giovedì, Gennaio 16, 2025
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Corte costituzionale: alla ricerca dei “magnifici quattro”!

di Salvatore Sfrecola

Nei giorni scorsi è andato in onda l’ennesimo e confuso tentativo di elezione da parte del Parlamento in seduta comune dei giudici costituzionali mancanti (quattro su quindici) così frustrando l’impegno dei “pontieri” che qualche nome avevano messo insieme per superare l’impasse che rende il Collegio ridotto ai minimi del funzionamento.

Si è già scritto e detto a proposito della scelta dei giudici costituzionali e della mancata intesa, che in passato c’è sempre stata, fra i partiti, anche per togliere agli eletti il marchio di una sola parte politica che non si confà a dei giudici chiamati a decidere sulla costituzionalità delle leggi con equilibrio e imparzialità.

Sappiamo che non è tutto semplicissimo, anche perché ognuno dei protagonisti, reali o virtuali, dell’ipotetica e auspicata intesa, ha l’esigenza di apparire determinante della scelta anche in vista di impegni prossimi della Corte, come quello della ammissibilità dei quesiti referendari sulla legge dell’autonomia differenziata dopo la sentenza che si è pronunciata sulla legge n. 86/2024 c.d. Calderoli che ha dichiarato la illegittimità costituzionale di alcune delle norme che limitavano i poteri del Parlamento.

Siamo alla vigilia di un accordo possibile? Cambiando metodo nonché candidati (ormai in parte anche “bruciati”) anche perché, ad una ragionevole valutazione del più recente passato, con l’esclusione di Nicolò Zanon e di Giovanni Pitruzzella chiamato a sostituirlo, negli ultimi decenni quasi tutti i giudici della Consulta sono stati scelti tra personalità dell’area del centrosinistra e, in alcuni casi, con “ambigui” requisiti soggettivi. È stato così per quelli eletti dalle Camere e per quelli di nomina presidenziale.

I giudici, a norma dell’art. 135 Cost., è bene ricordarlo, “sono scelti tra i magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori ordinarie e amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati con più di venti anni di esercizio”. Ovviamente, come si evince dagli atti dell’Assemblea costituente, contrariamente a quanto si è letto spesso in questi giorni, i nominati e gli eletti, appartenenti a queste categorie, spesso non lo erano al momento della loro nomina e/o elezione. E se per i magistrati è espressamente previsto che possano essere anche “a riposo”, analoga possibilità non è (e non può esserlo) data ai professori ed agli avvocati, di nomina presidenziale o di elezione parlamentare. Infatti, se la Costituzione avesse voluto prevedere che gli stessi potevano essere (anche) a riposo al momento della nomina o dell’elezione, l’avrebbe espressamente previsto. Mentre la norma si riferisce chiaramente (si rileggano sul punto gli atti dell’Assemblea costituente) ai professori ordinari di materie giuridiche “in servizio” o avvocati che abbiano esercitato (con continuità) per almeno 20 anni la professione legale.

Da quegli atti si evince, infatti, senza alcun dubbio interpretativo, che i Costituenti hanno indicato una strada precisa, individuare non chi è stato professore ordinario (ancorché oggi emerito), ma chi è “in servizio” e che rappresenta, nel suo ambito, nella comunità scientifica, anche per prestigio istituzionale, un ruolo libero da condizionamenti. Lo stesso per gli avvocati che devono aver dimostrato, nel campo professionale, un indiscutibile profilo di eccellenza in uno specifico ambito, non di certo dei “tuttologi” iscritti ad un albo professionale.

Abbiano, invece, assistito a nomine e/o elezioni di figure non appartenenti o riferibili alle categorie che la Costituzione e i costituenti hanno inequivocabilmente indicato, ma che la stessa Corte, invocando l’autodichia, ha “certificato” ex post per quieto vivere.

La lista degli ex professori ed ex avvocati (magari iscritti si all’albo da oltre 20 anni ma che non hanno mai esercitato e magari sono al momento anche politici in servizio….attivo) è lunga e sono difficilmente ascrivibili, in tal senso, alla categoria dei “tecnici”, verrebbe da chiedersi, in cosa?. Qualcuno che fino a poche settimane fa era alla Corte, e tanti che lo sono stati, al momento della nomina/elezione erano ex, autorevoli si, ma ex.

Tra i candidati circolati in questi giorni, in quota rappresentanti del mondo accademico, se ne annoverano alcuni, addirittura già esponenti di un settore scientifico disciplinare ma “recuperabili” in quanto magari incidentalmente (anche) avvocati in altro ambito professionale ma vicini alla politica, sempre incidentalmente.

Andrebbe, dunque, spostata l’attenzione, finalmente, dal come votare (in tutti gli articoli si parla delle maggioranze occorrenti e degli accordi politici inevitabilmente necessari) su chi scegliere, cioè sulle caratteristiche soggettive previste come garanzia dalla Costituzione, soprattutto se indicati come “tecnici”, o presunti tali, anche aldilà delle quote di genere.

Una piccola statistica sul recente passato, senza in alcun modo mettere in dubbio l’autorevolezza degli attuali Giudici e soprattutto dei loro predecessori, rivela che il Presidente (ora emerito anche in quello), Barbera, al momento dell’elezione era in pensione da 7 anni, a nulla rilevando se professore emerito al momento della nomina. Ugualmente Modugno, in pensione da 7 anni, D’Alberti, in pensione da 4 anni. In precedenza Amato, era in pensione, come Paolo Grossi e addirittura Giuliano Vassalli. Anche Paolo Maria Napolitano, Consigliere di Stato in servizio, eletto dal Parlamento il 5 luglio 2006, non apparteneva ad una delle categorie eleggibili dal Parlamento in quanto la scelta di un magistrato amministrativo spetta, come noto e previsto, al collegio elettorale delle magistrature superiori. A meno che, in pensione, sia nel frattempo passato (anche) nella categoria degli avvocati.

Nei mesi scorsi, infatti, sono circolati (o fatti circolare) – sempre improvvidamente – il nome di autorevoli magistrati amministrativi (in servizio e non a riposo) presi da qualcuno in considerazione per essere eletti nella quota parlamentare, destinata invece ai soli professori o avvocati. Oltre alla impossibilità come già rilevato, ci sarebbe (anche) la inopportunità perché si andrebbe anche a sfalsare la quota destinata già per norma costituzionale ai magistrati. Per fortuna almeno queste carriere sono già separate…..

Ce n’è, dunque, di elementi di discussione finale per i “pontieri” e i loro referenti politici. Vien da dire “torniamo alla Costituzione” un po’ come Sidney Sonnino invocava – in altro cotesto e con diversa finalità – il ritorno “allo Statuto”, non più facendo però dire alla Costituzione quello che non ha mai detto.

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