di Salvatore Sfrecola
L’accusa della Procura della Repubblica di Torino è circostanziata e pesante. Ben 25 tra dirigenti o ex dirigenti, direttori amministrativi e sanitari e componenti dei collegi sindacali sono indagati per aver provocato un danno da oltre 7 milioni di euro all’azienda ospedaliera universitaria “Città della salute”. Secondo i Pubblici Ministeri che hanno condotto le indagini, Giulia Rizzo e Mario Bendoni, – come scrive Elisa Sola su La Stampa – “il filo rosso che collega i documenti contabili di un decennio è la falsificazione dei passivi. Nel 2014, per esempio, il risultato di esercizio generale dichiarato relativamente al settore della libera professione era di 12 milioni e 753.000 euro. Ma in realtà, il “rosso” reale, sarebbe stato – secondo la procura – più profondo: di meno 14 milioni e 127 mila euro”.
Le falsificazioni avrebbero riguardato essenzialmente le attività “intramoenia” dei medici dell’ospedale i quali, al di fuori del normale orario di lavoro, utilizzano le strutture ambulatoriali e diagnostiche dell’ospedale stesso a fronte del pagamento, da parte del paziente, di una tariffa. In sostanza, i direttori della “Città della salute” avrebbero omesso di incassare il 5% del compenso dei liberi professionisti, destinato ad attività di prevenzione o alla riduzione delle lunghe liste d’attesa. L’ammanco sarebbe di 7 milioni di euro, dal 2015 al 2022, somma che, per effetto della prescrizione, potrà essere contestata ai responsabili solamente nella misura di 1.700.000 euro. Non solo. Ci sarebbero anche crediti non riscossi risalenti a vicende giudiziarie, a fallimenti e ad altri crediti non incassati da anni. Si parla di oltre un milione di euro.
Gli obiettivi dell’azienda apparivano raggiunti. Una gran farsa. Questo avrebbe accertato l’inchiesta sui bilanci degli ultimi 10 anni dell’azienda ospedaliera universitaria della “Città della salute”. Tutto sulla base di omissioni e dichiarazioni non vere “in modo da indurre i destinatari delle comunicazioni sociali, compresi i cittadini, a celare il reale andamento economico e patrimoniale dell’azienda”, scrivono i Pubblici Ministeri.
L’imputazione in sede penale è quella di “truffa”, una condotta che costituisce anche un gravissimo illecito amministrativo causativo di “danno erariale” perseguibile ad istanza del Procuratore regionale della Corte dei conti del Piemonte titolare dell’azione di responsabilità, di natura risarcitoria, che ha lo scopo di ripristinare la situazione alterata dall’illecito. Infatti, coloro che fossero giudicati responsabili di condotte dolose o gravemente colpose dovranno risarcire l’ente danneggiato. O “dovrebbero” risarcire perché se, nel frattempo, fosse approvata la proposta di legge n. 1621, presentata dall’on. Tommaso Foti, Capogruppo dei deputati di Fratelli d’Italia, questi infedeli amministratori del denaro pubblico se la caverebbero alla grande. Infatti, la riforma dell’on. Foti prevede che, nei casi di colpa grave, “la Corte dei conti esercita il potere di riduzione ponendo a carico del responsabile, in quanto conseguenza immediata e diretta della sua condotta, parte del danno accertato o del valore perduto di importo minimo pari a 150 e massimo non superiore a due annualità del trattamento economico complessivo annuo lordo spettante al responsabile medesimo”. Insomma, nel caso della truffa di cui abbiamo detto, che ha prodotto un danno milionario, i responsabili non potranno essere condannati a pagare più di due annualità di stipendio. Il resto? Rimane a carico della comunità, cioè dei cittadini che hanno pagato imposte e tasse che hanno anche concorso al bilancio dell’ente sanitario.
Una beffa gravissima da parte della politica che appare preoccupata soprattutto di proteggere incapaci e disonesti. La relazione alla pdl afferma che l’iniziativa legislativa mira a superare gli effetti della cosiddetta “paura della firma”. Ne abbiamo scritto più volte definendolo un falso problema perché i funzionari seri e professionalmente capaci si sono sempre assunte le loro responsabilità sapendo che per essere imputati di colpa grave avrebbero dovuto attuare condotte caratterizzate da negligenza imprudenza o imperizia in forma macroscopica. Una condizione che non appartiene a coloro che esercitano la loro attività professionale con “disciplina ed onore”, come si legge nell’art, 54 della Costituzione. Come osserva in un comunicato diramato nel pomeriggio l’Associazione dei Liberali a firma del Prof. Michele D’Elia che ne è il Presidente.
Se dovesse essere approvata, dunque, come ha osservato l’ex Procuratore Generale della Corte dei conti Angelo Canale, la riforma Foti avrebbe “implicazioni di rilievo sulla credibilità dello Stato e anche sui conti pubblici”.