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La questione degli stabilimenti balneari tra Consiglio di Stato, Governo e pronunciamenti UE*

di Ignazio de Marco, Presidente on. della Corte dei conti
 
Quasi all’avvìo della stagione balneare il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3940 del 30 aprile 2024, ha dichiarato illegittima la proroga a fine 2025 delle concessioni balneari già scadute il 31 dicembre 2023 sicché i Comuni dovranno dare immediatamente corso alle procedure di gara per assegnarle in un contesto realmente concorrenziale. Ad avviso dei Giudici, le proroghe automatiche e generalizzate sono contrarie alle regole di concorrenza europee secondo cui, in caso di “scarsità della risorsa naturale”, le gare devono essere fatte. 

La decisione, richiamandosi ai principi della Corte di Giustizia UE (sent. del 20 aprile 2023) e alla giurisprudenza europea, si basa sull’esigenza di rendere più agevole l’accesso al settore da parte di nuovi operatori nonché di garantire ai cittadini una gestione del patrimonio nazionale costiero e una correlata offerta di servizi pubblici più efficiente e di migliore qualità e sicurezza, con conseguente beneficio della crescita economica e, soprattutto, della ripresa degli investimenti. 

Al problema sono interessati i titolari di circa 7.000 stabilimenti balneari, presenti sulle coste demaniali marittime italiane, cui si applicano gli effetti impeditivi risalenti a due sentenze “gemelle” n. 17 e n. 18/2021 – emesse in Adunanza Plenaria dallo stesso CdS – che avevano bocciato, in quanto illegittima, la lunga proroga automatica al 2033 contemplata dalla legge n. 145 del 2018 poiché in contrasto col diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE (c.d. Trattato di Lisbona, in vigore dal 1°.12.2009) e con l’art. 12 della direttiva n. 123/2006/CE (c.d. Bolkestein) tesa a eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento e di servizio, garantendo l’implementazione del mercato interno e il sotteso principio concorrenziale.

Le suddette pronunce avevano disposto la scadenza al 31 dicembre 2023 delle concessioni in essere e imposto le gare affermando che le Amministrazioni locali erano obbligate a disapplicare qualsiasi eventuale proroga, ai medesimi titolari, da considerare priva di effetto poiché elusiva degli obblighi comunitari.

Ad esse si è conformata la legge n. 118/2022 (Governo Draghi) – fatta salva, in alcuni casi e per ragioni obiettive, la “proroga tecnica” fino al 31 dicembre 2024 – prevedendo decreti attuativi per ri-disciplinare la materia. Il successivo decreto-legge “milleproroghe” del Governo Meloni n. 198/2022( convertito con legge n. 14/2023) ha, invece, spostato la proroga delle balneari al 31 dicembre 2024 e fissato al successivo 31 dicembre 2025 il limite ultimo di quella “tecnica”. Per giustificare, poi, la mancata applicazione della menzionata direttiva ha allungato le spiagge italiane da 8.000 a 11.000 km con una mappatura dell’ottobre 2023 includente molte aree di costa non accessibili e non soggette a concessioni (aviosuperfici, porti commerciali, aree industriali e aree marine protette, scogliere a picco sul mare e non raggiunte da una strada, ecc.) pur di dimostrare che le coste non sono “risorsa scarsa” da mandare a gara come il CdS, nell’Adunanza plenaria del 2017, aveva chiarito fosse da interpretare in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della “quantità” del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi e, di conseguenza, della domanda da parte di altri potenziali concorrenti oltre che dei fruitori finali del servizio.

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La sentenza n. 3940/2024 rappresenta, dunque, un ulteriore capitolo della Giustizia amministrativa per colmare il vuoto normativo (lasciato anche dall’attuale Governo) e dà spazio a chi critica le posizioni dominanti e di rendita degli attuali gestori, alcune addirittura da 90 anni, tanto più che il territorio balneare è un bene demaniale e va messo all’asta pubblica con gare di respiro europeo.

A parte la manifestazione degli imprenditori balneari, scesi in piazza a Roma lo scorso 11 aprile, la pronuncia ha avuto ampio risalto mediatico e contrastanti commenti in varie sedi (partiti politici, associazioni di categoria, operatori interessati, ecc.). 

C’è chi si è dichiarato “sgomento” oppure ha sostenuto che “ il potere legislativo spetta al Parlamento e la Magistratura deve far rispettare quella legge, non boicottarla” oppure che “Il Parlamento è stato esautorato e il Governo ricattato dai Tribunali amministrativi”.

Altri hanno affermato che «La mappatura delle coste, svolta nei mesi scorsi dal “Tavolo tecnico consultivo” (…) è frutto di un lavoro serio (…) volto a superare la procedura di infrazione e a definire una norma di riordino dell’intero settore(…).

Alcuni hanno, poi, ritenuto che «Il Consiglio di Stato continua a interpretare la direttiva Bolkestein secondo un indirizzo del tutto arbitrario, ben sapendo che non riguarda le concessioni demaniali”.

