dell’avv. Jacopo Severo Francesco Bartolomei
Tra passi differenziati delle regioni e disorientamento nel disegno delle riforme costituzionali.
L’arco temporale dell’Esecutivo guidato dall’On.le Giorgia Meloni, primo premier donna e alla guida della coalizione più improntata a valori della Destra dall’inizio della storia repubblicana (1946-1948), è arrivato ad un ineludibile spartiacque.
Per quel che interessa, la disamina del variegato ed articolato operato dell’Esecutivo Meloni dal giuramento nelle mani del Capo dello Stato al Quirinale in data 22.10.22, tra condizionamenti internazionali (USA, NATO e guerra Russo-Ucraina, etc.), nonché sovranazionali (appartenenza UE, raccomandazione BCE e moniti G7), si incentra essenzialmente sui tre Disegni di legge costituzionale intesi e presentati come qualificanti.
- Premierato;
- l’Autonomia differenziata;
- la Riforma della giustizia.
Logicamente il cd. Premierato (Ddl Casellati), direttamente attinente alla “correzione” della Forma di Governo parlamentare razionalizzata inscritta nella Carta costituzionale, nel senso del rafforzamento dei poteri a disposizione del Capo del governo designato con elezione diretta – scevro però del potere di nomina e revoca dei Ministri, tipico del Cancelliere tedesco – avrebbe dovuto rivestire una posizione prioritaria rispetto ad ogni altro tipo di riforma di grado costituzionale, attenendo alla struttura base dell’ordinamento repubblicano.
Invece, il palcoscenico politico-costituzionale ed il connesso circuito mediatico-social network è stato subito occupato dalla Legge sull’autonomia differenziata, patrocinata dalla Lega dell’On.le Matteo Salvini e segnatamente dal Ministro per gli affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli.
Allo stato attuale si tratta di una legge di riforma costituzionale “accerchiata”, in quanto sono stati attuati molti dei dispositivi atti a demolirla ovvero a modificarla in profondità.
- La raccolta di oltre un milione e 500.000 firme per promuovere il referendum abrogativo per la totale cancellazione;
- Il ricorso alla Corte Costituzionale di ben cinque regioni, tutte governate da giunte di centrosinistra: Campania, Toscana, Sardegna, Emilia Romagna e Puglia, che hanno chiesto all’unisono oltre all’abolizione totale, in subordine anche quella parziale circa la determinazione dei LEP (Livelli Essenziali di Prestazioni) limitati solo ad alcune tematiche
Le Regioni favorevoli Lombardia e Veneto nell’avviare le procedure per l’autonomia differenziata nelle materie non richiedenti LEP, fungono da apripista; tuttavia, esse sono affiancate da Piemonte e Liguria nel percorso intrapreso per ottenere maggiori poteri su determinate competenze tra le nove per cui non sono necessari i LEP, che saranno da approvarsi con specifici decreti legislativi.
Si riassumono le competenze richieste da Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria
Il Veneto ha chiesto l’autonomia in tutte e nove le materie non-LEP:
- rapporti internazionali e con l’Unione europea;
- commercio con l’estero;
- professioni;
- protezione civile;
- previdenza complementare e integrativa;
- coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
- casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;
- enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale;
- organizzazione della giustizia di pace.
La Lombardia invece ne ha selezionate otto, escludendo solo la giustizia di pace. Liguria e Piemonte puntano a gestire autonomamente sei tematiche.
L’iter per ottenere l’autonomia differenziata è disciplinato dalla Legge 86/2024 ed il funzionamento può riassumersi nel modo seguente: dopo aver ricevuto la delibera regionale con la richiesta, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha 60 giorni di tempo per ottenere la valutazione dei ministri competenti per materia e del Ministro dell’Economia e delle Finanze; poi avvia con l’amministrazione richiedente un negoziato per approvare l’intesa. Questo passaggio si conclude con la predisposizione di schema di intesa preliminare tra Stato e Regione corredato da relazione tecnica, che va approvato dal Consiglio dei Ministri.
Poi, passato dalla Conferenza Stato Regione (che in 60gg formula il parere), deve trasmettersi alle Camere, che si esprimono con atti di indirizzo entro 90 giorni. A questo punto il Governo approva lo schema definitivo e lo trasmette alla Regione, che a sua volta deve votarlo. Il testo, a quel punto, torna una seconda volta in CdM, che deve deliberare un disegno di legge di approvazione dell’intera procedura e trasmetterlo nuovamente per i pareri alle Camere.
