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Corte di Giustizia dell’Unione Europea: rinvio pregiudiziale – Politica d’asilo – Protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE – Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale


SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

4 ottobre 2024  (*)

«Rinvio pregiudiziale – Politica d’asilo – Protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE – Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale – Articoli 36 e 37 – Nozione di “paese di origine sicuro” – Designazione – Allegato I – Criteri – Articolo 46 – Diritto a un ricorso effettivo – Esame, da parte del giudice, della designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro»

Nella causa C‑406/22, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Krajský soud v Brně (Corte regionale di Brno, Repubblica ceca), con decisione del 20 giugno 2022, pervenuta in cancelleria il 20 giugno 2022, nel procedimento

CV

contro

Ministerstvo vnitra České republiky, Odbor azylové a migrační politiky,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, L. Bay Larsen, vicepresidente, A. Arabadjiev, A. Prechal, E. Regan (relatore), T. von Danwitz, Z. Csehi e O. Spineanu-Matei, presidenti di sezione, J.-C. Bonichot, I. Jarukaitis, A. Kumin, M.L. Arastey Sahún e M. Gavalec, giudici,

avvocato generale: N. Emiliou

cancelliere: C. Di Bella, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 6 giugno 2023,

considerate le osservazioni presentate:

– per il governo ceco, da A. Edelmannová, M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti;

– per il governo tedesco, da J. Möller e R. Kanitz, in qualità di agenti;

– per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman, A. Hanje e P.P. Huurnink, in qualità di agenti;

– per la Commissione europea, da A. Azéma e M. Salyková, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 30 maggio 2024,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 36 e 37, dell’articolo 46, paragrafo 3, e dell’allegato I della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60), nonché dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra CV e il Ministerstvo vnitra České republiky, odbor azylové a migrační politiky (Ministero dell’Interno della Repubblica ceca, Dipartimento della Politica in materia di asilo e migrazione; in prosieguo: il «Ministero dell’Interno»), in merito al rigetto della sua domanda di protezione internazionale.

Contesto normativo

Diritto internazionale

Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati

3 Ai sensi dell’articolo 1, sezione A, punto 2, della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], entrata in vigore il 22 aprile 1954 e completata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967, «[a]i fini della presente Convenzione, il termine “rifugiato” si applicherà a ogni persona che, (…) nel timore fondato di essere perseguitata per motivi di razza, religione, cittadinanza, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dallo Stato di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto Stato; (…)».

 CEDU

4 La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), all’articolo 15, intitolato «Deroga in caso di stato d’urgenza», così dispone:

«1. In caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta Parte contraente può adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla presente Convenzione, nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale.

2. La disposizione precedente non autorizza alcuna deroga all’articolo 2, salvo il caso di decesso causato da legittimi atti di guerra, e agli articoli 3, 4 § 1 e 7.

3. Ogni Alta Parte contraente che eserciti tale diritto di deroga tiene informato nel modo più completo il Segretario generale del Consiglio d’Europa sulle misure prese e sui motivi che le hanno determinate. Deve ugualmente informare il Segretario generale del Consiglio d’Europa della data in cui queste misure cessano d’essere in vigore e in cui le disposizioni della Convenzione riacquistano piena applicazione».

Diritto dell’Unione

Direttiva 2005/85/CE

5 La direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1º dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005, L 326, pag. 13), è stata abrogata dalla direttiva 2013/32. L’articolo 30 della direttiva 2005/85, intitolato «Designazione nazionale dei paesi terzi quali paesi di origine sicuri», così disponeva:

«Fatto salvo l’articolo 29, gli Stati membri possono mantenere in vigore o introdurre una normativa che consenta, a norma dell’allegato II, di designare a livello nazionale paesi terzi diversi da quelli che figurano nell’elenco comune minimo quali paesi di origine sicuri ai fini dell’esame delle domande di asilo. È anche possibile designare come sicura una parte di un paese, purché siano soddisfatte le condizioni di cui all’allegato II relativamente a tale parte».

6 L’articolo 31 di quest’ultima direttiva intitolato «Concetto di paese terzo sicuro», al suo paragrafo 1 prevedeva quanto segue:

«Un paese terzo designato paese di origine sicuro a norma dell’articolo 29 o dell’articolo 30, previo esame individuale della domanda, può essere considerato paese di origine sicuro per un determinato richiedente asilo solo se:

a) questi ha la cittadinanza di quel paese; ovvero

b) è un apolide che in precedenza soggiornava abitualmente in quel paese,

e non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel paese non sia un paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso e per quanto riguarda la sua qualifica di rifugiato a norma della direttiva 2004/83/CE [del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2004, L 304, pag. 12)]».

7 L’allegato II di detta direttiva, intitolato «Designazione come paese di origine sicuro ai fini dell’articolo 29 e dell’articolo 30, paragrafo 1», definiva i criteri che consentono di designare un paese terzo come paese di origine sicuro.

Direttiva 2011/95/UE

8 La direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9), all’articolo 9, rubricato «Atti di persecuzione», così dispone:

«1. Sono atti di persecuzione ai sensi dell’articolo 1 A della convenzione di Ginevra gli atti che:

a) sono, per loro natura o frequenza, sufficientemente gravi da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti per cui qualsiasi deroga è esclusa a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della [CEDU]; oppure

b) costituiscono la somma di diverse misure, tra cui violazioni dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercitare sulla persona un effetto analogo a quello di cui alla lettera a).

2. Gli atti di persecuzione che rientrano nella definizione di cui al paragrafo 1 possono, tra l’altro, assumere la forma di:

a) atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale;

b) provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia e/o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio;

c) azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie;

d) rifiuto di accesso ai mezzi di ricorso giuridici e conseguente sanzione sproporzionata o discriminatoria;

e) azioni giudiziarie o sanzioni penali in conseguenza al rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto, quando questo comporterebbe la commissione di crimini, reati o atti che rientrano nell’ambito dei motivi di esclusione di cui all’articolo 12, paragrafo 2;

f) atti specificamente diretti contro un sesso o contro l’infanzia.

3. In conformità dell’articolo 2, lettera d), i motivi di cui all’articolo 10 devono essere collegati agli atti di persecuzione quali definiti al paragrafo 1 del presente articolo o alla mancanza di protezione contro tali atti».

 Direttiva 2013/32

9 I considerando 18 e 20 della direttiva 2013/32 così recitano:

«(18) È nell’interesse sia degli Stati membri sia dei richiedenti protezione internazionale che sia presa una decisione quanto prima possibile in merito alle domande di protezione internazionale, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo.

(…)

(20) In circostanze ben definite per le quali una domanda potrebbe essere infondata o vi sono gravi preoccupazioni di sicurezza nazionale o di ordine pubblico, gli Stati membri dovrebbero poter accelerare la procedura di esame, introducendo in particolare termini più brevi, ma ragionevoli, in talune fasi procedurali, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo e un accesso effettivo del richiedente ai principi fondamentali e alle garanzie previsti dalla presente direttiva».

10 L’articolo 31 di tale direttiva, intitolato «Procedura di esame», al paragrafo 8 prevede quanto segue:

«Gli Stati membri possono prevedere[, nel rispetto dei principi fondamentali e delle garanzie di cui al capo II,] che una procedura d’esame sia accelerata e/o svolta alla frontiera o in zone di transito a norma dell’articolo 43 se:

(…)

b) il richiedente proviene da un paese di origine sicuro a norma della presente direttiva; (…)

(…)».

