di Salvatore Sfrecola
Il 6 dicembre 2023 il Comitato per il Patrimonio immateriale dell’Unesco ha proclamato il “canto lirico italiano” elemento del patrimonio immateriale dell’umanità, una decisione assunta per acclamazione in occasione della 18ª sessione dell’Intergovernmental Committee for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage in corso nel Botswana.
Il Patrimonio Immateriale, come indicato all’art. 2 della relativa Convenzione del 2003, è individuabile nelle tradizioni ed espressioni orali, incluso il linguaggio in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale; nelle arti dello spettacolo; nelle consuetudini sociali, riti ed eventi festivi; nei saperi e pratiche sulla natura e l’universo; nell’artigianato tradizionale.
Molto orgoglioso della decisione dell’UNESCO si è detto il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano: “Dopo un lungo e articolato lavoro, una grande eccellenza della nostra nazione ottiene un altro riconoscimento dall’UNESCO entrando a far parte del patrimonio immateriale. Si tratta di una consacrazione ufficiale di quello che già sapevamo: il Canto lirico è un’eccellenza mondiale, tra quelle che meglio ci rappresentano in tutto il pianeta. Ringrazio il Sottosegretario Gianmarco Mazzi per l’impegno che ha profuso nel concludere positivamente la candidatura”. A sua volta il Sottosegretario ha sottolineato che il riconoscimento è “un successo straordinario per la comunità dell’Opera, cui stiamo dedicando grandi energie. Abbiamo bisogno di unire le forze per questa forma d’arte, pilastro della nostra cultura, che più di tutte parla italiano. Il riconoscimento Unesco, alla vigilia della prima della Scala, è occasione di festa per tutto il mondo della lirica”.
Marco Tutino, compositore, tra i più impegnati nel Comitato che dal 2020 si è battuto per il riconoscimento, ha sottolineato come entrare a “far parte del patrimonio dell’umanità è per il nostro canto un fatto importantissimo. Un punto fermo che spero avrà conseguenze pratiche per il mondo della lirica, anche dal punto di vista di un maggior sostegno politico e istituzionale. Perché il nostro cantare è un tratto identitario, diverso dagli altri: nasce da una lingua dolce, piena di vocali, che permette ampie frasi melodiche. Il che lo rende un’arte unica e speciale”. E Beatrice Venezi, Direttore d’orchestra e Consigliere per la musica del Ministro, ha sottolineato che l’opera è una “forma d’arte viva, un pilastro fondamentale della nostra cultura”. Ed ha aggiunto: “mi auguro che questo importante riconoscimento rappresenti anche una sollecitazione ai direttori artistici e ai sovrintendenti dei nostri teatri, nell’ottica di un sempre maggior sostegno e valorizzazione del nostro tessuto artistico nazionale”. E qui va ricordato l’impegno straordinario dell’Unione degli Artisti (UNAMS) e del suo Segretario generale, Professoressa Dora Liguori, nella sollecitazione alle autorità ministeriali ed ai responsabili degli enti lirico-sinfonici perché siano valorizzate le eccellenze italiane che troppo spesso vengono sostituite da artisti stranieri non sempre di uguale livello. Sicché accade che, sempre più spesso, i nostri artisti vengono attratti dai migliori compensi di istituzioni estere.
Il traguardo raggiunto è il risultato di un lungo e faticoso percorso, avviato nel 2011 dal Servizio II – Ufficio UNESCO del Segretariato Generale del Ministero della Cultura, in collaborazione con la Direzione Generale per lo Spettacolo, su sollecitazione del Comitato per la salvaguardia dell’Arte del Canto Lirico Italiano cui hanno aderito, tra l’altro, la Fondazione Teatro Alla Scala di Milano, l’Accademia Nazionale Santa Cecilia di Roma, l’Associazione dei Teatri Italiani di Tradizione e Assolirica. Con il coinvolgimento delle principali realtà liriche italiane, i teatri, l’Assolirica, la Fondazione Rossini di Pesaro, l’Istituto di Studi Verdiani, il Centro Studi Pucciniani, la Fondazione Cini, l’Archivio Ricordi. Tutti riuniti nel Comitato che rappresenta oltre 30.000 addetti ai lavori, cantanti, accompagnatori, docenti, compositori, direttori d’orchestra, fonologi, musicologi, registi, scenografi, maestri di coro, maestranze. Tutti paladini di un patrimonio iscritto nel nostro Dna che va da Monteverdi a Verdi, dal Recitar Cantando al Melodramma all’Opera.
“Questa candidatura – fu il commento dell’allora Ministro del beni culturali, Dario Franceschini, in occasione della sua formalizzazione – nel momento in cui sono ancora nitide nei nostri occhi le immagini del coro dell’Opera di Odessa che intona il ‘Va, pensiero’ del Nabucco di Giuseppe Verdi in strada, sotto la bandiera ucraina. Una riprova di quanto l’espressione del canto lirico italiano sia autenticamente parte integrante del patrimonio culturale dell’umanità, che ad esso si rivolge nei momenti più bui per ritrovare luce, forza e bellezza”.
Si tratta della “consacrazione ufficiale di quello che già sapevamo” abbiamo sentito dal Ministro Sangiuliano, potremmo dire un’ovvietà perché è a tutti evidente che la musica è da sempre una delle massime espressioni della cultura italiana nel mondo e che, pertanto, dovesse naturalmente entrare a far parte del “patrimonio culturale immateriale”, una categoria nella quale s’intendono le pratiche, rappresentazioni, espressioni, sapere e capacità.
Ciò che rileva, in particolare, ai fini del riconoscimento non è la singola manifestazione culturale in sé, ma il sapere e la conoscenza che vengono trasmessi di generazione in generazione e ricreati dalle comunità ed i gruppi in risposta al loro ambiente, all’interazione con la natura e alla loro storia. Il patrimonio immateriale garantisce identità e continuità ed incoraggia il rispetto per la diversità culturale, la creatività umana, lo sviluppo sostenibile, oltre ché il rispetto reciproco tra le comunità stesse ed i soggetti coinvolti.
Quella della musica, del resto, è una realtà che nasce da lontano, dalle manifestazioni spettacolari nelle quali la fusione tra musica e canto si è manifestata in tutte le civiltà primitive. Come nel teatro greco, ad esempio, senz’altro determinante per la nascita dell’opera.
Nel Medioevo sappiamo che esistevano forme di spettacolo che possiamo definire vere e proprie opere ante litteram che nel Rinascimento saranno balletti e pastorali, rappresentate nelle piazze e nelle corti.
È sul finire del Cinquecento che l’opera avrà un simbolico atto di nascita nell’ambito della “Camerata fiorentina”, che produce il primo manifesto estetico e la prima teorizzazione del rapporto tra musica e dramma. Una struttura che si completa nel Seicento per merito, soprattutto, di Claudio Monteverdi, per divenire, dalla metà di quel secolo fino all’Ottocento inoltrato e a Puccini, lo spettacolo d’elezione in Italia, per ogni classe sociale.
Lo si vede nei teatri nel quali si uniscono amanti della musica e del canto di tutte le generazioni, uno spettacolo nello spettacolo che in occasione delle rappresentazioni più note richiama un gran numero di presenze.