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Russia – Ucraina, speranze di pace e scenari di guerra

di Salvatore Sfrecola

Una cosa mi sento di dire con ragionevole certezza. Con l’attentato a Mosca l’Ucraina non c’entra, non fosse altro perché non ne aveva interesse. Commandos ucraini se avessero potuto avrebbero certamente attaccato, in territorio della Federazione Russa, un impianto militare, un deposito d’ armi, un segmento della logistica ferroviaria o stradale. Sono imprese che portano lustro ai combattenti di un paese in guerra, non una strage di innocenti. Sarebbe stato un boomerang.

Detto questo, poiché probabilmente non sapremo mai la verità, conviene fare qualche considerazione sullo scenario che si presenta al momento e sul quale gli analisti appaiono impegnati a delineare, sui giornali e negli interventi televisivi, possibili evoluzioni della crisi in atto attingendo a piene mani dai precedenti storici che, come sempre accade, non consentono una univoca interpretazione e, soprattutto, non permettono di formulare ipotesi di possibili sviluppi. E siccome il timore di un conflitto giustamente preoccupa, anzi terrorizza, la gente, si è sentito più volte fare riferimento al contesto nel quale si è giunti alla Prima ed alla Seconda Guerra Mondiale. 

Alla prima perché l’ultimatum dell’impero austroungarico alla Serbia parve subito una mossa imprudente. Infatti, prendersela con la piccola Serbia e chiedere che fosse riconosciuta la corresponsabilità di funzionari serbi perché un cittadino di quel paese, il giovane Gavrilo Princip, terrorista bosniaco di etnia serba, aveva ucciso a Sarajevo l’erede al trono d’Austria-Ungheria, l’Arciduca Francesco Ferdinando, parve ai più una iniziativa non sorretta dalle ragioni del diritto, al punto da portare all’invasione della Serbia e, quindi, all’intervento della Russia tradizionale difensore degli slavi. Tanto è vero che il governo italiano non ritenne si fossero verificate le condizioni per l’entrata in guerra a fianco dell’Austria e della Germania, paesi ai quali eravamo legati nell’ambito della Triplice Alleanza, patto militare difensivo stipulato a Vienna il 20 maggio 1882. Sicché, alla richiesta di intervento a fianco delle potenze dell’Alleanza, Re Vittorio Emanuele III poté rispondere all’Imperatore Francesco Giuseppe che l’Austria era l’aggressore non l’aggredito. 

Poi sappiamo degli sviluppi della vicenda, per cui un incidente tutto sommato simile ai tanti attentati che avevano interessato personalità delle corti e dei governi, ha provocato una deflagrazione mondiale mai vista prima con oltre quindici milioni di morti. 

Ancor più evidenti, ai fini dell’interpretazione della crisi tra Ucraina e Russia, sono agli occhi di molti analisti gli eventi che hanno portato alla Seconda Guerra Mondiale. Infatti, allora come oggi, un autocrate prepotente, Adolfo Hitler, ha ripetutamente saggiato la capacità di tenuta dei governi d’Inghilterra e Francia di fronte alla rivendicazione tedesche di sempre nuove annessioni territoriali, a cominciare dalla regione dei Sudeti, abitata da popolazioni di lingua germanica. In quei frangenti l’impegno a soddisfare il desiderio di pace delle loro popolazioni spinsero i governi inglese e francese, in persona di Neville Chamberlain e di Èdouard Daladier ad accettare la richiesta tedesca ed a convincere la Cecoslovacchia a cedere territori. Naturalmente il dittatore tedesco, come spiega bene Winston Churchill nella sua Storia della Seconda Guerra Mondiale, ha ritenuto di avere di fronte governi imbelli e deboli. E questo ha alimentato le sue pretese fino a quando non è stato possibile ai governi inglese e francese cedere o ulteriormente assistere al dilagare delle forze armate tedesche, a cominciare dall’invasione del Belgio. 

Le relazioni internazionali si reggono su regole antiche e collaudate di pace e valgono fino a quando i paesi interessati ne hanno convenienza o comunque devono rispondere alle aspettative dei popoli. Quando, come nel caso di Hitler ed oggi di Putin, i governi sono retti da dittatori che godono del consenso dell’opinione pubblica, comunque ottenuto, i rapporti tra stati rischiano di incamminarsi verso situazioni conflittuali sempre meno gestibili. Soprattutto quando il prepotente di turno è convinto che avrà la meglio, in tempi brevi e con perdite contenute. Purtroppo, spesso le democrazie appaiono, agli occhi dei dittatori, governi deboli perché vincolati dalla condivisione di opinioni pubbliche desiderose di pace. 

Che Putin sia inaffidabile come interlocutore di pace è sotto gli occhi di tutti. Ha annesso la Crimea e l’Occidente non ha reagito. Poi ha iniziato l’Operazione militare speciale affermando di dover intervenire a tutela della popolazione russofona del Donbass, ma non si è fermato all’occupazione di quei territori ed oggi alza il tiro affermando che gli attentatori di Mosca, catturati nei pressi del confine della Bielorussia in realtà erano diretti in Ucraina perché qualcuno avrebbe loro assicurato una “finestra”. Una evidente assurdità, considerato il presidio che l’esercito russo garantisce su quel confine. 

Quella del rapporto Russia – Ucraina sembra la storia del lupo e dell’agnello, della nota favola di Fedro nella quale il lupo asseriva che l’agnello, il quale beveva l’acqua a valle di un fiume, gliela avrebbe intorbidita. Perché contro chi ha deciso di fare un torto non c’è adeguata giustificazione o difesa che tenga.

E così, accade tra gli Stati ciò che si verifica tra le persone. I prepotenti, i bulli si fermano solo se percepiscono il rischio di trovare pane per i loro denti. Infatti, se la prendono solitamente con i deboli o i fragili, come si dice oggi. È sempre accaduto, pronti a desistere se la persona reagisce in modo adeguato o se interviene in loro favore qualcuno che possa dissuaderli. Ne erano consapevoli i nostri progenitori che applicavano la filosofia del si vis pacem para bellum. Che non è, come scioccamente si sente dire, un’espressione bellicista perché significa semplicemente che se vuoi la pace devi essere pronto a combattere. Ciò che dissuade l’aggressore. Perché chi inizia un’aggressione militare ritiene di poter prevalere. Nessuno, infatti, avvia un conflitto se è consapevole di rischiare una sconfitta. E così, “quando eravamo i padroni del mondo”, per evocare il titolo di un bel libro di Ando Cazzullo, la pax romana estendeva a larga parte del mondo conosciuto sicurezza e benessere. Quell’impero non c’è più e nessuno si dimostra capace di prenderne il posto, neppure l’Europa che dovrebbe avere nelle radici la cultura di Roma. Perché non ha una politica estera costante ed autorevole sorretta da un’adeguata capacità militare tale da rendere convincenti le proposte di pace. Molti autorevolmente la chiedono ma non riescono ad individuare le condizioni che possano portare i due contendenti neppure ad una tregua, perché la pace consegue necessariamente alla sconfitta dell’Ucraina o ad una onorevole soddisfazione delle ragioni di entrambe le parti. Ipotesi che al momento non s’intravedono, perché la sconfitta del Governo di Kiev certificherebbe il successo del novello Czar che si sentirebbe autorizzato a premere sulle repubbliche baltiche e sulla Moldavia che già da tempo manifestano preoccupazioni. Le stesse che hanno indotto la Repubblica di Finlandia ed il Regno di Svezia ad aderire alla NATO.

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