11 L’articolo 32 di detta direttiva, intitolato «Domande infondate», così prevede:

«1. Fatto salvo l’articolo 27, gli Stati membri possono ritenere infondata una domanda solo se l’autorità accertante ha stabilito che al richiedente non è attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva [2011/95].

2. Nei casi di domande infondate cui si applichi una qualsiasi delle circostanze elencate nell’articolo 31, paragrafo 8, gli Stati membri possono altresì ritenere una domanda manifestamente infondata, se così definita dal diritto nazionale».

12 L’articolo 36 della direttiva 2013/32, intitolato «Concetto di paese di origine sicuro», prevede quanto segue:

«1. Un paese terzo designato paese di origine sicuro a norma della presente direttiva può essere considerato paese di origine sicuro per un determinato richiedente, previo esame individuale della domanda, solo se:

a) questi ha la cittadinanza di quel paese; ovvero

b) è un apolide che in precedenza soggiornava abitualmente in quel paese,

e non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel paese non sia un paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso e per quanto riguarda la sua qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva [2011/95].

2. Gli Stati membri stabiliscono nel diritto nazionale ulteriori norme e modalità inerenti all’applicazione del concetto di paese di origine sicuro».

13 L’articolo 37 di tale direttiva, rubricato «Designazione nazionale dei paesi terzi quali paesi di origine sicuri», prevede quanto segue:

«1. Gli Stati membri possono mantenere in vigore o introdurre una normativa che consenta, a norma dell’allegato I, di designare a livello nazionale paesi di origine sicuri ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale.

2. Gli Stati membri riesaminano periodicamente la situazione nei paesi terzi designati paesi di origine sicuri conformemente al presente articolo.

3. La valutazione volta ad accertare che un paese è un paese di origine sicuro a norma del presente articolo si basa su una serie di fonti di informazioni, comprese in particolare le informazioni fornite da altri Stati membri, dall’[Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO)], dall’[Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR)], dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.

4. Gli Stati membri notificano alla Commissione [europea] i paesi designati quali paesi di origine sicuri a norma del presente articolo».

14 L’articolo 43 di detta direttiva, intitolato «Procedure di frontiera», al paragrafo 1 così dispone:

«Gli Stati membri possono prevedere procedure, conformemente ai principi fondamentali e alle garanzie di cui al capo II, per decidere alla frontiera o nelle zone di transito dello Stato membro:

(…)

b) sul merito di una domanda nell’ambito di una procedura a norma dell’articolo 31, paragrafo 8».

15 L’articolo 46 della direttiva 2013/32, intitolato «Diritto a un ricorso effettivo», prevede quanto segue:

«1. Gli Stati membri dispongono che il richiedente abbia diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso i seguenti casi:

a) la decisione sulla sua domanda di protezione internazionale, compresa la decisione:

i) di ritenere la domanda infondata in relazione allo status di rifugiato e/o allo status di protezione sussidiaria;

(…)

iii) presa alla frontiera o nelle zone di transito di uno Stato membro a norma dell’articolo 43, paragrafo 1;

(…)

3 Per conformarsi al paragrafo 1 gli Stati membri assicurano che un ricorso effettivo preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della [direttiva 2011/95], quanto meno nei procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado.

(…)

5. Fatto salvo il paragrafo 6, gli Stati membri autorizzano i richiedenti a rimanere nel loro territorio fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso.

6. Qualora sia stata adottata una decisione:

a) di ritenere una domanda manifestamente infondata conformemente all’articolo 32, paragrafo 2, o infondata dopo l’esame conformemente all’articolo 31, paragrafo 8, a eccezione dei casi in cui tali decisioni si basano sulle circostanze di cui all’articolo 31, paragrafo 8, lettera h);

(…)

un giudice è competente a decidere, su istanza del richiedente o d’ufficio, se autorizzare o meno la permanenza del richiedente nel territorio dello Stato membro, se tale decisione mira a far cessare il diritto del richiedente di rimanere nello Stato membro e, ove il diritto nazionale non preveda in simili casi il diritto di rimanere nello Stato membro in attesa dell’esito del ricorso.

(…)».

16 L’articolo 53 di detta direttiva, intitolato «Abrogazione», così recita:

«La direttiva [2005/85] è abrogata per gli Stati membri vincolati dalla presente direttiva con effetto dal 21 luglio 2015, (…)

I riferimenti alla direttiva abrogata si intendono fatti alla presente direttiva e vanno letti secondo la tavola di concordanza di cui all’allegato III».

17 Ai sensi dell’allegato I di detta direttiva, intitolato «Designazione dei paesi di origine sicuri ai fini dell’articolo 37, paragrafo 1»:

«Un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva [2011/95], né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Per effettuare tale valutazione si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui viene offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante:

a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese ed il modo in cui sono applicate;

b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella [CEDU] e/o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici [adottato il 16 dicembre 1966 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite ed entrato in vigore il 23 marzo 1976] e/o nella convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, in particolare i diritti ai quali non si può derogare a norma d dell’articolo 15, paragrafo 2, [della CEDU];

c) il rispetto del principio di “non-refoulement” conformemente alla convenzione di Ginevra;

d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà».

 Regolamento (UE) 2024/1348

18 L’articolo 61 del regolamento (UE) 2024/1348 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024, che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE (GU L, 2024/1348), intitolato «Concetto di paese di origine sicuro», al paragrafo 2 così dispone:

«La designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro a livello sia dell’Unione che nazionale può essere effettuata con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili».

19 L’articolo 78 di tale regolamento, intitolato «Abrogazione», al paragrafo 1 enuncia quanto segue:

«La direttiva [2013/32] è abrogata a decorrere dalla data di cui all’articolo 79, paragrafo 2, fatto salvo l’articolo 79, paragrafo 3».

20 L’articolo 79 di detto regolamento, intitolato «Entrata in vigore e applicazione», ai paragrafi 2 e 3 prevede quanto segue:

«2. Il presente regolamento si applica a decorrere dal 12 giugno 2026.

3. Il presente regolamento si applica alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale in relazione alle domande formalizzate a decorrere dal 12 giugno 2026. Le domande di protezione internazionale formalizzate prima di tale data sono disciplinate dalla direttiva [2013/32]. Il presente regolamento si applica alla procedura di revoca della protezione internazionale qualora l’esame per revocare la protezione internazionale sia iniziato a decorrere dal 12 giugno 2026. Se l’esame per revocare la protezione internazionale è stato avviato prima del 12 giugno 2026, la procedura di revoca della protezione internazionale è disciplinata dalla direttiva [2013/32]».

