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Il contributo: il Governo Meloni al traguardo del biennio: primo bilancio dei progetti di riforma costituzionale

dell’Avv. Jacopo-Severo Bartolomei, Collaboratore Università Roma III

L’Esecutivo Meloni, ha pubblicato il bilancio dei suoi primi due anni di governo, insediatosi il 22 ottobre 2022, alla guida la prima donna Presidente del Consiglio.

Con presentazione in forma di slide, il documento “Due anni di Governo Meloni” sintetizza le principali riforme e misure avviate per rilanciare l’economia, migliorare la coesione territoriale e rafforzare il ruolo dell’Italia sul piano internazionale.

La variegata compagine governativa guidata dal Premier in Rosa si appresta ad entrare nel terzo anno di durata, salvo alcune defezioni marginali, mentre i ministeri chiave sono rimasti ricoperti dai titolari nominati nella cerimonia d’insediamento del 22 ottobre 22, dopo il rituale giuramento di Fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione, nelle mani del Capo dello Stato.

Non è certo questa la sede per tracciare un bilancio complessivo in “corpore vili”, tali e tanti son stati i temi trattati: lavoro (più occupazione e contratti stabili), famiglie e natalità (Assegno Unico e congedi parentali), giustizia (riforme per accelerare i processi, pene più severe e maggiori tutele), sicurezza (potenziamento Forze di Polizia, misure contro immigrazione clandestina e criminalità organizzata), cd. “Piano Mattei” (nuove sinergie di cooperazione con i Paesi africani, specie dell’area Maghrebina con diretto affaccio sul bacino mediterraneo, per sviluppo reciproco ed incremento approvvigionamento risorse), infrastrutture (investimenti in strade, autostrade, rete ferroviaria e sicurezza energetica), Presidenza italiana del G7 (nuove sfide globali e iniziative per l’Africa, inclusione e disabilità), turismo e cultura (valorizzazione del patrimonio italiano e riforme per un turismo più competitivo).

Ancora: sviluppo sostenibile, scuola del merito, università e ricerca, riforma della Pubblica Amministrazione sport e giovani, transizione digitale, rilancio del Sud, riforme costituzionali. Particolare importanza l’Esecutivo in carica ha annesso alle materie del lavoro e crescita economica, mettendo in ballo, la propria credibilità e l’intento malcelato

Anche la crescita del Lavoro, in funzione della crescita economica era nelle intenzioni del corrente esecutivo uno dei punti salienti del programma di governo, con l’impegno di riformare il mercato del lavoro, prendendo una direzione radicalmente differente da quella intrapresa dal Premier G. Conti, in entrambi gli Esecutivi (Giallo-verde,  Giallo-rosso) da Lui presieduti a cavallo del periodo influenza pandemica Covid-Sars1.

Il 68 esimo governo, Premier Giorgia Meloni, vanta di certo il traguardo significativo della durata, seppur con andamento discontinuo.

Gli osservatori più critici, debbono però convenire sul dato di fatto delle rivendicazioni del Premier On Meloni: che il suo primo governo ha già, dopo il biennio, conseguito il 7° posto nella classifica di longevità dei governi della Repubblica Italiana. Il Prof. Gianfranco Pasquino non certo benevolo per la ondivaga conduzione della politica estera (Torsioni orbaniane), nota che la Meloni al debutto del proprio esecutivo aveva additato nel cd. PREMIERATO, cioè il Ddl costituzionale On. Casellati “elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri”, la Madre di Tutte le riforme di grado costituzionale in cantiere. Quindi conclude che Ella ha usufruito sinora di quella stabilità politico-ordinamentale che aveva messo a fondamento della rapida approvazione della Riforma Madre, senza omettere di notare come la Paternità del Premierato non fosse in toto condivisa da altra componente di Fratelli d’Italia, che nel programma sottoposto all’elettorato berlusconiano nel 2022 aveva inserito un forma di governo diversa, tra il presidenzialismo e il semipresidenzialismo alla francese (cfr. Editoriale , Domani, 23-10.24 “I primi due anni di meloni ci fanno temere i prossimi tre”).

