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Possibili effetti interni del voto europeo

di Salvatore Sfrecola

Ad una settimana dal voto europeo, quando i riflettori dei giornali e delle televisioni sono impegnati ad illuminare altri eventi, in particolare i lavori del G7 a Borgo Egnazia, nella splendida terra di Puglia, riprendo la penna per qualche considerazione sui risultati del confronto elettorale e sulle possibili conseguenze di medio e lungo periodo. Ciò in quanto il turno elettorale europeo dell’8 e del 9 giugno é stato presentato, tanto dai partiti della maggioranza quanto da quelli dell’opposizione, come un test sull’apprezzamento dell’azione del Governo dal suo insediamento. I partiti, infatti, hanno incentrato la campagna elettorale su temi di politica nazionale, le riforme della Costituzione, con l’introduzione del premierato, l’autonomia differenziata, la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri, con sullo sfondo le polemiche su talune criticità del sistema sanitario rese evidenti da liste di attesa che, per alcune patologie, danno il senso di un diritto negato. Solo a margine del confronto su questi temi si è parlato di Europa e del ruolo dell’Italia all’interno delle istituzioni dell’Unione.

Ha vinto il Centrodestra, così come è accaduto un po’ dappertutto in Europa, a dimostrazione che oltre all’apprezzamento per l’azione del Governo presieduto da Giorgia Meloni, a sospingere le liste della maggioranza ha concorso anche un vento favorevole, di quelli che spirano periodicamente con maggiore o minore intensità e cambiano le sorti della politica, secondo i corsi e i ricorsi di vichiana memoria. I quotidiani ne hanno preso atto nello spirito dell’indirizzo al quale si riferiscono: “Meloni vince, Macron crolla” (Corriere della Sera); “Ue destra a valanga” (La Repubblica); “Vincono Meloni e Le Pen” (La Stampa); “Meloni più forte in Europa” (Il Messaggero); “Governo promosso” (Il Giornale); (Adieu Macron, Europa a destra” (La Verità); “Euro schiaffo è svolta a destra” (Libero); “Europa a trazione Meloni” (Il Mattino); “L’Europa a destra” (Il Tempo); “L’onda nera squassa L’Europa. Meloni festeggia bene Schlein” (Domani); “Il voto per l’Europa rafforza il governo” (Il Resto del Carlino); “L’Europa si tinge di nero” (Il Secolo XIX); “Europa a guida centrodestra” (La Gazzetta del Mezzogiorno); “Cuore di tenebra” (Il Manifesto).

Al di là dell’euforia, in particolare di Fratelli d’Italia e della Presidente Meloni, certamente giustificata, un’analisi dei risultati elettorali però è necessaria in rapporto ai numeri, dei votanti e degli astenuti. A cominciare dal dato delle astensioni che, considerato con apprensione un po’ da tutti alla vigilia dell’apertura dei seggi, risulta sostanzialmente trascurato, preferendo i partiti parlare dei risultati in termini di percentuali. Un dato che nasconde la realtà del rapporto della politica con l’elettorato in particolare nel momento in cui le astensioni hanno superato il 50% degli aventi diritto al voto. Con la conseguenza che, essendo diminuiti coloro che si sono recati ai seggi, quelle percentuali indicano una sensibile riduzione dei consensi dei partiti. Per non dire che se la percentuale fosse riferita ai voti validi, escluse le schede bianche e le nulle, il dato sarebbe ancora più drammatico. Perché la disaffezione nei confronti della politica, in una elezione incentrata essenzialmente sulla scelta dei parlamentari europei di spettanza italiana, è resa evidente dalla elevata percentuale di partecipazione al voto nelle città dove si dovevano rinnovare sindaci e consigli comunali.

