di Salvatore Sfrecola
Perché stupirsi della maleducazione e dell’aggressività dilaganti negli istituti scolastici, in particolare di secondo grado, con insulti e violenze, pressoché quotidiani, ai danni dei docenti ad opera di studenti e genitor?. È la conseguenza, in ambito scolastico, della perdita di credibilità delle istituzioni, eredità del 1968, quando è stato tollerato all’università il “diciotto politico” che ha sfornato laureati di modesta cultura, sicché a molti di quelli che hanno scelto l’insegnamento è mancata l’autorevolezza che un tempo accompagnava i professori di liceo, ai quali noi studenti guardavamo con rispetto e timorosa ammirazione. Mai avremmo osato criticarli, neanche quando alcune interrogazioni ci sembravano eccessivamente severe. Come quell’ora intera a commentare due righe di Cicerone, che non riesco a dimenticare.
Ed a proposito di ricordi ne ho uno che trasmetto ai miei lettori. Mi diceva mio padre di aver individuato in un libro di un suo docente all’Università parti letteralmente copiate senza citare la fonte. Cosa scorrettissima ovviamente, non rara anche ai tempi nostri. Lo aveva raccontato a suo padre, mio nonno, professore di italiano e latino al liceo classico, il quale, nonostante il dato obiettivo della copiatura nel testo, aveva comunque intimato a mio padre di non permettersi di criticare il suo professore. Per un senso di rispetto per il ruolo, in questo caso forse eccessivo, che i cittadini devono alle istituzioni dello Stato.
Il Ministro Valditara, che si sta impegnando nel valorizzare il merito, regola fondamentale di ogni società, dimostrando di avere una visione prospettica del ruolo della scuola, anche perché è un uomo di cultura e di ricerca come professore universitario, si trova a fare i conti con una realtà che da anni è degradata. Basti pensare ai portoni delle scuole ed alle pareti imbrattate che tali rimangono nel tempo, alla bandiera nazionale esposta come fosse uno straccio dai colori incomprensibili, per rendersi conto che uno studente che non ha propri valori, tra cui il rispetto per l’istituzione e per i beni pubblici, si trova di fronte a una realtà che non induce al rispetto.
Pensate alle forme che in molti paesi sono conservate nel tempo ad identificare l’autorità pubblica. Pensate al Regno Unito, che noi consideriamo sempre la più antica delle democrazie moderne, dove le Guardie del Re indossano l’antico colbacco ma imbracciano un fucile modernissimo. Pensate ai giudici che indossano ancora la toga e la parrucca di un tempo perché il cittadino percepisca che in quell’aula si esercita la giustizia, essenziale funzione con la quale lo Stato garantisce la pacifica convivenza. Ad un confronto molte aule di giustizia nel nostro Paese sono deprimenti, come abbiamo visto attraverso le immagini delle cronache televisive. Giudici e avvocati si aggirano senza l’abbigliamento prescritto, trasmettendo un’idea di sciatteria gravissima che inevitabilmente agli occhi del cittadino avvilisce la sostanza. Non sono trascorsi molti anni da quando un mio amico, il Giudice Piero Cenci, al primo giorno in Tribunale si sentì richiamare per aver indossato uno spezzato, del quale peraltro era particolarmente orgoglioso, invece di un completo. Anche in Parlamento un tempo i Presidenti richiamavano gli uomini ad indossare giacca e cravatta, in mancanza della quale prontamente ne offrivano una all’incauto rappresentante del popolo.
Discuto spesso di scuola con un mio amico. Lui ritiene che in un contesto di istruzione di massa non si possa avere lo stesso corpo di docenti che aveva la nostra di qualche anno fa. Dissento, convinto che la scuola sia un investimento sul futuro della società, che i docenti debbano essere selezionati e ben pagati perché non si trovino nel dubbio di acquistare o meno un libro per aggiornare la propria preparazione.
Quelli del “diciotto politico” non sono solamente a scuola, ovviamente, sono nei ministeri, in Parlamento, in politica ed al Governo.
Ai miei tempi, il secolo scorso, ci assentavamo da scuola per protestare contro l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione Sovietica, non si occupavano le scuole che oggi gli studenti restituiscono alla normale fruizione con una coda di danni che il ministro Valditara intende far pagare agli occupanti. E qualcuno se ne stupisce, mentre è regola antichissima quella secondo la quale chi rompe deve pagare, il ripristino delle pareti imbrattate, l’acquisto delle suppellettili danneggiate. Sono beni del patrimonio pubblico, quindi di tutti, anche degli studenti che danneggiato e imbrattato e delle loro famiglie.
Quindi è giusto che gli occupanti paghino ed imparino che interrompere un pubblico servizio è un reato ed è espressione di arroganza perché si manca di rispetto nei confronti di chi intende seguire le lezioni. Richiamarli a ad una elementare regola di democrazia e di rispetto sarebbe educativo.
Ma anche questo nessuno deve averlo detto.
Ricordo che tanti anni fa, quando ero Procuratore Regionale della Corte dei conti per l’Umbria, lessi sul giornale che nel liceo artistico di Gubbio erano state imbrattate le pareti esterne e interne. Chiamai il Preside invitandolo a considerare che qualcuno avrebbe dovuto pagare il danno, o chi non è intervenuto ad impedire che questi fatti avvenissero o chi ha imbrattato. Insomma, conclusi “Signor Preside o paga lei o gli studenti e le loro famiglie”. I ragazzi capirono e la domenica, armati di pennello, riportarono a nuovo le pareti imbrattate.
Fu educativo. Nessun genitore si risentì.
Caro Salvatire, come non essere d’accordo?
Io nutrivo devozione per i mei professori.
Mi ricordo ancora del prof. Ghino Lazzari che ra stato allievo di Giosue’ Carducci.
Alla sua mort tutta una sscuola pianse.
Rppur era stato un docnte molto severo…