Il proposito di Riformare la Costituzione, dopo il noto referendum promosso da on. Mariotto Segni per l’abolizione della preferenza unica nel 1992, costituisce un leit-motiv ricorrente ciclicamente dalla Commissione bicamerale Bozzi in poi; ma se si esclude la riforma del titolo V nel 2001 approvata con esiguo scarto di Tre voti di maggioranza –  aggravante sensibilmente il carico di lavoro della Corte costituzionale, essendo decuplicati i ricorsi per conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni – e quella recentissima, strenuamente voluta dal M5S di riduzione numero parlamentari ciascuna Camera, comportante limitazione di rappresentanza di minoranze linguistico-territoriali (cfr. Salvatore SFRECOLA, “Premierato, un modello sbagliato” , 20.02.24 su questo Blog), senza intaccare il vulnus del bicameralismo paritario; ebbene tale proposito si è rivelato senza concreto seguito ed a volte velleitario (si pensi al referendum Renzi-Boschi).

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Ora l’esecutivo Meloni ha calendarizzato tre diverse proposte di modifica della costituzione, con l’intenzione di coltivarne l’iter, coi debiti aggiustamenti e portarle a termine:

  1. Cd Premierato;
  2. Autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario (legge n. 86 del 2024), patrocinata in primis dal Ministro Calderoli, titolare del dicastero (ora ridimensionata in 7 punti da recentissima Sentenza Corte costituzionale, con motivazioni in corso di pubblicazione, di cui quelli salienti appaiono l’attribuzione della competenza centrale con Decreto PCM in definizione LEP e l’estensione alle regioni a statuto speciale di tale meccanismo, in attuazione art. 116, co II, Cost.

I Giudici della consulta, pur ritenendo non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge, come preteso dalle Regioni ricorrenti, hanno ritenuto che la distribuzione di funzioni legislative ed amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, debba avvenire in funzione del bene comune e della tutela dei diritti garantiti nella Carta costituzionale, con diretto richiamo al principio regolatore di sussidiarietà.

Occorre però inquadrare lo “sforzo costituente” dell’esecutivo Meloni, nel nuovo contesto continentale e mondiale, determinatosi, da un lato, con la vittoria alle elezioni presidenziali USA di Donald J. Trump – dipinta dagli Intellettuali esponenti del Politically correct in termini di “alleanza vincente tra un Tycoon che ha ampiamente dimostrato di essere indispettito dal costituzionalismo e il rappresentante del capitalismo monopolistico globale Elon Musk” (sic Editoriale su Domani 14.11.24, prof. ssa Nadia Urbinati, Columbia University, dal titolo “L’Italia di Meloni perfetto laboratorio della plutocrazia trumpista”) – e dall’altro lato con la non poco problematica riconferma di Ursula von der Leyen alla Presidenza della Commissione europea per il quinquennio 2024.29, avvenuta senza l’appoggio diretto del gruppo cui aderisce FDI.

Infatti l’Italia, nel nuovo contesto internazionale che si sta delineando e sarà più chiaro entro il 20 gennaio 25, per i detrattori della politica condotta dall’Esecutivo in carica, rischia di fungere da “anello debole del progetto anticostituzionale”, in cui la sovranità popolare è esaltata oltre i limiti di legge e Costituzione ex art. 1, comma secondo, Cost. 

In questa sede l’attenzione si concentrerà meramente sulla Prima riforma di grado costituzionale, il cd. Premierato

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La proposta di revisione costituzionale ha l’obiettivo dichiarato di affrontare e risolvere le problematiche connesse “all’instabilità dei Governi, all’eterogeneità e alla volatilità delle maggioranze” ed al “transfughismo” parlamentare”, asserisce la relazione allegata al Ddl costituzionale, cioè impedire quel cambio di casacca che, nelle ultime legislature, ha interessato un rilevante numero di parlamentari. È, infatti indubitabile che la stabilità di un Governo ha riflessi significativi non solo sull’assetto istituzionale del Paese, bensì sulla credibilità internazionale dell’Italia, sia in ambito dell’Unione Europea, che  in campo internazionale.

