio e famiglia dovrebbero essere ricondotti ad un genus con due species: quella “tradizionale” della bisessualità, della paternità e della maternità naturali; e quella incentrata sull’“affetto” della coppia omosessuale con il doppione artefatto della paternità e della maternità. Siffatta prospettazione non ha, in realtà, logico fondamento perché le due fattispecie sono antitetiche nell’essenza. Matrimonio e famiglia hanno trovato necessità di ricognizione e regolamentazione normativa in ogni società, anche elementarmente strutturata, perché la loro finalità procreativa trascende la sfera del privato interesse e impone un dover essere di responsabilità e di impegni che hanno pubblica – cioè necessariamente cogente – rilevanza. Mentre l’“affetto” dell’unione omosessuale si esaurisce nel rapporto duale ed è per sé pubblicamente ininfluente, così come l’affetto amicale o fraterno”.
Il Presepe è parte essenziale delle nostre radici, di una tradizione che ci accompagna da secoli. Che non potrà essere scalfita dal Parroco che elimina San Giuseppe o dalle maestre della scuola primaria “Edmondo de Amicis” di Agna, in Provincia di Padova, che hanno modificato i testi della recita di Natale togliendo i riferimenti cristiani e sostituito Gesù con “Cucù” in un’ottica di inclusione perché nessuno si offenda. Ma molti s’indignano.