 Diritto ceco

 Legge sull’asilo

21 L’articolo 2, paragrafo 1, lettere b) e k), dello zákon č. 325/1999 Sb., o azylu (legge n. 325/1999, sull’asilo), nella versione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale (in prosieguo: la «legge sull’asilo»), così dispone:

«Ai fini della presente legge per

(…)

b) richiedente protezione internazionale si intende lo straniero che ha presentato nella Repubblica ceca una domanda di protezione internazionale che non ha ancora dato luogo a una decisione definitiva. Uno straniero ha del pari lo status di richiedente protezione internazionale mentre decorre il termine fissato per proporre un ricorso di cui all’articolo 32 e per tutta la durata del procedimento giudiziario relativo al ricorso avverso la decisione del Ministero conformemente allo [zákon č. 150/2002 Sb., soudní řád správní (legge n. 150/2002, codice di procedura amministrativa), nella versione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale (in prosieguo: il “codice di procedura amministrativa”)] se detto ricorso ha effetto sospensivo, o fino a quando la corte regionale non emette una decisione che non riconosce l’effetto sospensivo, qualora lo straniero abbia chiesto di beneficiarne. (…)

(…)

k) paese di origine sicuro si intende lo Stato di cui lo straniero è cittadino o, nel caso di un apolide, lo Stato della sua ultima residenza permanente,

1. nel quale non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale,

2. che né i cittadini né gli apolidi abbandonano per i motivi di cui all’articolo 12 o all’articolo 14a,

3. che ha ratificato e rispetta i trattati internazionali in materia di diritti umani e libertà fondamentali, comprese le disposizioni concernenti i mezzi di ricorso effettivi, e

4. che consente ad enti giuridici di monitorare la situazione per quanto concerne il rispetto dei diritti umani,

(…)».

22 L’articolo 3d di tale legge enuncia quanto segue:

«1. Il richiedente protezione internazionale ha diritto di permanere nel territorio nazionale; (…) Il diritto di permanenza non dà diritto a un titolo di soggiorno ai sensi dello [zákon č. 326/1999 Sb., o pobytu cizinců na území České republiky a o změně některých zákonů (legge n. 326/1999, relativa al soggiorno di cittadini stranieri sul territorio della Repubblica ceca e recante modifica di altre leggi)]. Il Ministero ha il diritto di limitare il soggiorno nel territorio del richiedente protezione internazionale a solo una parte del territorio o al centro di accoglienza della zona di transito di un aeroporto internazionale se il richiedente non è autorizzato ad entrare nel territorio.

2. Se il richiedente protezione internazionale non è una persona che ha reiterato una domanda di protezione internazionale, non è possibile porre fine al suo soggiorno nel territorio sulla base di una decisione amministrativa o giudiziaria; (…)».

23 L’articolo 16, paragrafi 2 e 3, della succitata legge è del seguente tenore:

«2. È parimenti respinta in quanto manifestamente infondata la domanda di protezione internazionale di un richiedente proveniente da uno Stato che la Repubblica ceca considera paese di origine sicuro, a meno che egli non dimostri che, nel suo caso, tale Stato non può essere considerato tale.

3. Se sussistono motivi per respingere la domanda di protezione internazionale in quanto manifestamente infondata, non occorre esaminare se per il richiedente protezione internazionale ricorrano i motivi per la concessione dell’asilo previsti agli articoli 13 e 14 o di una protezione sussidiaria di cui all’articolo 14b. Se sussistono motivi per respingere la domanda di protezione internazionale in quanto manifestamente infondata ai sensi del paragrafo 2, non occorre neppure esaminare se il richiedente protezione internazionale non menzioni circostanze che dimostrino che egli potrebbe essere esposto a persecuzione per i motivi di cui all’articolo 12 o che rischia di subire un danno grave ai sensi dell’articolo 14a».

24 Ai sensi dell’articolo 32, paragrafo 2, della legge sull’asilo:

«La presentazione di un ricorso (…) ha effetto sospensivo, eccettuato (…) il ricorso contro una decisione emessa ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2 (…)».

25 L’articolo 85b, paragrafo 1, di tale legge dispone quanto segue:

«A seguito (…) di una decisione che respinge una domanda di protezione internazionale in quanto manifestamente infondata, se tale decisione non è stata annullata da un giudice, o a seguito di una decisione di una corte regionale che non riconosce l’effetto sospensivo ove quest’ultimo sia stato richiesto, il Ministero emette d’ufficio nei confronti dello straniero un ordine di allontanamento valido al massimo un mese, se che non si procede secondo la [legge n. 326/1999, relativa al soggiorno di cittadini stranieri sul territorio della Repubblica ceca e recante modifica di altre leggi] (…)».

26 L’articolo 86, paragrafo 4, di tale legge così prevede:

«Il Ministero stabilisce con decreto l’elenco dei paesi di origine sicuri (…). Esso riesamina almeno una volta all’anno gli elenchi dei paesi stabiliti mediante decreto».

 Decreto n. 328/2015 che attua la legge sull’asilo e la legge sulla protezione temporanea degli stranieri

27 L’articolo 2, punto 15, della vyhláška č. 328/2015 Sb., kterou se provádí zákon o azylu a zákon o dočasné ochraně cizincă (decreto n. 328/2015, che attua la legge sull’asilo e la legge sulla protezione temporanea degli stranieri), così dispone:

«La Repubblica ceca considera come paese di origine sicuro (…) la Moldova, eccettuata la Transnistria, (…)».

 Codice di procedura amministrativa

28 L’articolo 75, paragrafo 2, del codice di procedura amministrativa così recita:

«Il giudice esamina i punti contestati della decisione nei limiti dei motivi dedotti. (…)».

29 L’articolo 76, paragrafo 1, di detto codice prevede quanto segue:

«Il giudice annulla con sentenza, senza udienza, la decisione impugnata per vizi di procedura

a) qualora un controllo sia impossibile a causa del carattere incomprensibile o della carenza di motivazione della decisione,

b) perché i fatti su cui si è basata l’autorità amministrativa nell’adottare la decisione contestata non corrispondono al fascicolo o non hanno alcuna base in esso, o devono essere ampiamente o fondamentalmente integrati,

c) per una violazione sostanziale delle disposizioni relative al procedimento dinanzi all’autorità amministrativa, qualora essa rischi di sfociare in una decisione nel merito illegittima».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

30 Il 9 febbraio 2022 CV, cittadino moldavo, ha presentato nella Repubblica ceca una domanda di protezione internazionale. Nell’ambito di tale domanda, egli ha indicato di essere stato testimone in Moldova, nel corso del 2015, di un incidente nel corso del quale il conducente di un’autovettura avrebbe investito e ucciso un pedone, per poi prendere la fuga. La notte stessa dell’incidente, alcuni individui si sarebbero recati a casa di CV, lo avrebbero condotto in un bosco e lo avrebbero aggredito.

31 Dopo essere fuggito, CV si sarebbe nascosto presso amici, prima di tornare due giorni più tardi al suo domicilio e constatare che la sua casa era stata incendiata. Successivamente, sarebbe fuggito dalla Moldova e sarebbe entrato nel territorio ceco mediante un passaporto rumeno falso procuratogli da una conoscenza. Nel corso del 2016 e del 2019, CV sarebbe tornato in Moldova, cercando di fare in modo che non lo sapesse nessuno, ad eccezione dei suoi cugini.

32 A sostegno della sua domanda di protezione internazionale, CV ha fatto valere le minacce di cui è oggetto in Moldova da parte di individui che le autorità di polizia non sarebbero riuscite a identificare. Egli ha altresì dichiarato di non voler rientrare nella sua regione d’origine a causa dell’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa.

