mercoledì, Novembre 27, 2024
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Alla ricerca del “senso dello Stato”

di Salvatore Sfrecola

“Senso dello Stato zero”, ho sentito ripetere più volte da Gianfranco Fini, Vicepresidente del Consiglio dei ministri, di ritorno da qualche riunione con gli alleati di governo. Non gli ho mai chiesto a chi si riferisse. Non c’era bisogno. Intuitivamente l’osservazione doveva essere riferita a qualche esponente del partito del Presidente-Imprenditore o a qualche padano di quelli che avevano in uggia il Tricolore, che non zittivano coloro che a Pontida dicevano “sono veneto non sono italiano”. Indubbiamente in quel governo c’erano elementi di valore che avevano alto il senso dello Stato, come il liberale Antonio Martino o il cattolico Rocco Buttiglione. Ricordo che entrambi si presentavano in Consiglio dei Ministri con sotto braccio alcuni libri appena comprati in una delle librerie nei dintorni di Palazzo Chigi, la Feltrinelli o la Libreria Montecitorio. Uomini di cultura circondarti da collaboratori di elevata professionalità. Ricordo accanto al Ministro della difesa Martino il Generale dei Carabinieri, che poi avrebbe assunto il Comando Generale dell’Arma, Tullio Del Sette, Capo dell’Ufficio legislativo e il Consigliere di Stato Giuseppe Severini, un giurista raffinato cultore di storia, suo Consigliere giuridico. Buttiglione aveva come Capo dell’Ufficio legislativo un atro Consigliere di Stato, Francesco Caringella. I suoi interventi nelle riunioni preparatorie del Consiglio dei ministri erano lezioni di diritto.

Potrei ricordare altri, servitori dello Stato con grande preparazione, anche accanto a quelli che, secondo Fini, avevano un senso dello Stato pari a zero. In qualche modo riuscivano a far riflettere l’autorità politica con la quale collaboravano. Ed alla fine le istituzioni erano salve.

Ecco, le Istituzioni, con la “I” maiuscola, secondo la consuetudine espressa dalla classe politica liberale, quella che aveva contribuito all’unità d’Italia, che in qualche modo avevano frenato l’esuberanza fascista, che, al ritorno della democrazia, ha accompagnato la ripresa economica e sociale del Paese devastato dalla guerra, di cui si è detto da molti ieri, in occasione del ricordo dell’azione politica di Alcide De Gasperi nel 70° della sua morte.

Quella classe politica ha avuto una notevole capacità riformatrice espressa nel tempo dalla legislazione di impronta sociale, dall’attenzione ad un’amministrazione capace di realizzare importati obiettivi, si pensi al “piano case” di Fanfani o alla costruzione dell’Autostrada del Sole in soli quattro anni, un’arteria che ha cambiato radicalmente il sistema del trasporto su gomma da Nord a Sud.

È stato possibile, nonostante l’alternanza dei governi oggi demonizzata, con direttive chiare, l’assunzione di responsabilità da parte di un’amministrazione che conservava elevate professionalità, dal Ministero dei lavori pubblici a quelli del Tesoro e delle Finanze. Sono gli anni della riforma tributaria del Ministro Vanoni. Tra politica e amministrazione correva un ottimo rapporto. Ministri di valore con collaboratori di esperienza, tratti dalle stesse amministrazioni e dalle magistrature amministrativa e contabile e dall’Avvocatura dello Stato non hanno fatto passare invano il tempo che il Parlamento aveva dato mettendo a disposizione le risorse necessarie per l’acquisizione dei beni e dei servizi ritenuti di interesse pubblico.

