John Fitzgerald Kennedy, il colto bostoniano (1917-1963) e
Jimmy Carter, il longevo georgiano (1924-2024).
dell’Avv. prof. Jacopo-Severo Francesco Bartolomei, Collaboratore stabilizzato Roma III – Membro Centro Studi V.E. Orlando
Due figure di Presidenti federali emergono da “Il Secolo Americano”, il periodo in cui gli Stati Uniti d’America hanno esercitato il ruolo indiscusso di Superpotenza mondiale egemone, durante la Guerra Fredda.
Parliamo di John Fitzgerald Kennedy (34 esimo) e Jimmy Carter (39 esimo), i cui insediamenti da Presidenti federali alla Casa Bianca sono avvenuti, rispettivamente il 20 gennaio 1960 e il 20 gennaio 1977, figure istituzionali e Persone all’apparenza divergenti e dallo stile contrapposto, eppur entrambi tenaci nel perseguire i propri ideali e di indubbia cultura politica.
Essi sono accomunati da un dato saliente: l’espletamento del rispettivo mandato presidenziale è stato interrotto (Robert Dallek, la biografia monumentale edita per il quarantennale da Dallas, s’intitola ” JFK, un unfinished life”. Trad it. Milano Mondadori 2004). Per Kennedy l’opinione pubblica mondiale venne posta al corrente in tempo reale dell’eccidio di Dallas avvenuto in data 23.11.63. Per Carter il de prufundis coincide con la liberazione degli ostaggi, non appena insediatosi Ronald Reagan, fatto che rappresenta la cesura del suo personaggio politico
Arthur M. Schlesinger, professore ad Harvard e componente dello staff kennediano, nell’opera “I Mille giorni di Kennedy” alla guida degli Usa, sottolineò questo dato di grande incisività della Presidenza dell’inquilino di fede cattolica e di estrazione famigliare elitaria; il Padre Joseph Patrick (nickname Joe) (1888-1969) era stato un imprenditore di successo e poi Ambasciatore a Londra alla vigilia del II° conflitto mondiale, entrando in contrasto con la linea di chiusura totale a trattative con la Germania Nazista, linea perorata da Sir. Winston L.S. Churchill (1874-1965), il quale durante la conferenza di Casablanca (nome in codice “SYMBOL”) tenuta all’Hotel Anfa, nella città del Marocco, dal 14-24 gennaio 1943, per pianificare la strategia europea degli alleati – partecipata anche dalla Russia del dittatore Josef Stalin e da France libre del Gen. Charles De Gaulle, si batté energicamente e fece passare la linea della resa incondizionata, cioè arrivare allo smembramento del III Reich, e non solo alla caduta del regime di Hitler.
Nel 1977 Carter finalmente consegnò il Canale di Panama al suo legittimo proprietario, il governo locale, chiudendo simbolicamente l’epoca del colonialismo in America Latina, sebbene l’effettivo passaggio di consegne sarebbe avvenuto nel 1999; nel 1979 con l’accordo Salt II proseguì con l’Unione Sovietica l’epoca del controllo e disarmo nucleare; nello stesso anno fu lui, con determinazione e pazienza, a costruire gli accordi di Camp David la pace fra Egitto e Israele. Tuttavia rimane più lunga la lista degli errori, dei limiti caratterialie delle circostanze avverse. L’opposto di quest’ultima – la fortuna – è fondamentale per il successo di un leader, come insegna il Principe di Machiavelli. Carter non ne ebbe molta durante il mandato presidenziale, ma seminò dei germi destinati a fruttificare. In questo, pur nell’assoluta diversità caratteriale e del modo di porsi in pubblico, anche JFK ha lasciato dei segni imperituri nella storia degli USA e del pianeta in generale.