33 Con decisione dell’8 marzo 2022 (in prosieguo: la «decisione di rigetto»), il Ministero dell’Interno ha respinto tale domanda in quanto manifestamente infondata, ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, della legge sull’asilo, alla luce degli elementi da esso raccolti sulla situazione politica e di sicurezza in Moldova nonché sul rispetto dei diritti umani in tale paese terzo. In particolare, tale Ministero ha rilevato che, in forza dell’articolo 2 del decreto n. 328/2015, che attua la legge sull’asilo e la legge sulla protezione temporanea degli stranieri, la Repubblica ceca considera come un «paese di origine sicuro» la Repubblica di Moldova, eccettuata la Transnistria, e che CV non era riuscito a dimostrare che ciò non varrebbe nel suo caso particolare.

34 CV ha impugnato tale decisione dinanzi al Krajský soud v Brně (Corte regionale di Brno, Repubblica ceca), giudice del rinvio. Dinanzi a tale giudice, ribadendo, in sostanza, gli elementi formulati a sostegno della sua domanda di protezione internazionale, egli fa valere che detto Ministero, mentre sarebbe stato tenuto a prendere in considerazione tutte le informazioni pertinenti e a valutare tale domanda in modo globale, avrebbe considerato come unico elemento determinante il fatto che CV sia originario della Repubblica di Moldova.

35 Dinanzi a detto giudice, il Ministero dell’Interno precisa di non aver ignorato la situazione risultante dal conflitto derivante dall’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa. Tuttavia, alla data di adozione di detta decisione, nessuna relazione avrebbe indicato che tale conflitto si sarebbe esteso al di là dell’Ucraina, o che tale ministero dovesse, in qualche modo, rivedere il contenuto delle informazioni raccolte riguardo alla Repubblica di Moldova.

36 Lo stesso giudice indica, inoltre, che detto Ministero ha riconosciuto l’esistenza di lacune fondamentali quanto al rispetto del diritto in Moldova, in particolare in materia di giustizia, cosicché non può essere esclusa l’esistenza di casi di persecuzione, ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 2011/95. Vi sarebbero, in particolare, rischi di azioni giudiziarie o di condanne penali sproporzionate o discriminatorie, che colpiscono in larga misura gli oppositori politici, i loro avvocati, i difensori dei diritti umani o gli attivisti della società civile. Il Ministero dell’Interno ha tuttavia ritenuto che CV non appartenesse ad alcuna di tali categorie. Inoltre, CV non avrebbe indicato di avere problemi con le istituzioni statali moldove.

37 Il 9 maggio 2022 il giudice del rinvio ha accolto la domanda di CV diretta a riconoscere un effetto sospensivo al suo ricorso avverso la decisione di rigetto, accogliendo il suo argomento secondo il quale l’accoglimento della sua domanda dopo aver lasciato il territorio ceco avrebbe solo un effetto formale, dal momento che, in Moldova, egli sarebbe esposto al rischio di subire gravi danni da parte degli individui che lo avevano aggredito in passato. Tale giudice afferma, inoltre, di aver tenuto conto del fatto che il 28 aprile 2022 la Repubblica di Moldova aveva deciso, a causa dell’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa, di prorogare l’esercizio del suo diritto di deroga agli obblighi derivanti dalla CEDU, in applicazione dell’articolo 15 di tale convenzione, diritto di cui essa si era avvalsa il 25 febbraio 2022, a causa della crisi energetica da essa attraversata.

38 Poiché la domanda di protezione internazionale di CV è stata respinta tenendo conto, in particolare, del fatto che la Repubblica ceca ha designato come paese di origine sicuro la Repubblica di Moldova, eccettuata la Transnistria, detto giudice del rinvio si interroga, anzitutto, sulla nozione di «paese di origine sicuro» e, in particolare, tenuto conto dell’articolo 37 della direttiva 2013/32 e dell’allegato I di quest’ultima, sui criteri di designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro.

39 Da un lato, esso si chiede se un paese terzo cessi di poter essere designato come tale quando invoca il diritto di deroga previsto all’articolo 15 della CEDU.

40 Dall’altro lato, il giudice del rinvio si chiede se il diritto dell’Unione osti a che uno Stato membro designi un paese terzo come paese di origine sicuro, eccettuate talune parti del suo territorio. A tal riguardo, esso indica che la facoltà di procedere a una designazione parziale di questo tipo, che era contenuta all’articolo 30 della direttiva 2005/85, abrogata dalla direttiva 2013/32, non è più prevista all’articolo 37 di quest’ultima direttiva. Inoltre, tale giudice ritiene che la nozione di «paese di origine sicuro» avrebbe lo scopo di semplificare la procedura di esame delle domande di protezione internazionale, semplificazione che sarebbe giustificata solo per i paesi terzi per i quali è veramente poco probabile che ai loro cittadini debba essere concessa una protezione internazionale o una protezione sussidiaria. Ebbene, ciò si verificherebbe solo per i paesi terzi che soddisfano i criteri fissati dall’allegato I della direttiva 2013/322 su tutto il loro territorio.

41 Nel caso in cui si dovesse ritenere che un paese terzo che ha esercitato il diritto di deroga previsto all’articolo 15 della CEDU non possa essere designato come paese di origine sicuro o che una designazione del genere non possa escludere una parte del territorio del paese terzo considerato, il giudice del rinvio si interroga, inoltre, sulla portata del controllo che gli compete esercitare al riguardo, in forza dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, disposizione che non è stata trasposta nel diritto ceco, ma che, a suo avviso, ha effetto diretto.

42 In particolare, tale giudice indica che le domande di protezione internazionale presentate da cittadini di paesi terzi designati come paesi di origine sicuri possono essere, al pari della domanda su cui verte la controversia dinanzi ad esso pendente, assoggettate a un regime particolare di esame, che consenta, in forza delle disposizioni di tale direttiva, di trattare segnatamente tali domande con procedura accelerata e di dichiararle, se del caso, manifestamente infondate. Detto giudice sottolinea altresì che, in tali circostanze, lo Stato membro in cui un richiedente protezione internazionale ha presentato una domanda siffatta può non autorizzare tale richiedente a permanere nel suo territorio in attesa dell’esito del suo ricorso avverso la decisione di rigetto di tale domanda.

43 Lo stesso giudice si chiede, pertanto, se un giudice, quando è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale, adottata nell’ambito di siffatto regime, sia tenuto – nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto previsto all’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta – a rilevare la violazione delle norme previste da tale direttiva ai fini della designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro, anche se tale violazione non è stata contestata dal richiedente che ha proposto tale ricorso.

44 In tale contesto, il Krajský soud v Brně (Corte regionale di Brno) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se il criterio per determinare i paesi di origine sicuri ai sensi dell’articolo 37, paragrafo 1, della direttiva [2013/32], contenuto all’allegato I, lettera b), di tale direttiva – ossia che il paese in questione offra protezione contro le persecuzioni o i maltrattamenti attraverso il rispetto dei diritti e delle libertà sanciti dalla [CEDU], e in particolare di quei diritti inderogabili ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, di tale Convenzione – debba essere interpretato nel senso che quando un paese deroga agli obblighi derivanti [da tale convenzione] in caso di stato d’urgenza ai sensi dell’articolo 15 di tale Convenzione, non soddisfa più le condizioni per essere designato come paese di origine sicuro.