C’è chi, infine, è dispiaciuto che il Consiglio di Stato “(…) dia consigli sbagliati allo Stato e prescinda dalla realtà” oppure «(…) ha qualche problema con le misure, sia delle coste italiane che delle proprie competenze (…)”.

Per Bruxelles, invece, “la varietà delle diverse situazioni locali non può giustificare l’imposizione di una normativa nazionale che preveda una proroga automatica generalmente applicabile a tutte le concessioni balneari in Italia o, addirittura, un divieto generale di procedere all’emanazione dei bandi di assegnazione delle concessioni” come esplicitamente imposto dal citato decreto “Milleproroghe” che punta a mantenere in vigore quelle attuali “potenzialmente per un periodo illimitato o, comunque, indefinito”.

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In materia il “balletto” va avanti da una quindicina di anni dato che la prima proroga al 31 dicembre 2015 risale al 2009 ( legge n. 25/2010) cui sono seguite altre: nel 2012 (al 2020), nel 2018 (al 2033) con la legge n. 145 – contraria ai trattati sul funzionamento dell’Unione europea, mantenendo proroghe indiscriminate -, nel 2000 con la legge n. 77 (che aveva vietato alle autorità locali di avviare o proseguire procedimenti pubblici di selezione per l’assegnazione di concessioni balneari) per finire alla legge n. 118 del 2022 (c.d. Draghi).

Una continua melina sulle concessioni balneari invocando varie ragioni e, da ultimo, interponendo il “tavolo tecnico” e relativi criteri per determinare se, in Italia, esistano spiagge libere da mettere a gara; la vicenda ha assunto, peraltro, la coloritura di uno scontro politicoimperniato sulla strenua difesa dei diritti acquisiti. 

Non fare nulla ha significato, lasciare ai Comuni e Autorità portuali – cui compete la gestione del demanio statale – la discrezione sulle proroghe e su aspetti come i criteri con cui selezionare i nuovi concessionari, gli indennizzi a quelli uscenti e la durata dei futuri titoli. Tranne una minoranza di Comuni che hanno già effettuato le gare, la maggior parte si è, invece, avvalsa della proroga tecnica fino al 31 dicembre 2024: ad essi, però, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha inviato diffide per sollecitare la pubblicazione dei bandi, contestando il rinvio.

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L’Italia, al momento, si trova sotto una procedura di infrazione europea per il mancato rispetto della direttiva Bolkestein tanto più che il parere della Commissione UE, inviato lo scorso novembre, ha messo in discussione i dati sulla mappatura presentati da Palazzo Chigi. Bocciati, pure, i tentativi di sostenere che la proroga concessa nel 2018 sarebbe stata “concordata” con la UE e che è necessaria sia per evitare “innumerevoli richieste di risarcimento” sia per garantire “certezza dei rapporti giuridici”.

Tra poco inizierà la stagione estiva ma imprese e addetti del settore vivono sulla propria pelle l’incertezza per il futuro e c’è la minaccia di tenere le spiagge chiuse a discapito dei turisti e dei fruitori di esse. Un caos, dunque, per le concessioni balneari “della discordia”, che provoca allarme perché alimenta, tra l’altro, confusione e disparità di trattamento cui – in ottemperanza ai dettami del diritto europeo – bisogna porre urgente rimedio con una normativa di riordino del demanio marittimo che ponga fine ai rinvii e definisca l’annosa e critica situazione giuridica ridando certezze al comparto con procedure di gara, imparziali e trasparenti, circa il rilascio, limitato e non rinnovabile automaticamente, delle concessioni.

Occorre non perdere altro tempo e fare chiarezza sul punto anche perché il legislatore è già “fuori tempo massimo”, rispetto alle gare già effettuate o in fase di partenza, e rischia l’impopolarità se non riuscirà ad accontentare tutti (compresa l’opinione pubblica) .

Il Governo, peraltro, non ha trovato alcuna soluzione nell’attuale clima pre-elettorale e sembra avere idee assai confuse mentre la procedura europea di infrazione va avanti e i Comuni si muovono in ordine sparso. Per quanto consta, l’Esecutivo ha solo convocato per il 12 giugno prossimo un ulteriore “Tavolo tecnico” ristretto (escludendo i diretti interessati) ed è impegnato nei negoziati con la Commissione Ue nel tentativo di strappare un compromesso quanto più favorevole al nostro sistema. Senza dire che l’addotta mappatura del demanio marittimo è poco credibile poiché dichiara che il 33% dei litorali italiani è in concessione e il 67% è libero e concedibile: non essendoci, pertanto, “scarsità ” della risorsa naturale, sarebbe ex se possibile garantire la concorrenza richiesta dall’Europa e assegnare nuove concessioni sui litorali liberi, senza toccare quelle esistenti. 

Nel frattempo, Bruxelles dovrà decidere se fare ricorso alla Corte di giustizia europea contro l’Italia per obbligarla a conformarsi al diritto UE, pena una multa.     

*(Per gentile concessione del mensile “Ai venti lettori”, consultabile on line sul canale YouTube)

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