Il punto centrale del Ddl è costituito dall’elezione diretta del Presidente del Consiglio contestualmente a quelle delle Camere, per evitare gli sfasamenti che la forma di governo semipresidenziale secondo il modello francese ha negli ultimi decenni mostrato con la cd. cohabition,  e quindi assicurando omogeneità tra la Carica monocratica (Premier) e gli Organi assembleari (le Camere), “così “valorizzando il ruolo del corpo elettorale nella determinazione dell’indirizzo politico della Nazione”. Infatti, oggi, è la tesi del Governo, “la mancanza di stabilità e di coesione delle compagini governative e del continuum che lega maggioranza parlamentare ed Esecutivo si traduce, innanzitutto, nella difficoltà di concepire indirizzi politici di medio-lungo periodo, di elaborare e attuare riforme organiche…”.

La riforma assicurerebbe “la decisività del voto elettorale rispetto all’investitura della maggioranza e alla definizione del suo mandato in termini di contenuti programmatici”, pure per arginare il fenomeno del rilevante astensionismo dal voto, prova della disaffezione dei cittadini nei confronti della “politique politicienne”, secondo l’icastica definizione di Charles De Gaulle. Per cui il proposto meccanismo di “legittimazione democratica diretta” del Presidente del Consiglio, eletto nella Camera per cui si candida, funziona da deterrente alla nomina di Governi “tecnici” o “del Presidente”, presieduti da non parlamentari e scevri da un solido rapporto di fiducia con entrambi i rami del Parlamento, che deve permanere secondo l’ordito della forma di governo recepita in Costituzione per l’intera durata dell’Esecutivo. In tal modo si prevede l’inibizione invalicabile rispetto a  quanto è accaduto con la nomina a Presidente del Consiglio del Prof. Mario Monti (già Rettore Università Bocconi, e Commissario Europeo) che, alla vigilia dell’incarico da Premier,  pretese di esser nominato senatore a vita, dall’allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Infatti, la riforma attuale abolisce l’art. 59 Cost., che consente al Presidente della Repubblica di nominare sino a cinque senatori a vita.

Caratteristica molto enfatizzata della riforma è anche la cosiddetta norma “antiribaltone”, prevedente che il Premier in carica possa essere sostituito solo da parlamentare della maggioranza e solo al fine di proseguire nell’attuazione del medesimo programma di Governo. Norma, che vuole imitare il meccanismo della “sfiducia costruttiva” presente in Deutsches Grundgesetz (GG) promulgata il 23.05.49 per la Repubblica federale Tedesca. Storicamente, il cultore di diritto pubblico comparato deve annotare che il meccanismo della sfiducia costruttiva, già presente nella Costituzione di Weimar del 1919, è stato trasfuso nella Carta Fondamentale postbellica, bensi subordinato all’obbligo di reperire un nuovo Cancelliere ed escutivo prima delle dimissioni del Precedente in carica.

Tale accorgimento, unito alla nota Clausola di sbarramento (Sparrenklaus) del 5%, sancito dalla legge elettorale federale per il Bundestag  , ha comportato che tra le Costituzioni contemporanee fedeli alla forma di governo parlamentare, quella vigente in Germania presenta i piu efficaci meccanici di cd. Razionalizzazione, atti a dare efficacia ed autorevolezza all’Esecutivo, in cui spicca la figura storica del Cancelliere, che di solito è destinato a restare in carica per l’intera durata del mandato ricevuto dal corpo elettorale. Infatti la soglia di sbarramento funge da correttivo del sistema proporzionale, evitando aql contempo sia eccessive frammentazioni che derive verso l’assemblearismo o demagogiche.