2) Se gli articoli 36 e 37 della direttiva [2013/32] debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a che uno Stato membro designi un paese come paese di origine sicuro solo in parte, con alcune eccezioni territoriali nei confronti delle quali non si applica la presunzione che quella parte del paese sia sicura per il richiedente, e, allorché uno Stato membro designa come sicuro un paese con tali eccezioni territoriali, il paese nel suo complesso non possa essere allora considerato un paese di origine sicuro ai fini della direttiva.

3) In caso di risposta affermativa a una delle [prime] due questioni pregiudiziali (…), se l’articolo 46, paragrafo 3, [della direttiva 2013/32], in combinato disposto con l’articolo 47 della [Carta], debba essere interpretato nel senso che un giudice chiamato a decidere su un mezzo di impugnazione contro una decisione di manifesta infondatezza di una domanda ai sensi dell’articolo 32, paragrafo 2, [di tale direttiva], emessa nell’ambito di un procedimento ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 8, lettera b), [della stessa] direttiva, deve tenere conto d’ufficio, anche in assenza di un’eccezione da parte del richiedente, del fatto che la designazione di un paese come sicuro per le ragioni indicate è contraria al diritto dell’Unione europea».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

45 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 37 della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’allegato I di quest’ultima, debba essere interpretato nel senso che un paese terzo cessa di soddisfare i criteri che gli consentono di essere designato paese di origine sicuro per il solo fatto che invoca il diritto di derogare agli obblighi previsti dalla CEDU, in applicazione dell’articolo 15 di tale Convenzione.

46 Come risulta dalle informazioni fornite da tale giudice, il ricorrente nel procedimento principale contesta al Ministero dell’Interno che, sebbene abbia esposto le minacce a cui è soggetto in Moldova e abbia indicato di non voler tornare nella sua regione d’origine a causa dell’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, tale Ministero ha basato la decisione di respingimento unicamente sul fatto che è originario della Repubblica di Moldova e che la Repubblica Ceca ha designato tale paese terzo come paese d’origine sicuro, ad eccezione della Transnistria. Di conseguenza, detto giudice si interroga sull’incidenza che può avere su una siffatta designazione il fatto che la Repubblica di Moldova, il 28 aprile 2022, mentre era pendente dinanzi ad esso la controversia di cui al procedimento principale, abbia deciso di prorogare l’esercizio del suo diritto di deroga agli obblighi derivanti dalla CEDU, in applicazione dell’articolo 15 di quest’ultima, a causa dell’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa.

47 In via preliminare, occorre ricordare che gli articoli 36 e 37 della direttiva 2013/32, riguardanti, rispettivamente, il concetto di paese di origine sicuro e la designazione, da parte degli Stati membri, di paesi terzi come paesi di origine sicuri, istituiscono un regime particolare di esame al quale gli Stati membri possono sottoporre le domande di protezione internazionale, regime che si basa su una forma di presunzione relativa di protezione sufficiente nel paese di origine, la quale può essere confutata dal richiedente se adduce motivi imperativi attinenti alla sua situazione particolare (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, A, C‑404/17, EU:C:2018:588, punto 25).

48 A titolo delle specificità di tale regime speciale di esame, gli Stati membri possono decidere, conformemente all’articolo 31, paragrafo 8, lettera b), di tale direttiva, da un lato, di accelerare la procedura d’esame e, dall’altro, di portarla alla frontiera o nelle zone di transito, conformemente all’articolo 43 di detta direttiva.

49 Peraltro, quando una domanda di protezione internazionale, presentata da un richiedente proveniente da un paese di origine sicuro, è stata giudicata infondata, in quanto, conformemente all’articolo 32, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, l’autorità accertante ha stabilito che il richiedente non soddisfa i requisiti previsti per poter ottenere la protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95, gli Stati membri possono altresì considerare, in forza di tale articolo 32, paragrafo 2, una domanda siffatta manifestamente infondata, se definita come tale nella legislazione nazionale.

50 Inoltre, una delle conseguenze per l’interessato la cui domanda è respinta sulla base dell’applicazione del concetto di paese di origine sicuro è che, contrariamente a quanto previsto in caso di semplice rigetto, egli può non essere autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato membro in cui è stata presentata tale domanda in attesa dell’esito del suo ricorso avverso la decisione di rigetto di detta domanda, come risulta dalle disposizioni dell’articolo 46, paragrafi 5 e 6, della direttiva 2013/32 (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, A, C‑404/17, EU:C:2018:588, punto 27).

51 Fatte queste osservazioni preliminari, occorre rilevare che l’articolo 37 di tale direttiva riguarda, come indica il suo titolo, la designazione, da parte degli Stati membri, di paesi terzi come paesi di origine sicuri. In particolare, tale articolo 37, paragrafo 1, enuncia che gli Stati membri possono mantenere in vigore o introdurre una normativa che consenta, a norma dell’allegato I della stessa direttiva, di designare a livello nazionale paesi di origine sicuri ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale.

52 Il suddetto allegato I precisa, in particolare, che un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

53 A tal riguardo, detto allegato elenca gli elementi che possono essere presi in considerazione al fine di valutare, tra l’altro, in quale misura il paese terzo interessato offra protezione contro le persecuzioni e i maltrattamenti. Tra tali elementi figura, al secondo comma, lettera b), del medesimo allegato, il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella CEDU, in particolare i diritti ai quali non si può derogare a norma all’articolo 15, paragrafo 2, di tale convenzione.

54 Sebbene tale articolo della CEDU preveda che, in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, sia possibile adottare misure in deroga agli obblighi previsti da tale convenzione, l’esercizio di tale facoltà è accompagnato da certe garanzie.

55 Ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della CEDU, infatti, detta facoltà deve, anzitutto, essere esercitata nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che le misure adottate non siano in contrasto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale. Tale articolo 15, paragrafo 2, prevede, inoltre, che nessuna deroga possa riguardare l’articolo 2 della CEDU, relativo al diritto alla vita, salvo il caso di decesso causato da legittimi atti di guerra, né l’articolo 3 e l’articolo 4, paragrafo 1, di tale convenzione che sanciscono, rispettivamente, la proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, nonché la proibizione di schiavitù, e neppure l’articolo 7 di detta Convenzione, che sancisce il principio nulla poena sine lege. Infine, come peraltro rilevato dal giudice del rinvio, le misure adottate in applicazione di detto articolo 15 restano soggette al controllo della Corte europea dei diritti dell’uomo.

56 Peraltro, come osservato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 62 delle sue conclusioni, dal mero ricorso, da parte di un paese terzo, al diritto di deroga previsto all’articolo 15 della CEDU non si può dedurre né che tale paese terzo abbia effettivamente adottato misure che hanno l’effetto di derogare agli obblighi previsti da tale convenzione né, eventualmente, quali siano la natura e la portata delle misure in deroga adottate.

57 Ne consegue che non si può ritenere che un paese terzo cessi di soddisfare i criteri, menzionati al punto 52 della presente sentenza, che gli consentono di essere designato come paese di origine sicuro, ai sensi dell’articolo 37 della direttiva 2013/32, per il solo motivo che esso ha invocato il diritto di deroga previsto all’articolo 15 della CEDU.

