di Salvatore Sfrecola
“Declino”, “crisi”, “degrado” sono le parole che più spesso ricorrono nelle analisi sulle condizioni della democrazia in Italia, tra pulsioni populiste, aspettative di governi tecnici, maggioranze composite frenate dalla diversità degli interessi di riferimento. Sullo sfondo, la fine della distinzione tra destra e sinistra ha inaridito il dibattito politico che un tempo i partiti alimentavano attraverso scuole di formazione per quanti erano destinati a ruoli di responsabilità nelle istituzioni.
Anche il linguaggio politico appare confuso. Tutti, ad esempio, si dicono liberali, anche i postcomunisti, evidentemente perché quella qualificazione è apprezzata dall’opinione pubblica. Evoca grandi personalità della politica e della cultura, da Camillo Benso di Cavour a Giovanni Giolitti ad Alcide De Gasperi, a Benedetto Croce, grandi amministratori della cosa pubblica ed il filosofo della libertà.
Nel confronto tra i partiti e negli appelli all’opinione pubblica stenta ad emerge il riferimento a valori civili. Non basta infatti dirsi progressisti, conservatori, neoliberisti se non c’è una filosofia politica. Si preferisce parlare di “pragmatismo”, di “realismo”, di concretezza e “buon senso” in mancanza di scelte valoriali rispetto alle libertà civiche, alla crescita economica, alla redistribuzione dei redditi per dare concretezza al principio di uguaglianza, secondo le indicazioni della Carta costituzionale.
Questa situazione si riverbera sui rapporti istituzionali, in particolare fra Governo e Parlamento progressivamente depauperato del suo ruolo attraverso il massiccio ricorso voti su “questioni di fiducia” che impediscono il pieno dispiegarsi del dibattito e del potere emendativo dei provvedimenti governativi. Accade da tempo, anche quando i governi dispongono di maggioranze solide, evidentemente difficilmente governabili.
Costante è il contrasto tra politica e magistratura, al di là della tradizionale riottosità degli “eletti dal popolo” a sottostare ai controlli di legalità, per cui si ricorre a limitazioni, a volte spacciate come temporanee, in situazioni asseritamente emergenziali, delle verifiche di legittimità e contabili degli organi di controllo Ragioneria dello Stato e Corte dei conti. Le tensioni con la magistratura ordinaria sono un’altra caratteristica del tempo che viviamo, da quando l’inchiesta cosiddetta “mani pulite” ha travolto un’intera classe politica. Ancora c’è chi ne accusa le Procure della Repubblica. Ma la diffusione della corruzione è denunciata da uno dei protagonisti di quella stagione, il Segretario del Partito Socialista Italiano, Bettino Craxi, che nell’aula di Montecitorio il 3 luglio 1992 disse che i partiti, per le loro attività propagandistiche, promozionali ed associative, avevano fatto ricorso a “risorse aggiuntive in forma irregolare o illegale”. Ciò che fa giustizia di fantasiose ricostruzioni di complotti condotti da “poteri forti” interni o esterni.
Un recente studio scientifico sulla classe politica (“La classe politica italiana”, Il Mulino) della scuola senese di scienza politica, che fa capo al “Centro di ricerca sul cambiamento politico” (CIRCaP), condotto nella convinzione che “una piena comprensione dei fenomeni politici non può fare a meno di accurate investigazioni sul personale della politica” ha dato risultati allarmanti. La ricerca ha, dunque, monitorato le trasformazioni della democrazia italiana attraverso la continuità e il cambiamento osservati nelle attività dei governi, nella composizione sociologica e ideologica dei rappresentanti, nel loro reclutamento e comportamento quali decisori politici, nelle loro relazioni con i cittadini. Ed ha rilevato che la classe politica è piuttosto tiepida nei confronti del coinvolgimento diretto dei cittadini nei processi decisionali ai vari livelli di governo. Un atteggiamento condiviso da tutti i partiti. Anche il ricorso a votazioni “primarie” che si sono dimostrate ampiamente manipolabili, non ha favorito il coinvolgimento dei cittadini in misura significativa. Perché, è stato osservato, a fronte di un’apparente crisi della rappresentanza, la politica italiana rivela una diffusa visione negativa dell’opinione pubblica, cioè l’idea che i cittadini siano una fonte inaffidabile cui rimettersi per fondare le scelte di policy. I ricercatori ai quali si è fatto riferimento hanno sottolineato l’“ampio disprezzo”, così si legge nello studio, che caratterizzerebbe la visione della politica da parte dei cittadini. Una convinzione, largamente reciproca, con una classe politica che non trova nell’elettorato quei riferimenti di cui la democrazia rappresentativa inevitabilmente deve nutrirsi.
Il fatto è che la classe politica è selezionata in buona misura con gli stessi criteri del passato, essenzialmente in forma di cooptazione, ma senza che si formi nelle scuole e nell’esercizio di pubbliche funzioni secondo il cursus honorum che un tempo ne accertava l’idoneità a svolgere incarichi nelle istituzioni rappresentative o di governo. Il risultato della ricerca ha dimostrato anche che il personale politico in tal modo reclutato si sente isolato, rinchiuso in una fortezza, circondato da una spirale di sfiducia che si autoalimenta nell’immagine reciprocamente negativa tra elettori ed eletti, a prescindere dal loro orientamento ideologico. Spezzare questa spirale di sfiducia è il compito delle future generazioni di politiche ci politici e cittadini. Suggerire come farlo e tra gli altri il compito della scienza della politica.
Inoltre, l’Italia è certamente teatro di una crescente polarizzazione quanto agli orientamenti programmatici, che ha portato alla frammentazione della società e alla paralisi del processo decisionale, con partiti politici che si schierano su posizioni estreme, spesso più interessati a combattere gli avversari che a trovare soluzioni collaborative per risolvere i problemi del Paese.
Infine, non giova certo all’immagine della classe politica la ricorrente polemica con la Magistratura la quale lamenta modifiche di norme sostanziali e processuali che limitano le possibilità di esercizio dell’azione penale, mentre l’indipendenza del sistema giudiziario è messa in discussione da interferenze politiche e pressioni esterne. Anche i media sono stati oggetto di manipolazione politica e di consolidamento del potere di potentati economici cresciuti all’ombra della politica, minando la libertà di stampa e l’accesso dei cittadini a informazioni accurate e imparziali.
Affrontare il degrado della democrazia liberale di massa in Italia è l’impegno di questa stagione nella quale è fondamentale riaffermare i valori democratici, combattere la corruzione, promuovere il dialogo e la collaborazione tra le diverse fazioni politiche e rafforzare le istituzioni democratiche per garantire che siano in grado di adempiere al loro mandato al servizio dell’interesse pubblico. Deve provvedervi una legge elettorale che consenta al cittadino di scegliere, come segnalava oltre un secolo fa un grande liberale, Vittorio Emanuele Orlando.
(articolo destinato alla rivista “Intervento nella società”, diretta dal Sen. Riccardo Pedrizzi)