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Perché la destra non vuole riconoscersi liberale ?

 di Giuseppe Basini

La Destra italiana, nelle sue varie componenti, raramente si professa esplicitamente liberale nelle dichiarazioni dei suoi esponenti e praticamente mai nei programmi ufficiali. Come mai ? Intendiamoci, se la destra fosse illiberale, la cosa avrebbe senz’altro senso, ma non è così, tanto in economia (l’economia sociale di mercato) che nel diritto (il diffuso garantismo) che in politica estera (la scelta occidentale) la destra italiana, nei fatti, è sostanzialmente liberale (e in ogni caso infinitamente di più di una sinistra giustizialista sempre a rischio di un comunismo di ritorno), ma non lo dice. Perché ? Il fatto che praticamente in tutti gli Stati democratici e laici, sia pure con mille sfaccettature, le destre siano liberali e le sinistre socialiste, dovrebbe far riflettere, specie considerando che in Italia la principale tradizione liberale, degli Einaudi, dei Croce, dei Malagodi, dei Martino è sempre stata maggioritariamente orientata a destra e che da noi sia stata molto più rara la presenza di social-laburisti (o peggio) malamente camuffati col termine di “liberal”. Termine utilizzato nei Paesi anglosassoni per coprire con un nome ambiguo pulsioni livellatrici e stataliste, impopolari in quei Paesi se chiamate col loro vero nome di socialiste. 

E non è solo un caso di colonizzazione linguistica, come ad esempio l’errore di bandire anche da noi il termine negro in favore di “nero”, quando da noi era esattamente il contrario, perché erano le parole nero, muso nero e simili a voler denotare disprezzo e l’uso di termini della tradizione americana è sbagliato quando contraddicono quelli della nostra, generando confusione. 

Da noi conservatore è più un atteggiamento mentale di legame col passato, che una posizione ideologica e, d’altro canto, anche in America, col conservatorismo “libertarian”, stanno evolvendo verso una più chiara definizione, dato anche che, inoltre, oggi ci sono probabilmente più progressisti a destra che a sinistra. Nell’Europa continentale vi sono certo delle ibridizzazioni, ma liberale e socialista mantengono significati abbastanza precisi e opposti, molto più significativi che non liberal e conservatori, propri della tradizione anglosassone. Ma non è solo una distinzione semantica, è anche una preoccupazione politica che la destra deve tenere ben presente, quella del rischio di una perdita di valori, di una sua omologazione strisciante in un “centro” puramente pragmatico, in cui la principale preoccupazione sia solo di cancellare ogni riferimento a un regime ormai lontano. Un ricordo che a sinistra provano assurdamente a tener vivo anche se completamente scomparso. 

A una destra che si dichiarasse esplicitamente liberale, nessuno potrebbe chiedere strumentalmente continue abiure del bisnonno caporale della milizia o del saluto romano, la disposizione transitoria potrebbe essere tranquillamente dichiarata ormai decaduta in base proprio ai principi liberali e nessuno potrebbe fingere dubbi sulla sua democraticità o sull’unità nazionale. Eppure la destra esita, si autorappresenta in un immaginario conservatorismo storico, in uno scolorito socialismo tricolore, in un regionalismo spinto che da noi non ha mai funzionato bene, pur di evitare di fare una scelta chiara che il suo elettorato ha invece già fatto. Abbiamo lo Stato più pervasivo di tutti, con ben sei livelli di potere sulla testa del povero cittadino, la Circoscrizione, il Comune, la Provincia, la Regione, lo Stato nazionale, l’Europa comunitaria, tutti a fare leggi, regolamenti, disposizioni, che restringono le nostre libertà e vanificano le nostre proprietà. 

Gli Italiani, ogni volta che hanno intravisto la possibilità di una scelta di libertà, l’hanno votata, ma troppo spesso hanno poi dovuto assistere al riemergere del compromesso di potere con le opposizioni e le corporazioni, annidate nel profondo della burocrazia più estesa e ramificata d’Europa. Sul piano culturale, si perde tempo in operazioni grottesche come quelle di provare a recuperare personaggi incompatibili con la destra, come Gramsci o Pasolini, scordando completamente intellettuali come Maranini, Leoni, Ricossa o (perché no?) Guareschi, deviando da quel filone che da Pella, De Gasperi e Sturzo, a Giolitti, Salandra, Sonnino, fino a Pareto, Sella e Cavour, è stato il vero architrave della nostra Nazione nei periodi più felici della sua storia. 

Con gli amici della Destra Liberale, abbiamo predicato in questi anni al centrodestra di riscoprire le sue buone radici liberali, di riconoscerle, di averne la consapevolezza, per il bene suo, della Nazione e dell’intera Europa. Le radici della destra vincente del Risorgimento e di Vittorio Veneto. Il rischio, per la destra italiana è che il suo perdurante rifiuto di assumere anche ideologicamente le caratteristiche liberali delle destre occidentali, da De Gaulle a Reagan, la porti a cessare di essere destra per divenire un centro doroteo omologato. La Destra Storica è l’antica tradizione su cui innestare il nostro progetto per il presente, aperta alla scienza per costruire un futuro libertarian e occidentale, ma dentro la Storia nazionale italiana. La destra deve essere liberale proprio per poter restare destra. Una destra umanitaria, una destra liberatrice, una destra patriottica, una destra europeista, una destra liberale. 

(da L’opinione delle libertà, 9 febbraio 2024)

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