In pratica, dalla prima delibera regionale all’autonomia vera e propria passano diversi mesi, per mettere a punto un’intesa adeguata alla rilevanza del passaggio di competenze. Non c’è pero chi non intravveda in tale iato temporale una criticità intrinseca dell’iter troppo articolato e non improntato a canoni di semplificazione amministrativa.
La legge sull’autonomia differenziata che al pari del cd. Premierato e alla Riforma della Giustizia ordinaria si è evoluta come qualificante l’indirizzo politico costituzionale del governo Meloni, che all’atto dell’insediamento si era riproposta una stagione di rinnovamento nel rapporto tra i cittadini elettori e le istituzioni pure per superare la drammatica disaffezione al voto dei cittadini nelle ultime consultazioni a vari livelli, sta creando non pochi problemi di coesione politica alla coalizione di maggioranza. In effetti nelle ultime settimane vari osservatori, di diverso orientamento, riconoscono che il dibattito politico è stato reso effervescente proprio dalle posizioni differenziate su questo tema anche all’interno della maggioranza. E’ certo che l’ultima parola spetterà alla Consulta tanto sui referendum abrogativi quanto sui ricorsi promossi dalle Regioni contrarie. Si presume che la data per decidere sull’ammissibilità dei quesiti referendari non ricada oltre il termine di legge di fine gennaio 2025, mentre la fissazione di quella per l’esame dei ricorsi regionali rientra nella discrezionalità della Corte Costituzionale il cui collegio presieduto dal prof. Augusto Barbera ha già reso noto che intende sciogliere i dubbi di costituzionalità prima della decisione dell’ammissibilità dei referendum. Si è osservata la correttezza di tale scelta in quanto “quando sulla stessa legge pendono contemporaneamente questioni di legittimità e referendum abrogativo non solo la prima decisione precede logicamente la seconda, ma detta priorità serve anche ad evitare che gli elettori votino su una legge sospetta di essere in contrasto con la Costituzionale” (cfr. art. Andrea Marrone su Domani, 04.10.24 pg. 11).
Si ipotizza una terza via per cui la Corte Costituzionale, pur di fronte ai sollevati dubbi e al convincimento prevalente che la legge sull’autonomia differenziata sia farraginosa e pleonastica (bastando il rafforzamento delle sedi di confronto Stato-Regioni con legge a maggioranza assoluta delle Camere, mentre l’iter previsto marginalizza il Parlamento e rende protagonista l’Esecutivo) non pervenga all’abrogazione totale, ma annulli solo in parte qua la medesima.
In tale evenienza, ferma la sterilizzazione dei referendum, la cancellazione anche parziale della legge sull’autonomia differenziata, segnerebbe una cocente sconfitta politica e dal punto di vista applicativo il risultato non potrebbe che essere del tutto deludente.
Per quanto attiene al confronto politico tout court l’iniziativa sull’autonomia differenziata, pur fra vari distinguo, contribuisce a ricompattare quel “campo largo” che l’opposizione auspica, cercando di lucrare su possibili posizioni o almeno differenze di sensibilità all’interno della coalizione di governo. A nostro parere, se alcuni dubbi giuridici sul portato e l’impianto della riforma costituiscono argomenti meritevoli di approfondimento, la strumentalizzazione politica e di conseguenza mediatica che le forze dell’opposizione, a partire dai residui del Movimento 5 Stelle con Giuseppe Conte, i Verdi e Fratoianni e PD con la segretaria Schlein, appare velleitaria.
Infatti, un conto è trovare un argomento su cui convergere per criticare e mettere in difficoltà alcuni settori della maggioranza, altro e diverso conto è essere in grado di elaborare un programma alternativo di governo in uno scenario dove i problemi interni (lievitazione della spesa pubblica, disoccupazione giovanile al meridione, emigrazione dei laureati etc.) sono ben noti.
In verità di recente si sono registrate delle prese non di distanza ma certo di distinguo da parte di Forza Italia, per bocca del leader Sen. A. Tajani, che hanno introdotto degli elementi di ripensamento dell’iter di approvazione del testo originale.
In definitiva si ritiene che il Paese abbia bisogno di un cambio di passo sia nell’azione di governo che nella produzione normativa e necessiti disperatamente della formazione di una nuova classe dirigente idonea a raccogliere le sfide che a livello continentale e planetario si pongono per il nostro paese con precipuo riferimento al ruolo dell’Italia nel bacino del Mediterraneo e ai rapporti con il mondo magrebino ove la Meloni ha tentato un “Piano Mattei” che effettivamente nulla o poco a che vedere con l’intento del grande Presidente dell’ENI, che aveva di mira l’indipendenza nazionale dell’approvvigionamento energetico.