58 Ciò premesso, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 85 delle sue conclusioni, siffatto ricorso alla deroga deve indurre le autorità competenti dello Stato membro che ha designato il paese terzo interessato come paese di origine sicuro a valutare se, alla luce delle condizioni di attuazione di tale diritto di deroga, occorra mantenere siffatta designazione ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale presentate dai richiedenti provenienti da tale paese terzo.

59 L’articolo 37, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 impone, infatti, agli Stati membri di riesaminare regolarmente la situazione nei paesi terzi designati come paesi di origine sicuri. Così facendo, il legislatore dell’Unione ha inteso imporre agli Stati membri di tener conto del fatto che le circostanze che consentono di presumere la sicurezza dei richiedenti protezione internazionale in un determinato paese d’origine sono, per loro natura, soggette a variazioni.

60 Di conseguenza, tale obbligo di esame regolare riguarda anche il verificarsi di eventi significativi, in quanto, per la loro importanza, essi possono incidere sulla capacità, per un paese terzo designato come paese sicuro, di continuare a soddisfare i criteri enunciati, a tal fine, all’allegato I di detta direttiva, e quindi di presumere che esso sia in grado di garantire la sicurezza dei richiedenti.

61 Ebbene, il ricorso al diritto di deroga previsto all’articolo 15 della CEDU costituisce un evento del genere. Infatti, come osservato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 67 delle sue conclusioni, pur se misure contrarie a tale articolo 15, paragrafo 2, che derogano in particolare al divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti sancito all’articolo 3 di tale convenzione, ostano, per loro natura, alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro, non si può escludere che misure in deroga che incidono su diritti fondamentali diversi da quelli che l’articolo 15, paragrafo 2, esclude dall’ambito di applicazione di tale deroga possano essere altresì incompatibili con i criteri previsti all’allegato I della direttiva 2013/32 ai fini della designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro. Peraltro, un ricorso siffatto rivela, in ogni caso, un rischio rilevante di modifica significativa quanto al modo in cui sono applicate le norme in materia di diritti e di libertà nel paese terzo interessato.

62 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 37 della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’allegato I di quest’ultima, deve essere interpretato nel senso che un paese terzo non cessa di soddisfare i criteri che gli consentono di essere designato come paese di origine sicuro per il solo motivo che si avvale del diritto di derogare agli obblighi previsti dalla CEDU, in applicazione dell’articolo 15 di tale convenzione, le autorità competenti dello Stato membro che ha proceduto a siffatta designazione devono tuttavia valutare se le condizioni di attuazione di tale diritto siano atte a mettere in discussione detta designazione.

 Sulla seconda questione

63 Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 37 della direttiva 2013/32 debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un paese terzo possa essere designato come paese di origine sicuro, eccettuate talune parti del suo territorio.

64 Infatti, poiché la Repubblica ceca ha designato la Repubblica di Moldova come paese di origine sicuro, eccezion fatta per la Transnistria, tale giudice esprime dubbi quanto alla conformità con tale direttiva di una siffatta designazione parziale.

65 Secondo una costante giurisprudenza, nell’interpretare una disposizione del diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto del tenore letterale di quest’ultima, bensì anche del suo contesto, degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte e, se del caso, della sua genesi (sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punto 113 e la giurisprudenza ivi citata).

66 Per quanto riguarda, in primo luogo, il tenore letterale dell’articolo 37 della direttiva 2013/32, il quale, conformemente al suo titolo, riguarda la designazione, da parte di uno Stato membro, di paesi terzi quali paesi di origine sicuri, in esso si fa riferimento, a più riprese, ai termini «paese» e «paesi terzi» senza indicare che, ai fini di siffatta designazione, tali termini possano essere intesi come riguardanti solo una parte del territorio del paese terzo considerato.

67 Per quanto riguarda, in secondo luogo, il contesto in cui si inserisce l’articolo 37 di tale direttiva, da tale articolo 37 risulta, anzitutto, che gli Stati membri possono designare paesi di origine sicuri, conformemente all’allegato I di detta direttiva. Ebbene, al pari del tenore letterale di detto articolo 37, i criteri enunciati in tale allegato non forniscono alcuna indicazione che gli Stati membri possono designare come paese di origine sicuro la sola parte del territorio del paese terzo considerato in cui sono soddisfatti tali criteri.

68 Al contrario, ai sensi di detto allegato, la designazione di un paese come paese di origine sicuro dipende, come ricordato al punto 52 della presente sentenza, dalla possibilità di dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

69 Ebbene, come osservato dall’avvocato generale ai paragrafi 92 e 93 delle sue conclusioni, l’impiego dell’espressione «generalmente e costantemente», in assenza di qualsiasi riferimento a una parte del territorio del paese terzo considerato nell’allegato I della direttiva 2013/32 o nell’articolo 37 di tale direttiva, tende a indicare che le condizioni previste in tale allegato devono essere rispettate in tutto il territorio del paese terzo considerato affinché quest’ultimo possa essere designato come paese di origine sicuro.

70 Inoltre, come esposto ai punti da 47 a 50 della presente sentenza, la designazione, da parte di uno Stato membro, di paesi terzi come paesi di origine sicuri consente di sottoporre le domande di protezione internazionale dei richiedenti provenienti da tali paesi terzi a un regime particolare di esame avente carattere di deroga.

71 A tal riguardo, interpretare l’articolo 37 della direttiva 2013/32 nel senso che esso consente di designare paesi terzi come paesi di origine sicuri, eccezion fatta per talune parti del loro territorio, avrebbe l’effetto di estendere l’ambito di applicazione di tale regime speciale di esame. Poiché una siffatta interpretazione non trova alcun sostegno nel testo di detto articolo 37 né, più in generale, in tale direttiva, riconoscere una facoltà del genere violerebbe l’interpretazione restrittiva di cui devono essere oggetto le disposizioni aventi carattere di deroga [v., in tal senso, sentenze del 5 marzo 2015, Commissione/Lussemburgo, C‑502/13, EU:C:2015:143, punto 61, e dell’8 febbraio 2024, Bundesrepublik Deutschland (Ammissibilità di una domanda reiterata), C‑216/22, EU:C:2024:122, punto 35 e giurisprudenza ivi citata].

72 In terzo luogo, l’interpretazione secondo cui l’articolo 37 della direttiva 2013/32 non consente agli Stati membri di designare un paese terzo come paese di origine sicuro, eccettuate talune parti del suo territorio, è confermata dalla genesi di tale disposizione. A tal riguardo, occorre rilevare che, prima dell’entrata in vigore della direttiva 2013/32, la facoltà di designare paesi terzi come paesi di origine sicuri, ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale, era concessa agli Stati membri dalla direttiva 2005/85, in particolare dall’articolo 30 di quest’ultima.

73 Tale articolo 30 prevedeva espressamente che gli Stati membri potessero designare come sicura anche una parte del territorio di un paese terzo se erano soddisfatte per quanto riguarda tale parte di territorio le condizioni previste all’allegato II della direttiva 2005/85, le quali corrispondono, in sostanza, a quelle di cui all’allegato I della direttiva 2013/32. Sebbene l’allegato II della direttiva 2005/85 richiedesse, al pari dell’allegato I della direttiva 2013/32, la prova che non ci sono «generalmente e costantemente» persecuzioni, dalla formulazione stessa di detto articolo 30 risultava che tale requisito si applicava, nel caso di una siffatta designazione parziale, solo alla parte di territorio designata come sicura.

