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Colf e badanti, un impegno lavorativo da qualificare e sottrarre al sommerso che pesa sulle casse dello Stato

di Salvatore Sfrecola

Quante volte abbiamo sentito dire, dai fautori della più ampia accoglienza di immigrati, che, tra questi, molti sono coloro che hanno cura dei “nostri anziani”! Tuttavia, nulla è stato fatto per favorire, da un lato, la preparazione professionale di chi cura l’assistenza ai malati e agli anziani, dall’altro, la loro regolarità fiscale e contributiva. Ugualmente per il lavoro domestico in un tempo nel quale nelle case si usano sempre più strumenti elettrici ed elettronici che richiedono un minimo di attenzione. Due aspetti che dovrebbero interessare, in primo luogo il Ministro dell’economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, e poi i colleghi della salute, Orazio Schillaci, e del lavoro, Marina Elvira Calderone. A Giorgetti deve preoccupare la dimensione del lavoro sommerso dei collaboratori e delle collaboratrici familiari che si stima pesi sulle casse dello Stato per circa 2,4 miliardi di euro l’anno, tra mancato gettito contributivo (1,5 miliardi) ed evasione Irpef (904 milioni), secondo una stima di Assindatcolf, riferita da Il Sole 24 Ore in un articolo di Giorgio Pogliotti. Per contrastare questa situazione si propone di introdurre, al posto dell’attuale deduzione contributiva, un credito d’imposta al 50% che si stima capace di ridurre il tasso di irregolarità dal 54% al 21%.

Il Rapporto 2024 “Family (Net) Work – Laboratorio su casa, famiglia e lavoro domestico dell’Ufficio Studi di Assindatcolf, in collaborazione con Censis, Effe, Centro Studi e Ricerche Idos e Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, riferisce Il Sole 24 Ore, guarda con interesse all’introduzione di un credito d’imposta, misura che “dovrebbe essere accompagnata dall’eliminazione dell’attuale deduzione contributiva per lavoro domestico pari ad un massimo di 1.549,37 euro l’anno e dal raddoppio degli oneri contributivi”. Segue la stima del costo previsto per lo Stato, a fronte della previsione di una nuova domanda di occupazione nel settore con una significativa emersione di quello irregolare che si ipotizza del 60%. Basterebbe considerare l’aspetto, sempre trascurato, del datore di lavoro che, come un imprenditore, ha diritto di dedurre dal reddito gli oneri sostenuti per il personale. In questo modo emergerebbe il sommerso e il personale impiegato potrebbe essere adeguatamente qualificato. In particolare, gli addetti alla cura delle persone, i badanti, che non sono dei guardiani ma prestatori di un’opera preziosa che richiede un minimo di conoscenza delle possibili esigenze di intervento, la misurazione della temperatura, l’effettuazione di una iniezione, il riscontro della glicemia e soprattutto la capacità di leggere una prescrizione e di dialogare col medico di famiglia per dar conto degli effetti di un farmaco. Invece, abbiamo badanti che non hanno una minima conoscenza della lingua italiana e, naturalmente, non sanno leggere quel che ha scritto il medico. Basterebbe un corso di qualche ora presso una ASL o la Croce Rossa con rilascio di una certificazione di idoneità allo specifico lavoro perché queste persone fossero messe in condizione di svolgere con competenza il proprio delicato compito.

Invece, una ipocrisia, purtroppo da sempre diffusa nel nostro Paese, fa preferire il lavoro in nero, nella certezza di corrispondere al lavoratore qualcosa di meno di quanto prevedono le tariffe ufficiali, incuranti che vi sia quel minimo di capacità professionale che abbiamo richiamato alla quale i parenti del “badato” ritengono di poter supplire con la loro presenza. 

Una situazione che la politica trascura di affrontare perché pervicacemente lontana dalla realtà delle esigenze vere delle persone.

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