di Salvatore Sfrecola
Non c’è nulla che possa farci riconoscere quali italiani, fedeli alla memoria storica dell’unità ed ai valori di libertà e democrazia nei quali è stata costruita, se non il tricolore “italiano”. Tanto che su questo concordano il repubblicano Luigi Tivelli, politologo, costituzionalista, Presidente dell’Academy Spadolini, ed un appassionato cultore delle memorie sabaude come notoriamente io sono. Per entrambi il Tricolore continua a rappresentare un valore centrale nella cultura della Nazione, ma, come ha scritto qualche giorno fa Tivelli sul Il Tempo, quel simbolo necessita di essere rilanciato non potendo essere solamente il vessillo da sventolare in occasione di eventi sportivi particolarmente coinvolgenti. Perché chi crede nei valori della storia della Patria non è un formalista ma un cultore consapevole del pensiero e dell’azione di quanti, nel corso dei secoli, a cominciare da Padre Dante, hanno chiesto a gran voce che l’Italia divenisse uno stato unico dalle Alpi al Lilibeo. Quella bandiera che abbiamo percepito con dolore offesa in tante occasioni, sia da stupide intemperanze leghiste sia dalla noncuranza di quel Sindaco che lo usava per spolverare una targa in occasione dell’inaugurazione di un giardino comunale, è ancora oggi un simbolo vilipeso nella realtà quando lo vediamo ridotto ad uno straccio scolorito fuori delle scuole.
Ho segnalato più volte questo aspetto e ricordo che l’onorevole Meloni, non ancora Presidente del Consiglio, esponente di primo piano di Fratelli d’Italia, mi disse che avrebbe invitato i giovani del suo partito a farsi parte diligente nelle scuole per segnalare l’esigenza di una esposizione dignitosa del vessillo, secondo le regole normativamente definite. Non dubito l’abbia fatto ma la situazione non è cambiata per cui ritorno a chiederLe, oggi che da Palazzo Chigi può emanare direttive e controllarne l’esecuzione, che sia assicurato, ovunque viene esposta, il rispetto della bandiera nazionale.
Quel lembo di stoffa dai tre colori, ha un grande valore simbolico ma un piccolo costo, pochi euro, e la sua esposizione risponde a regole specifiche puntualmente definite dalla legge e dal regolamento che, ad esempio, nel caso delle scuole impone sia issata durate le lezioni e gli esami, di giorno, non durante le ferie estive e di notte. Anche la sua manutenzione è puntualmente disciplinata.
Le scuole. Non me ne abbia nessuno, dal Ministro ai Presidi oggi direttori didattici, se insisto a dire che le scuole devono dare il buon esempio perché è in quei locali che si devono formare i futuri cittadini italiani laddove, secondo certe sbavature politiche, si dovrebbe anche realizzare l’integrazione degli immigrati che ospitiamo e che molti vorrebbero divenissero cittadini italiani solo per aver frequentato un ciclo di studi. Quali insegnamenti, quale induzione all’integrazione è possibile se quella bandiera, simbolo della Nazione, è vilipeso impunemente senza nessuna protesta, a dimostrazione che manca il senso dello Stato. Perché quella bandiera non rappresenta solo una tradizione che si è formata all’indomani della Rivoluzione Francese con le prime espressioni dei governi delle repubbliche napoleoniche, ma è l’espressione vivente della comunità nazionale, tant’è vero che ovunque si intenda denigrare uno stato come prima cosa si brucia la sua bandiera, come ci dicono le cronache televisive.
Per chi ha esperienza di viaggi all’estero può constatare che ovunque c’è grandissimo rispetto per la bandiera nazionale, sempre esposta secondo le regole e le consuetudini, dall’alba al tramonto, in condizioni perfette perché possa garrire liberamente al vento. Gli Stati Uniti d’America ne sono un esempio tra i più noti. Ed io che frequento, per motivi culturali e turistici, la Grecia posso testimoniare che la bandiera è esposta ovunque, anche all’esterno delle chiese e sempre in condizioni di essere apprezzata.