Basti ricordare il progetto Apollo, e la creazione della Nasa per inviare il primo uomo sulla luna, come avveratosi il 29 luglio 1969
James Earl Carter Jr nato 1.10.1924 a Plains, Georgia. Piccolo investitore locale, suo padre James Earl Carter Sr. aveva fatto una discreta fortuna coltivando noccioline. James Jr. chiamato affettuosamente Jimmy, pensava che anche il suo destino sarebbe stato legato alla produzione di arachidi. Nel frattempo si diede a un intensa carriera da ufficiale di Marina: sommergibilista nei primi anni della Guerra Fredda; poi sospinto da fede incrollabile per la Chiesa Evangelica, si avvicinò alla politica, intesa come messa a servizio di energie per i più poveri e per il bene comune.
In questo peculiare aspetto, mutatis mutandis, si rintraccia più di una mera analogia con JFK ed il Kennedismo come stagione politica (1960-1968), che ha cercato di conferire un anima democratica con venature sociali al primato economico-militare degli USA.
Gli stati del Sud, ultra-conservatori, allora votavano democratico. Poi ne 1964 Lyndon Johnson presentò all’America “The Great Society”, il pacchetto di riforme sociali e anti-segregazioniste che lo avrebbe catapultato nella storia se la sua presidenza non fosse stata marchiata in maniera indelebile dal disastro del Vietnam.“Faremo le riforme ma il partito perderà per sempre il Sud”, aveva predetto il texano L. Johnson.
Infatti, da allora gli stati al di sotto della Linea Mason-Dixon che divideva l’America “Yankee” da quella “Dixie”, sarebbero stati un serbatoio di voti del conservatorismo repubblicano. Da politico, il giovane Carter incarnò la doppia personalità di molti democratici del Sud: cristiano e conservatoreper natura, progressista per scelta: “Sono convinto che Gesù Cristo approverebbe i matrimoni gay”, avrebbe detto a titolo di convinzione personale il senatore Jimmy Carter, sostenitore dei diritti civili (Human Rights), ma decisamente contrario alla legalizzazione dell’aborto (introdotto nelle Hawaii nel 1970 e poi a livello federale nel 1973, dopo la nota Sentenza Corte Suprema “Roe v. Wade, di recente parzialmente innovata in senso restrittivo con la Sentenza del 24.6.22).
J. Carter è stato Senatore della Georgia (1963-’67), poi Governatore ad Atlanta (1971 – ’75), sempre militando nelle fila del partito democratico. Poi, nel vuoto di leadership dell’America fuoriuscita traumatizzata dalla sconfitta militare e morale in Indocina (cfr. la cinematografia hollywoodiana “The deer hunter”,1978, diretto da M. Cimino, con R. De Niro e M. Streep, nonché “RamboI”,1982, diretto da Ted Kotcheft, con Sylvester Stallone) e dallo scandalo Watergate, che aveva costretto Richard Nixonal ritiro per la prospettiva d’avvio della procedura d’impeachment, Jimmy Carter scalò il Partito democratico fino alla conquista di misura della nomination presidenziale nel 1976, battendo G- Wallace.
Il carattere introverso e riflessivo, poco incline al personaggio mediatico di diretta comunicatività, non deponeva a favore di candidato ideale per confronti elettorale ormai ampiamente affidati ai mass-media.
Tuttavia il repubblicano Gerald Ford, dovette farsi carico di due fattori determinanti, primo esser arrivato al posto di Comandante in capo senza mai essersi sottoposto al bagno elettorale a livello nazionale; secondo dover ereditare il pesante fardello del fallimento finale della Presidenza Nixon, e quindi non partì nella posizione di vantaggio tipica dei Presidenti al II Mandato.
Nel tentativo di segnare l’inizio di una nuova era, due giorni dopo essere entrato alla Casa Bianca, Carterdebuttò con l’adozione di atto di clemenza: perdonando le migliaia di renitenti alla leva obbligatoria (eccezionale negli USA) riparati in Canada o Messico, per evitare l’arruolamento nelle truppe destinate al Vietnam. Egli creò i ministeridell’Energia e dell’Educazione, dipartimenti inesistenti nell’organigramma presidenziale. In politica interna il suo obiettivo erano riforme sociali per i più svantaggiati, mentre in politica estera si era prefisso un metodo: la diplomazia e uno scopo: la pace.