In quegli anni i rapporti tra le Istituzioni erano caratterizzati dal reciproco rispetto, quello che oggi si definisce anche “leale collaborazione”. Il Parlamento era al centro della vita politica. Ad uno scranno, alla Camera o al Senato, si accedeva dopo una esperienza maturata in sede di amministrazione locale, Comune o Provincia. Per assumere un incarico ministeriale bisognava aver dimostrato esperienza sul campo, in Parlamento o in un ente locale. Il sistema elettorale, ancorché criticato (!) assicurava all’elettore un minimo di scelta nel senso che anche l’ultimo della lista presentata in un collegio poteva essere eletto se avesse avuto consenso. I parlamentari svolgevano il loro ruolo nel rispetto delle prerogative del Governo che non mancava di dialogare con le Camere in sede di esame delle proposte di legge per le quali le amministrazioni contribuivano a definire l’aspetto tecnico dei testi.

Nessun contrasto rilevante tra politica e Magistratura, come tra politica ed organismi di garanzia, come la Ragioneria Generale dello Stato, che pure è un Ufficio dell’Amministrazione del Tesoro, e la Corte dei conti. Ferdinando Carbone per sedici anni Presidente della Magistratura contabile, già Segretario generale della Presidenza della Repubblica con Luigi Einaudi, ricordava spesso che i giudici dei conti erano stati i primi ad essere disciplinati all’indomani della formazione del Regno d’Italia e che nell’occasione della inaugurazione della Corte il Ministro delle finanze, Quintino Sella, in rappresentanza del Governo aveva sollecitato i magistrati a controllare con la massima attenzione gli atti dell’Esecutivo per riferire al Parlamento di eventuali illegittimità. Continuava ricordando anche che il rispetto per la Corte era stato mantenuto in un momento buio della storia d’Italia quando Benito Mussolini, che certo non era un liberale come Sella, non si risentiva se la Corte negava il visto di legittimità ad un atto. Chiedeva la registrazione “con riserva” assumendosi la responsabilità politica della decisione.

Nel tempo la politica e l’amministrazione sono cambiate. I partiti, meglio le segreterie dei partiti, hanno preso il sopravvento sulle scelte dell’elettorato e sono giunti al potere uomini dalla vista corta, che pensano di conquistare posizioni nei ministeri, nelle amministrazioni locali e negli enti al solo scopo di mantenere ed ampliare il loro potere. Lo ha detto bene Bettino Craxi intervenendo alla Camera quel 3 luglio 1992 quando ha affermato che “tutti sanno del resto che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. I partiti, specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali ed associative e con essi molte varie strutture politiche operative hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare o illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale”. Ed aggiungeva: “non credo che ci sia nessuno in quest’aula responsabile politico di organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo, perché presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro”.

È il contesto che cambia i rapporti con le Istituzioni e, in genere, con gli organismi di garanzie e di controllo. Con la Magistratura ordinaria, in primo luogo, e poi con la Corte dei conti. Di questa è vero che si attua il decentramento sia del controllo che della giurisdizione ma comincia ad essere contestata la richiesta di risarcimenti di ingenti danni erariali che aumentano nel tempo anche a causa della legislazione sempre meno tecnicamente adeguata e della diffusa incapacità dell’amministrazione pubblica di controllare l’esecuzione di appalti di opere e servizi, tanto che si istituisce una specifica autorità di vigilanza che, poi, confluisce nell’Autorità Nazionale Anticorruzione (A.N.A.C.). Anche questa, sembra che dia fastidio. Come la Corte dei conti, sollecitata ad intervenire in caso di sprechi da chi era all’opposizione che oggi, al governo, ritiene invada campi riservati al Governo. La coerenza non è della politica, si sa. Ma un tempo c’era un certo pudore nell’assumere alcune iniziative che ricadono nella categoria del senso dello Stato pari a zero. 

Vorranno i partiti tornare alle antiche virtù? Soprattutto quanti si definiscono liberali e magari “di destra”. Oppure cambino definizione. Con Camillo di Cavour e con Quintino Sella non hanno niente da spartire. Ma quel che è ancora più singolare neppure con il Cavaliere Benito Mussolini, prepotente, manipolatore dello Statuto Albertino, ma rispettoso della Ragioneria Generale dello Stato e della Corte dei conti.

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