74 Conformemente all’articolo 53 della direttiva 2013/32, quest’ultima ha abrogato la direttiva 2005/85, il cui articolo 30, come risulta dalla tavola di concordanza di cui all’allegato III della direttiva 2013/32, è stato sostituito dall’articolo 37 di quest’ultima. Ebbene, in quest’ultimo articolo non compare più la facoltà di designare come sicuro una parte del territorio di un paese terzo.

75 L’intenzione di sopprimere tale facoltà risulta dal testo stesso della modifica dell’articolo 30, paragrafo 1, della direttiva 2005/85 contenuta nella proposta della Commissione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale [COM (2009) 554 definitivo, pag. 60], in cui tale facoltà, nella maggior parte delle versioni linguistiche, è stata esplicitamente espressamente barrata e, nelle altre versioni, eliminata.

76 Inoltre, una siffatta intenzione è confermata dalla spiegazione dettagliata di tale proposta [COM (2009) 554 definitivo Annex, 14959/09 ADD 1, pag. 15], che la Commissione aveva fornito al Consiglio dell’Unione europea, la quale menziona espressamente la volontà di sopprimere la facoltà, per gli Stati membri, di applicare il concetto di paese di origine sicuro a una parte di un paese terzo e la conseguenza che deriva da siffatta soppressione, vale a dire che sia ormai richiesto che le condizioni materiali di una designazione del genere dovessero essere soddisfatte per tutto il territorio del paese terzo considerato.

77 In quarto e ultimo luogo, gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2013/32 non ostano a una conseguenza del genere e, pertanto, all’interpretazione dell’articolo 37 di tale direttiva nel senso che quest’ultimo non consente agli Stati membri di designare come paese di origine sicuro un paese terzo nel quale talune parti del suo territorio non soddisfano le condizioni sostanziali di una siffatta designazione, enunciate all’allegato I di detta direttiva.

78 A tal riguardo, oltre al fatto che la direttiva 2013/32 persegue l’obiettivo generale di istituire norme procedurali comuni, tale direttiva mira in particolare, come risulta, segnatamente, dal suo considerando 18, a che le domande di protezione internazionale siano trattate «quanto prima possibile (…), fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo» (sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 109).

79 In tale prospettiva, il considerando 20 di detta direttiva enuncia, tra l’altro, che in circostanze ben definite per le quali una domanda potrebbe essere infondata, gli Stati membri dovrebbero poter accelerare la procedura di esame, introducendo in particolare termini più brevi, ma ragionevoli, in talune fasi procedurali, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo e un accesso effettivo del richiedente ai principi fondamentali e alle garanzie previsti dalla medesima direttiva.

80 Come indicato ai punti da 47 a 50 della presente sentenza, uno Stato membro può sottoporre le domande di protezione internazionale presentate dai richiedenti provenienti da un paese terzo, che tale Stato membro ha designato come paese di origine sicuro, a un regime speciale di esame, il quale si basa su una forma di presunzione relativa di protezione sufficiente nel paese di origine, in forza del quale è possibile, in particolare, accelerare la procedura di esame di tali domande.

81 Il legislatore dell’Unione, nei limiti in cui, come rilevato al punto 78 della presente sentenza, mira a garantire, con la direttiva 2013/32, un esame delle domande di protezione internazionale rapido ed esaustivo, è tenuto, nell’ambito dell’esercizio del potere discrezionale di cui dispone ai fini dell’istituzione delle procedure comuni di riconoscimento e di revoca della protezione internazionale, a bilanciare questi due obiettivi in sede di determinazione delle condizioni alle quali gli Stati membri possono designare un paese terzo come paese di origine sicuro. Pertanto, il fatto che tale legislatore non abbia previsto, nell’ambito di tale direttiva, la facoltà per gli Stati membri di escludere una parte del territorio di un paese terzo ai fini di una designazione siffatta rispecchia tale bilanciamento e la sua scelta di privilegiare un esame esaustivo delle domande di protezione internazionale presentate da richiedenti il cui paese d’origine non soddisfa, per tutto il suo territorio, le condizioni sostanziali di cui all’allegato I di detta direttiva.

82 Sebbene l’articolo 61, paragrafo 2, del regolamento 2024/1348, il quale abroga la direttiva 2013/32 con effetto dal 12 giugno 2026, reintroduca detta facoltà, disponendo che la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro a livello sia dell’Unione che nazionale può essere effettuata con eccezioni per determinate parti del suo territorio, si tratta della prerogativa del legislatore dell’Unione di ritornare su tale scelta, procedendo a un nuovo bilanciamento, purché quest’ultimo rispetti le prescrizioni derivanti in particolare dalla Convenzione di Ginevra e dalla Carta. Occorre, peraltro, constatare che il fatto che il regime giuridico introdotto a tal fine da tale regolamento si distingua da quello che era stato previsto dalla direttiva 2005/85 corrobora l’interpretazione secondo la quale il legislatore dell’Unione non ha previsto tale facoltà nella direttiva 2013/32.

83 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 37 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un paese terzo possa essere designato come paese di origine sicuro allorché talune parti del suo territorio non soddisfano le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I di detta direttiva.

 Sulla terza questione

84 Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, debba essere interpretato nel senso che un giudice, quando è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale esaminata nell’ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti di paesi terzi designati, conformemente all’articolo 37 di tale direttiva, come paesi di origine sicuri, deve, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc imposto dal suddetto articolo 46, paragrafo 3, rilevare una violazione delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I di detta direttiva, anche se tale violazione non è espressamente invocata a sostegno di detto ricorso.

85 Conformemente al suo titolo, l’articolo 46 della direttiva 2013/32 riguarda il diritto a un ricorso effettivo dei richiedenti protezione internazionale. Al suo paragrafo 1, detto articolo 46 riconosce a tali richiedenti siffatto diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso le decisioni relative alla loro domanda. Il paragrafo 3 di tale articolo 46 di detta direttiva definisce la portata di tale diritto, precisando che gli Stati membri vincolati dalla suddetta direttiva devono assicurare che il giudice dinanzi al quale è contestata la decisione relativa alla domanda di protezione internazionale proceda all’«esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva [2011/95]» (v., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov, C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).

86 Occorre, inoltre, ricordare che dalla giurisprudenza della Corte risulta che le caratteristiche del ricorso previsto all’articolo 46 della direttiva 2013/32 devono essere determinate conformemente all’articolo 47 della Carta, che costituisce una riaffermazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva. Ebbene, l’articolo 47 della Carta è sufficiente di per sé e non deve essere precisato mediante disposizioni del diritto dell’Unione o del diritto nazionale per conferire ai singoli un diritto invocabile in quanto tale. La conclusione non può, pertanto, essere diversa con riguardo all’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta (v., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov, C‑556/17, EU:C:2019:626, punti 55 e 56, nonché giurisprudenza ivi citata).

87 In tale ottica, per quanto riguarda la portata del diritto a un ricorso effettivo, quale definita in tale articolo 46, paragrafo 3, la Corte ha dichiarato che l’espressione «assicurano che un ricorso effettivo preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto» deve essere interpretata nel senso che gli Stati membri sono tenuti, in forza di tale disposizione, ad adattare il loro diritto nazionale in modo che il trattamento dei ricorsi in questione comporti un esame, da parte del giudice, di tutti gli elementi di fatto e di diritto che gli consentano di procedere ad una valutazione aggiornata del caso di specie (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 110).