Affermava che “Noi e i sovietici abbiamo 30mila testate nucleari ciascuno: abbiamo l’obbligo di raggiungere la pace”.
Ma quando, nel 1979, i sovietici invasero l’Afghanistan anche Carter fu costretto ad abbandonare la distensione, imponendo l’embargo del grano americano e persino il boicottaggio dei Giochi Olimpici che si tenevano a Mosca
Di gran lunga il suo più importante successo in politica estera fu la conclusione degli Accordi di Camp David, portando per la prima colta la pace fra egiziani e israeliani. Fino all’ultimo l’ottusità ideologica del premier Menachem Begin rischiò di far saltare l’accordo, in quanto Egli dovette vincere pressioni interne al composito governo israeliano (la Knesset è uno dei pochi parlamenti in cui sono presenti più partiti politici che nell’Italia della Prima Repubblica, dando vita ad una forma di governo parlamentare che sfocia nell’assemblearismo).
Quando Carter incominciò a organizzarsi per la rielezione dell’80, accaddero nell’ordine: la crisi degli ostaggi a Teheran, quella petrolifera, l’incidente nucleare alla centrale di “Three Miles Island”, e dopo l’invasione dell’Afghanistan il progressivo raffreddamento dei rapporti con la dirigenza dell’Urss. Nel gennaio 1981, pochi giorni dopo l’insediamento (inauguration day) di Ronald Reagan, ex Governatore della California con trascorsi nel cinema (nickname Ronnie) gli ostaggi furono pacificamente liberati, senza contropartite apparenti.
La sfortuna e la convinzione generale che nella crisi economica (tasso d’inflazione oltre il 13%,con erosione potere acquisto salari specie della middle class) e nel riaccendersi di focolai della Guerra fredda occorresse una personalità più decisa, ne compromisero la rielezione. Tornato nella sua farm, non per questo smise il suo impegno politico e civico, tantochè nel 1982 l’ex Presidente fondò il Carter Center per promuovere i diritti umani perché “l’America non ha inventato i diritti umani: i diritti umani hanno inventato l’America”.
Il riconoscimento del Nobel per la pace nell’anno 2002 sancì il suo prodigarsi per la causa dell’impegno civico, pure a livello internazionale.
Data la brevità della parabola esistenziale di JF Kennedy non potremo mai sapere se sarebbe stato rieletto e avrebbe portato, seppur con la fermezza che contraddistingueva il suo carattere, alla distensione degli scenari di frizione, nel confronto con l’altra Superpotenza (la Cina di Maotzetung ancora non era assunta al ruolo di Potenza egemone, né si parlava di Brics).
Però nel modo in cui ha gestito la crisi dei Missili a Cuba , dopo l’infruttuoso sbarco alla Baia dei Porci di cubani addestrati dalla CIA, frenando le intemperanze del “Complesso Militar-Industriale” (secondo nota definizione di D. Eisenhower nel discorso di commiato), e facendo svolgere un ruolo esiziale al Fratello Robert Francis Kennedy (1925-1968, Attorney general, unico prezioso consulente diretto del Presidente, con Robert McNamara (1916-2009), Segretario di Stato alla difesa, si intravvedono delle affinità nella ricerca strenua del dialogo e nel lasciare l’opzione dell’intervento militare come extrema ratio.
Infine un’altra notazione culturale in senso ampio, perche la cultura in senso antropologico rappresenta il substrato ove la politica si alimenta, è da rammentare: JFK ha vinto nel 1958 da Senatore di Boston (Massachussets) il Premio Pulitzer, con la monografia “Profiles On courage”, narrando le gesta di vari appartenenti alla Camera alta che si erano distinti per lungimiranza, anticonformismo e, in definitiva, per aver anteposto l’interesse Nazione americana al proprio tornaconto immediato, cioè avevano saputo affrontare il rischio dell’impopolarità.
In questo tratto finale a me sembra, che fatte le dovute periodizzazioni, i due Presidenti JF Kennedy e J. Carter possano essere accomunati nella memoria.