di Salvatore Sfrecola
Le disfunzioni nei servizi pubblici, dalla sanità ai trasporti, indignano da sempre i cittadini che vi individuano spreco di denaro pubblico, cioè delle risorse che essi, con personale sacrificio, mettono a disposizione dello Stato e degli enti territoriali pagando imposte e tasse. Il catalogo delle lamentele è ricco di esempi, dall’acquisto di beni e servizi non necessari o inidonei allo scopo indicato nelle motivazioni della decisione di spesa, oppure acquisiti ad un prezzo superiore a quello giusto. Poi, opere pubbliche realizzate non a regola d’arte ed a costi eccessivi, spesso dilatati a causa dei ritardi nei tempi di lavorazione, oppure abbisognevoli di interventi di manutenzione straordinaria a breve distanza dal collaudo. In ogni caso il sospetto è che dietro questi costi non necessari ci sia un illecito, che siano la prova dell’incapacità delle pubbliche amministrazioni di scegliere il privato contraente e, soprattutto, di controllare l’esattezza della fornitura del bene o del servizio. Un’incapacità che il cittadino spesso ritiene sospetta, tanto da dubitare che sia frutto di corruzione.
La polemica sugli sprechi monta soprattutto nell’imminenza della definizione delle politiche di bilancio, quando i governi sono alle prese con istanze dei cittadini che non possono essere soddisfatte per mancanza di risorse adeguate. E allora si sollecita il taglio delle “spese inutili”, cioè degli sprechi, in modo da liberare risorse per finalità di generale interesse.
Monta la protesta del cittadino, della quale si fanno portavoce soprattutto i partiti di opposizione, e finché sono in quella condizione, perché, una volta assunte responsabilità di governo, inevitabilmente subiscono la critica che loro, in precedenza, riversavano sugli avversari. Accade da sempre anche in tempi di regimi assoluti, sicché Giovanni Botero, gesuita, scrittore e filosofo, ne scriveva già nel 1589 nel suo “La ragion di Stato”, uno straordinario volume nel quale dava consigli ai principi invitandoli a quello che oggi chiameremmo buon governo. In un capitolo del Libro Primo intitolato “Della giustizia del Re co’ sudditi” scriveva: “I popoli sono obbligati a dare al suo Prencipe tutte quelle forze che sono necessarie acciocché egli li mantenga in giustizia tra sé e li difenda dalla violenza de’ nemici, onde egli, contenendosi entro questi confini non lacererà e straziarà i sudditi con gravezze insolite e sproporzionate alle loro facoltà, né permetterà che le gravezze ordinarie e convenienti siano da’ ministri rapaci acerbamente esatte o accresciute, perché i popoli aggravati sopra le loro forze o desertano il paese, o si rivoltano contra ‘l Prencipe, o si danno a’ nemici”. Poche righe per indicare da un lato le funzioni dello stato, la giustizia e la difesa dai nemici esterni, dall’altro le regole di un prelievo fiscale che sia ragionevole, rapportato alle effettive possibilità dei cittadini, con invito a vigilare sul comportamento dei ministri, una affermazione che in qualche modo sottolinea il ruolo del sovrano al di sopra del governo che pure fa a lui capo. Un suggerimento che vale anche nelle democrazie liberali nelle quali il Capo dello Stato riveste un ruolo di garante della legalità costituzionale, sia un Presidente o un Re.
Non finisce qui la sollecitazione di Botero nei confronti del Principe. Scrive, infatti, che “né meno si deve guardare dallo spendere le entrate (che non sono altro che sudore e sangue de’ vassalli) vanamente, perché non è cosa che più affligga e più tormenti i popoli che ‘l veder il suo Prencipe gittare impertinentemente il denaro ch’essi con tanto loro travaglio e stento gli somministrano per sostegno della sua grandezza e per mantenimento della Repubblica”.
Nulla di nuovo sotto il sole, si potrebbe dire, perché il potere politico ha costantemente cercato di realizzare i propri programmi spesso forzando le regole che lo stesso si era date spesso privilegiando persone o istituzioni della stessa parte e trascurando gli interessi generali della comunità anche contrastando le istituzioni che pure hanno il compito di assicurare la corretta gestione del denaro e dei patrimoni pubblici. Perché se, da un lato, il denaro che alimenta i bilanci va speso oculatamente nell’interesse generale, dall’altro, i patrimoni pubblici, che in Italia sono particolarmente ricchi di immobili costruiti nel corso del tempo per soddisfare le esigenze del potere e degli uffici delle amministrazioni unitamente alle raccolte d’arte, risultato dell’impegno lungo i secoli di artisti straordinari impegnati dal mecenatismo di sovrani e della Chiesa, meritano la massima cura.
Scrittori e giornalisti sono da sempre impegnati sul tema degli sprechi, come i cittadini che ne scrivono ai giornali per chiedere come mai sia possibile che disfunzioni gravi seguano la realizzazione di opere pubbliche e la loro gestione nel corso del tempo. Come sia stato possibile, ad esempio, che di un ponte di grande importanza per il traffico di Genova sia stata trascurata la manutenzione da parte del concessionario e dell’ente concedente al punto che quell’opera è collassata trascinando nel vuoto decine di utenti.
Ed è per rispondere alla richiesta di verità sugli sprechi che l’Associazione italiana giuristi di amministrazione ha pensato di istituire uno specifico osservatorio per sollecitare chi di dovere ad intervenire, siano le amministrazioni deputate alla gestione di beni o servizi, siano gli organi di controllo interni come gli uffici di ragioneria o esterni come la Corte dei conti che, tra l’altro ha il compito di giudicare se questi sprechi siano conseguenza di condotte gravemente colpose o addirittura dolose di pubblici amministratori o dipendenti ai quali la legge impone di richiedere il risarcimento del danno.
Lo segnaliamo alla politica, soprattutto a quella che afferma di avere alto il “senso dello Stato” ma che, di tanto in tanto, non trascura iniziative di forme di contenimento delle regole e dei controlli che dovrebbero presidiarle.
(da www.associazionegiuristidiamministrazione.com)