Il responso elettorale, inoltre, va analizzato per gli effetti che produce all’interno delle due coalizioni che si sono contrapposte, una sostanzialmente omogenea, quella del centrodestra, l’altra variegata, diversificata e frastagliata del centrosinistra. Le percentuali che abbiamo imparato a conoscere già la notte dello scrutinio, diverse da quelle delle precedenti votazioni per le europee del 2019 e per le politiche del 2022, ci dicono che i voti, come distribuiti all’interno delle due coalizioni, condizioneranno necessariamente il dibattito dei prossimi mesi.

Per quel che attiene alla coalizione di Centrodestra il dato più significativo, oltre al successo di Fratelli d’Italia, la cui percentuale peraltro, in ragione della riduzione degli elettori, denuncia una perdita di consensi, è rappresentato dall’aumento dei voti di Forza Italia, un partito che solo qualche mese fa molti ritenevano destinato ad una progressiva estinzione in quanto inizialmente concepito come un “partito personale”, legato indissolubilmente alla figura del fondatore e leader per tanti anni. Invece, questo partito che ha sempre rivendicato, anche con le parole di Silvio Berlusconi, il ruolo di espressione dei moderati è stato incarnato in modo adeguato dal Vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Antonio Tajani. La sua figura è emersa in modo significativo in relazione all’esperienza di parlamentare europeo, di Commissario e infine di Presidente del Parlamento europeo. Questo curriculum e la stessa personalità di Tajani, come appare nelle interviste e negli interventi televisivi e parlamentari, ha convinto una fetta significativa dell’elettorato moderato e liberale a difesa dei valori della identità nazionale e della storia italiana. Il fatto stesso che a tratti, a volte in tono polemico su alcuni giornali, sia emersa la sua giovanile adesione all’Unione Monarchica Italiana ne fa un politico sensibile ai valori risorgimentali e unitari.

Il terzo partito la Lega, che qualche anno fa mirava all’“indipendenza della Padania”, con un accentuato spirito secessionista soprattutto nelle frange estremistiche, in particolare del Veneto, ha cercato invano di evocare un’ispirazione liberale e nazionale, anche grazie alla “Destra liberale”, componente a lungo guidata da un suo parlamentare, Giuseppe Basini, è oggi in grossa difficoltà se lo stesso fondatore, Umberto Bossi, ha esplicitamente affermato, alla vigilia del voto, che avrebbe scelto Forza Italia.

Questo scenario non può essere trascurato perché i tre partiti che rappresentano realtà e storie diverse, pur collaborando lealmente, tendono ad evidenziare diverse sensibilità: Fratelli d’Italia si intesta essenzialmente il premierato, cioè la riforma costituzionale del governo con significative revisioni del rapporto con il Parlamento e il Presidente della Repubblica, Forza Italiala riforma della Giustizia nel solco delle idee di Silvio Berlusconi, separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, ridimensionamento di alcuni reati e il contenimento di quelle attività di investigazione ritenute invasive della privacy, mentre la Lega si è caratterizzata fin da subito per pretendere un’ampia autonomia in forma “differenziata” che vede fortemente critici alcuni ambienti degli altri partiti della coalizione. È, dunque, immaginabile in prosieguo di tempo che, per recuperare visibilità agli occhi del proprio elettorato, ogni partito tenti di enfatizzare la parte delle riforme che ha concorso a delineare.

Questa “competizione” interna al Centrodestra potrebbe essere occasione di contrasti anche nella prospettiva, ritenuta inevitabile, del ricorso al referendum che potrebbe dare fiato ai megafoni della sinistra variamente dipinta che fin d’ora difende a spada tratta l’attuale assetto dei poteri costituzionali. Allo stesso tempo non può essere trascurata la personalità di Elly Schlein e la sua capacità di aggregare anche al di fuori delle forze proprie del Partito Democratico.

La navigazione del Governo Meloni, quindi, potrebbe non essere così semplice come può apparire a prima vista perché sia Forza Italia che la Lega, partiti che hanno collaborato in un recente passato anche con forze di sinistra, come nei governi Conte1 e Conte2 e nel governo Draghi guarderanno con sempre maggiore attenzione al consenso nella prospettiva dei futuri appuntamenti elettorali.

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