di Salvatore Sfrecola
In un eccesso di polemica nei confronti del Capo dello Stato qualcuno ha scritto che un Presidente della Repubblica eletto dal popolo non avrebbe commentato come ha fatto Sergio Mattarella l’uso dei manganelli durante le recenti manifestazioni per la Palestina a Pisa. Ipotesi, ovviamente, che non è dato verificare anche ad immaginare un Presidente della Repubblica omogeneo all’attuale maggioranza di governo. Che tuttavia non ha escluso, per bocca della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che qualche eccesso ci possa essere stato come è logico che sia nell’esasperazione che gli agenti di polizia possono aver sentito, coperti di insulti, di sputi, di calci, loro che difendono la legge e l’ordine, che istituzionalmente non sono pro o contro qualcuno.
Detto questo, vorrei soffermarmi su una persistente ipocrisia, appunto come ho titolato, riguardo al “presidenzialismo” perché, si dice, che come nel “premierato” restituisce potere al popolo, perché è il popolo che eleggerebbe il Presidente della Repubblica o il Presidente del Consiglio dei ministri. Nulla di più falso evidentemente perché il popolo eleggerebbe colui che fosse presentato dai partiti. Quindi Presidente della Repubblica in una Repubblica presidenziale o Presidente del Consiglio dei ministri in un regime di premierato viene eletto colui il quale, o colei la quale, è stato presentato dai partiti. Quindi la scelta del candidato è dei partiti e il popolo può solamente convalidare questa scelta. Indubbiamente è un fatto importante l’elezione diretta ma siccome il popolo non è in condizioni di sapere se il candidato Presidente o il candidato Primo ministro sarà un Cavour o non piuttosto un Facta, un Mussolini o un Giuseppe Conte è evidentemente ipocrita dire che lo abbia scelto il popolo. Una ipocrisia, tant’è vero che il sistema elettorale attuale porta in parlamento nominati, solo formalmente eletti.
Ricordo spesso, e vedo che qualcuno comincia a soffermarsi sul punto, che alla base della democrazia che noi abbiamo imparato dall’Italia liberale del Risorgimento, non dobbiamo mai dimenticarlo, sta il sistema elettorale che seleziona la classe dirigente anche rispetto alle indicazioni dei partiti. Perché in un collegio uninominale io posso presentarmi candidato anche se non ho un partito. E Vittorio Emanuele Orlando, una personalità straordinaria della politica e della cultura che ricordano solo i giuristi, ma noi vorremmo che il suo pensiero tornasse ad essere vivo nella realtà culturale di questo Paese, aveva una particolare predilezione per il sistema elettorale inglese che, attraverso i collegi uninominali, consente all’elettore di scegliere effettivamente un candidato e lo fa anche il rapporto alle idee degli altri candidati nello stesso collegio. Ad esempio, quando citiamo l’espressione “Porta a Porta”, per ricordare la trasmissione di Bruno Vespa, noi non pensiamo minimamente al fatto che in un collegio elettorale inglese il candidato deve realmente andare da porta a porta a chiedere il voto ed a confrontarsi anche con colui il quale non lo voterà perché in quel sistema l’elettore vuol sapere anche se il candidato che si appresta a votare o che pensa di votare sarebbe disponibile se e come a confrontarsi con l’avversario di altro partito.
È evidente che, anche nel sistema all’inglese i partiti contano, nel senso che le candidature autonome sono casi rarissimi però è possibile e comunque il confronto e il sistema di votazione impongono ai partiti di scegliere non l’amico, l’amico degli amici, il compagno di scuola, l’amante, il fratello o la sorella, la zia o la nonna, ma quello che sarà gradito all’elettore che da parentele, amicizie, simpatie non si sente attratto, perché vuole indentificarsi nelle capacità politiche di colui che lo rappresenterà alla Camera.
Va aggiunto che il sistema elettorale inglese ha dimostrato una straordinaria efficienza perché, da sempre, il giorno stesso della conclusione degli scrutini già sappiamo chi sarà il nuovo Primo Ministro, come ricordano sempre nei loro servizi i vari corrispondenti da Londra. Perché sulle sponde del Tamigi il sovrano nomina colui il quale risulta il capo del partito che ha vinto le elezioni, cioè il leader del Gruppo parlamentare più numeroso, il che significa che il potere dei partiti sta nei gruppi parlamentari che sono l’espressione autentica della forza del partito.
Nel Regno Unito la presenza di un sovrano favorisce il dibattito politico anche nelle forme più estreme perché il cittadino inglese sa benissimo che l’Inghilterra, la sua storia, il suo ruolo internazionale non sono in discussione perché il sovrano è al di fuori dei partiti e rappresenta l’unità e la continuità della nazione, la sua storia.
Quindi, basta con questo presidenzialismo, basta con questo premierato, con l’ipocrisia di ritenere che nell’uno o nell’altro caso sia il cittadino a scegliere effettivamente. Quel che serve all’Italia è un rinnovamento della classe politica ed a questo è funzionale una legge elettorale che restituisca la scelta al popolo. Ma, purtroppo, la nostra è una democrazia ancora immatura e, pertanto, fragile.