C’è un passaggio fondamentale che ho sempre ritenuto di estremo valore simbolico, dopo la scelta di issare il tricolore ad Alessandria, nel 1821, in occasione della sollevazione della locale guarnigione. E, ancora, un altro evento fondamentale, che abbiamo dimenticato o che sottovalutiamo, è stata la decisione di Carlo Alberto, re di Sardegna, che nel dare avvio a quella che sarà la prima guerra di indipendenza nazionale consegna alle truppe il tricolore inserendo nella banda bianca lo stemma della sua antica casata. È un momento di valore simbolico altissimo: uno dei 7 stati italiani indicati dal Congresso di Vienna sposa ufficialmente le ragioni dell’unità della Patria. Non è un piccolo episodio perché quel sovrano, con quel gesto, mette a repentaglio il suo trono nel momento in cui il piccolo Regno di Sardegna sfida la più grande potenza continentale dell’epoca e nella specie un esercito agguerrito con a capo un mito delle armi austriache, il feldmaresciallo Joseph Radetsky, che aveva contribuito alla sconfitta di Napoleone a Lipsia. È come se il Principato di Monaco dichiarasse guerra alla Francia.
Così quando Luigi Tivelli sottolinea il ruolo del Tricolore come emblema di unità e ricorda che quel vessillo affonda le sue radici nei fermenti rivoluzionari italiani del 1789 e fu adottato ufficialmente per la prima volta il 7 gennaio 1797 dalla Repubblica Cispadana richiama i valori del moto risorgimentale e unificante, sostenuto da patrioti che sognavano un’Italia libera e unita. Dai martiri del Risorgimento fino ai militi che nella Grande Guerra si sono sacrificati nelle trincee e sulle pietraie del Carso, fino alla guerra di liberazione, non a caso combattuta da molti reparti del Regio Esercito rimasti nell’Italia occupata dai tedeschi, il Tricolore ha accompagnato le pagine più significative della nostra storia.
Tivelli ricorda che figure emblematiche dell’Italia repubblicana, consapevoli del crescente degrado dei valori nazionali, come Sandro Pertini e Carlo Azeglio Ciampi, hanno dato un contributo fondamentale alla riscoperta della Patria intorno alla bandiera nazionale. Oggi, osserva Tivelli, “Le patrie sono due: l’Italia e l’Europa,” e ricorda il pensiero mazziniano che sottolinea l’importanza di guardare al Tricolore come elemento di coesione in un Paese dove, troppo spesso, prevalgono le divisioni.
Ancora una volta centrale nel pensiero di Tivelli è il tema della memoria storica, che oggi appare sempre più sbiadita. “Abbiamo perso, purtroppo, il senso della memoria storica,” afferma, evidenziando come le scuole e la società civile abbiano smarrito l’abitudine di trasmettere i valori legati alla nostra storia. La pedagogia civile, secondo Tivelli, è essenziale per preservare il legame con il passato e costruire un futuro condiviso. Ed invita le istituzioni a fare di più per coinvolgere i giovani. “Oggi sono presumibilmente molto pochi i bambini che nelle scuole cantano quelle vecchie canzoni patriottiche. Speriamo che risuoni almeno l’Inno di Mameli!” Perché il Tricolore è un valore che deve unire tutte le generazioni. Per questo “occorrerebbe promuovere una diffusa azione di pedagogia civile che racchiuda attorno al valore del Tricolore tutte le generazioni,” e suggerisce che la memoria dei patrioti risorgimentali, come quelli della Repubblica Romana del 1849, sia un elemento imprescindibile per vivere il presente e progettare il futuro. Di più non si poteva pretendere dal repubblicano Tivelli al quale ricordo che i giovani che oggi vorrebbe riacquistassero il senso civico e il rispetto per i valori fondanti della nostra Repubblica, anche quando ispirati da Mazzini, negli anni del Risorgimento corsero da ogni parte d’Italia sotto il tricolore con lo stemma sabaudo, consapevoli che solo il Regno della “monarchia rappresentativa” avrebbe assicurato la realizzazione dell’unità. Quello spirito va oggi recuperato perché solo così l’Italia potrà affrontare le sfide che l’attendono oggi e negli anni a venire, nel segno del Tricolore, emblema di libertà, unità e speranza.