88 A tale riguardo, la locuzione «ex nunc» mette in evidenza l’obbligo del giudice di procedere a una valutazione che tenga conto, se del caso, dei nuovi elementi intervenuti dopo l’adozione della decisione oggetto dell’impugnazione. Una valutazione di questo tipo consente, infatti, di esaminare la domanda di protezione internazionale in maniera esaustiva, senza che sia necessario rinviare il fascicolo all’autorità accertante. Il potere, di cui dispone in tal modo il giudice, di prendere in considerazione nuovi elementi sui quali detta autorità non si è pronunciata rientra nella finalità della direttiva 2013/32, quale ricordata al punto 78 della presente sentenza (sentenza del 25 luglio 2018 nella causa C‑585/16, Alheto, EU:C:2018:584, paragrafi 111 e 112).

89 Inoltre, l’aggettivo «completo» di cui all’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 conferma che il giudice è tenuto a esaminare sia gli elementi di cui l’autorità accertante ha tenuto o avrebbe dovuto tenere conto sia quelli che sono intervenuti dopo l’adozione della decisione da parte della medesima (sentenza del 25 luglio 2018 nella causa C‑585/16, Alheto, EU:C:2018:584, paragrafo 113).

90 Infine, l’espressione «se del caso», contenuta nella parte di frase «compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva [2011/95]», evidenzia il fatto che l’esame completo ed ex nunc incombente al giudice non deve necessariamente vertere sull’esame nel merito delle esigenze di protezione internazionale e che esso può dunque riguardare gli aspetti procedurali di una domanda di protezione internazionale (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 115).

91 Ebbene, la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro rientra in tali aspetti procedurali delle domande di protezione internazionale in quanto, alla luce delle considerazioni esposte ai punti da 48 a 50 della presente sentenza, siffatta designazione è atta a comportare ripercussioni sulla procedura di esame vertente su domande del genere.

92 Peraltro, come esposto al punto 46 della presente sentenza, il ricorrente nel procedimento principale contesta all’autorità che ha adottato la decisione di rigetto che, pur avendo egli esposto le minacce di cui è oggetto in Moldova e dichiarato di non voler rientrare nella sua regione di origine a causa dell’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa, tale autorità ha fondato detta decisione unicamente sul fatto che egli è originario della Repubblica moldova e che la Repubblica ceca aveva designato tale paese terzo come paese di origine sicuro, eccettuata la Transnistria.

93 Pertanto, la designazione di tale paese terzo come paese di origine sicuro costituisce uno degli elementi del fascicolo portati a conoscenza del giudice del rinvio e di cui quest’ultimo è chiamato a conoscere nell’ambito del ricorso avverso detta decisione.

94 Si deve da ciò concludere che, in tali circostanze, anche se il ricorrente nel procedimento principale non ha espressamente invocato, in quanto tale, un’eventuale violazione delle norme previste dalla direttiva 2013/32 al fine di siffatta designazione per sottoporre la procedura di esame di una domanda di protezione internazionale di un richiedente proveniente da detto paese terzo al regime particolare che deriva dalla sua designazione come paese di origine sicuro, tale eventuale violazione costituisce un elemento di diritto che il giudice del rinvio deve prendere in considerazione nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc imposto dall’articolo 46, paragrafo 3, di tale direttiva.

95 La decisione di rigetto di cui trattasi è, infatti, fondata esclusivamente sul fatto che il ricorrente nel procedimento principale è originario della Repubblica di Moldova e che tale paese terzo deve essere considerato un paese di origine sicuro. Di conseguenza, si deve considerare che l’elemento decisivo di detta decisione di rigetto basata sulla designazione di detto paese terzo come paese di origine sicuro è necessariamente oggetto del ricorso proposto dal ricorrente nel procedimento principale contro la suddetta decisione. Pertanto, il giudice competente a statuire su tale ricorso deve esaminare, nell’ambito di quest’ultimo, la legittimità di siffatta designazione ai sensi di detto articolo 46, paragrafo 3.

96 Alla luce, in particolare, dei dubbi del giudice del rinvio al fine di dirimere la controversia dinanzi ad esso pendente, esposti ai punti da 38 a 40 della presente sentenza, la sua valutazione, nell’ambito di tale esame completo ed ex nunc e sulla base degli elementi del fascicolo, deve vertere, da un lato, sul ricorso all’articolo 15 della CEDU, se le autorità competenti a tal riguardo non sono state in grado di considerare la portata di siffatto evento significativo per quanto riguarda la capacità del paese terzo designato come paese di origine sicuro di continuare a soddisfare i criteri previsti a tal fine dalla direttiva 2013/32. Dall’altro lato, tale valutazione deve riguardare una violazione della condizione, risultante dalle disposizioni di tale direttiva, secondo la quale la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro deve estendersi a tutto il suo territorio.

97 Peraltro, la Corte ha già precisato che, quando un cittadino di un paese terzo soddisfa le condizioni per il riconoscimento della protezione internazionale previste da tale direttiva, gli Stati membri sono tenuti, in linea di principio, ad accordare lo status richiesto, dato che tali Stati non dispongono di un potere discrezionale al riguardo (v., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov, C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

98 Da tutte le considerazioni che precedono risulta che occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che, quando un giudice è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale esaminata nell’ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti provenienti da paesi terzi designati come paese di origine sicuro, conformemente all’articolo 37 di tale direttiva, tale giudice, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc imposto dal suddetto articolo 46, paragrafo 3, deve rilevare, sulla base degli elementi del fascicolo nonché di quelli portati a sua conoscenza nel corso del procedimento dinanzi ad esso, una violazione delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I di detta direttiva, anche se tale violazione non è espressamente fatta valere a sostegno di tale ricorso.

 Sulle spese

99 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1) L’articolo 37, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, in combinato disposto con l’allegato I della stessa direttiva,

dev’essere interpretato nel senso che:

un paese terzo non cessa di soddisfare i criteri che gli consentono di essere designato come paese di origine sicuro per il solo motivo che si avvale del diritto di derogare agli obblighi previsti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, in applicazione dell’articolo 15 di tale convenzione, le autorità competenti dello Stato membro che ha proceduto a siffatta designazione devono tuttavia valutare se le condizioni di attuazione di tale diritto siano atte a mettere in discussione detta designazione.

2) L’articolo 37 della direttiva 2013/32

dev’essere interpretato nel senso che:

esso osta a che un paese terzo possa essere designato come paese di origine sicuro allorché talune parti del suo territorio non soddisfano le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I di detta direttiva.

3) L’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,

dev’essere interpretato nel senso che:

quando un giudice è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale esaminata nell’ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti provenienti da paesi terzi designati come paese di origine sicuro, conformemente all’articolo 37 di tale direttiva, tale giudice, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc imposto dal suddetto articolo 46, paragrafo 3, deve rilevare, sulla base degli elementi del fascicolo nonché di quelli portati a sua conoscenza nel corso del procedimento dinanzi ad esso, una violazione delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I di detta direttiva, anche se tale violazione non è espressamente fatta valere a sostegno di tale ricorso.

Firme


* Lingua processuale: il ceco.

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