Tuttavia, la norma contenuta nel Ddl,  nella sua perentoria formulazione è stata oggetto di ripensamento ad opera del medesimo Premier, che ha esplicitamente affermato che, se cadesse il Presidente dl Consiglio si dovrebbe tornare al voto (Simul stabunt, simul cadunt), cosi dimostrando che il potere di scioglimento delle Camere è potere tipicamente Presidenziale, seppur procedimentalizzato con l’audizione delle più alte cariche dell’ordinamento

C A questo punto si inserisce il tema della riforma della legge elettorale con previsione di un “premio” assegnato su base nazionale, che assicuri al partito o alla coalizione di partiti collegati al Presidente del Consiglio la maggioranza dei seggi parlamentari. Si era proposto il quorum del 55% , per far scattare il premio di maggioranza, ma questa misura sembra fortemente contestata e comunque si ritiene non debba essere oggetto di previsione costituzionale.

 Il Proposito di assicurare una maggioranza stabile al Governo si concepisce come funzionale ad  evitare le degenerazioni funzionali che hanno caratterizzato l’esperienza del Premierato israeliano nel Parlamento variegato (Knesset), unico precedente in materia. 

La relazione al disegno di legge afferma che “la formulazione del testo è ispirata a un criterio “minimale” di modifica della Costituzione vigente, nella convinzione che si debba operare, per quanto possibile, in continuità con la nostra tradizione costituzionale e parlamentare”,  allo scopo dichiarato esplicitamente “di preservare al massimo grado le prerogative del Presidente della Repubblica, che l’esperienza repubblicana ha confermato quale figura chiave della forma di governo italiana e dell’unità nazionale”.

Con tale sviolinata all’Inquilino del Colle, a prescindere dalla degna persona Prof. Sergio Mattarella (al secondo mandato, unico Capo dello Stato rieletto, dopo Giorgio Napolitano) la Premier e FDI hanno inteso mandare un messaggio nemmeno subliminale al Quirinale, onde dimostrare enfaticamente di aver senso dello stato e marcare la sostanziale differenza con altre formazioni quali la Lega Salvini o il Movimento 5S dei tempi di Grillo-Casalleggio-Di Maio.

Non si dimentichi che proprio all’on. Di Maio si deve l’improvvida iniziativa, di fronte al rifuto netto di Mattarella di avallare la nomina del Prof. Savona al MEF, nel primo esecutivo G.Conte, di prender iniziativa raccolta firma per avvio procedura d’impeachment.

In attesa degli sviluppi futuri, in un contesto di incertezza che coinvolge la stessa composizione della Corte costituzionale (quando un componente della Consulta cessa dal mandato dovrebbe essere sostituito entro 30 gg, mentre dalle dimissioni del Giudice Sciarra son passati ben 11 mesi) (S. Sileoni rammenta che l’Inoperosità del Parlamento a Camere riunite nell’eleggere la sua quota di giudici vanta una lunga serie di precedenti, sin dal richiamo del Presidente Gronchi nel proprio messaggio di insediamento – cfr. La Stampa 14.10.24, e entro l’anno scadranno i mandati di altri 3 giudici tra cui quello del Prof. Franco Modugno), il bilancio provvisorio delle riforme di livello costituzionale o con diretta incidenza sui principi costituzionali non è univoco.

Da un verso L’Esecutivo ha avvertito ineludibile necessità di un aggiornamento impianto della seconda parte della Carta, quella dedicata all’Ordinamento repubblicano e alla forma di governo parlamentare, dall’altro verso i risultati sinora sono alquanto modesti e appaiono incongrui.

E’ vero che i predecessori non hanno varato riforme migliore o piu organiche (si pensi alla riforma del titolo V), ma ad oggi le innovazioni che si intendono apportare rischiano di rompere un delicato eppur riuscito equilibrio, senza incidere sul vulnus saliente, quel difetto di rappresentatitività del Parlamento che è rafforzato dalla crescente disaffezione al voto e alla delocalizzazione fuori dai Palazzi del Potere dei centri decisionali effettivi.

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