lunedì, Dicembre 16, 2024
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A garanzia dell’indipendenza dei magistrati è necessario superare il sistema elettorale del Consiglio Superiore

di Salvatore Sfrecola

Nell‘animato dibattito sulla giustizia, fortemente politicizzato, tanto che a tratti se ne ricava la sgradevole impressione di una sorta di vendetta della classe politica o di parte della classe politica, nei confronti dei magistrati che ne hanno scoperto le marachelle, un tema poco percepito dall’opinione pubblica sembra essere quello dell’indipendenza dei giudici e, soprattutto, dei Pubblici Ministeri, oggi assicurata dalla Costituzione. Perché, se l‘indipendenza dei giudici non è in discussione, è data per presupposta, necessaria, non lo stesso si sente dire dei pubblici ministeri, oggetto di una serie di proposte che vorrebbero distinguerli dal punto di vista ordinamentale dai colleghi giudicanti, ciò che fa intravedere inevitabilmente sullo sfondo due variabili che, pur sovente smentite, sono implicite: la sottoposizione del Pubblico Ministero al potere politico, alle direttive del Ministro della giustizia, e la discrezionalità dell‘esercizio dell‘azione penale, oggi obbligatoria, che dovrebbe seguire le scelte della politica.

Ora, se, come dicevo poc’anzi, non è in discussione l’indipendenza del magistrato giudicante, quella del requirente è ugualmente importante perché il P.M., in quanto titolare dell’azione penale, esercitata nell’interesse dell’ordinamento. Il Pubblico Ministero, infatti, nel nostro ordinamento, ciò che sfugge volutamente a parte della classe politica, soprattutto agli eredi del pensiero di Silvio Berlusconi, non è l’“avvocato dell’accusa”, come si sente dire molto spesso, ma è il rappresentante della legge, cioè colui il quale, in presenza di un fatto che ritiene configuri un reato, ha il dovere di esercitare l‘azione penale e di chiedere al giudice l‘affermazione della responsabilità del soggetto autore di una determinata condotta illecita.

Torna, dunque, molto utile nel dibattito di questi giorni una riflessione che ho letto per la penna di Luigi Tivelli, grand commis d’État, Presidente dell’Academy Spadolini, storico e giurista raffinato, il quale su Il Tempo prende le mosse da una esternazione di Alfonso Sabella in materia di indipendenza, riferita al funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), per sottolineare come la consistenza della rappresentanza togata è le sue scelte sono determinate dal grado di consenso delle correnti dei magistrati.

Ora non c’è dubbio che le correnti, nelle quali si articola l’A.N.M. possono ben avere una funzione culturale, di approfondimento delle tematiche giuridiche connesse all’esercizio delle attribuzioni dei magistrati con una prudente astensione dalla partecipazione al dibattito politico. Se, invece, mirano a gestire l’assegnazione dei colleghi ai vari posti di funzioni in un’ottica di appartenenza alla medesima componente associativa, si attua un circuito perverso che non premia professionalità ed esperienza ma solamente la condivisione di orientamenti che inevitabilmente assumono una connotazione politica sia pure correntizia.

Giusto dunque, spiega bene Tivelli, richiamando il programma del Ministro della giustizia, Carlo Nordio, modificare il sistema di scelta della componente togata del Consiglio Superiore in modo che non sia determinata dal consenso che esprimono le varie correnti. Per cui la proposta, che so molto contrastata, di inserire nel C.S.M. membri togati individuati a seguito di un sorteggio che tenga conto dell’appartenenza ai vari ruoli della magistratura e delle diverse anzianità, in modo che coloro i quali sono chiamati a valutare una candidatura ad un posto di funzione non siano condizionati dall’appartenenza ad una componente associativa alla quale nulla debbono per essere divenuti componenti del C.S.M..

È questa forse la riforma più importante, capace di azzerare il potere delle componenti associative nella gestione del personale. Come finora è avvenuto. Come ha raccontato Luca Palamara, con dovizia di particolari, e come riferiscono le cronache. Voglio aggiungere anche un ricordo personale, di molti anni fa. Il Consiglio di Presidenza della Corte dei conti, organo di autogoverno della magistratura contabile, doveva designare un magistrato “delegato” al controllo di un importante ente pubblico economico. Avevano presentato domanda due colleghi, entrambi degnissimi, uno dei quali con una specifica esperienza nel settore dell’economia che l’altro non aveva. Fu scelto quest’ultimo e quando feci osservare ad uno dei componenti eletti dal mio gruppo associativo che l’altro meritava di più e che, per la specifica professionalità, avrebbe fatto fare una bella figura alla Corte mi fu risposto che il prescelto “è dei nostri”.

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