di Salvatore Sfrecola
Non è stato mai facile il ruolo di Ministro dell’Istruzione, oggi anche “del merito”, un’aggiunta che è apparsa necessaria considerato il progressivo declino degli studi. Infatti, se qualche anno fa ben 300 professori universitari segnalavano al Ministro che nelle tesi di laurea si ritrovavano errori di grammatica non ammissibili in terza elementare, vuol dire che si è toccato il fondo, se al termine di anni di studio non si maneggia neppure un po’ di grammatica. Non solo, l’OCSE spiega che c’è in molti nostri studenti una difficoltà di comprensione dei testi, in media 245 punti rispetto ad una media europea di 263. Un problema che rischia di rallentare innovazione e crescita economica. Inevitabile per una generazione che non legge e non scrive, perché è stato abolito anche il tema, l’esposizione di una idea, la narrazione e il commento di un fatto.
E così va senz’altro apprezzato l’impegno del Ministro Giuseppe Valditara che ha presentato nuovi programmi di insegnamento per invertire la tendenza al declino e restituire alla scuola il ruolo suo proprio, quello di formare cittadini dotandoli di mezzi culturali idonei a partecipare alla vita sociale della Nazione e ad inserirsi nel mondo del lavoro.
La buona conoscenza della lingua italiana, ad esempio, alla quale viene restituito un ruolo fondamentale non è, infatti, necessaria solamente a chi farà studi classici per divenire insegnante, avvocato, giudice, pubblico funzionario. La capacità di scrivere e di esporre anche a voce il proprio pensiero è essenziale per chiunque ambisca ad un posto di lavoro, per presentarsi ad una selezione e, successivamente, per proporre un progetto, definire un programma, per trasmettere direttive ai propri collaboratori. Questo oggi è raro. È più dote personalmente coltivata che frutto dell’insegnamento. Perché questo degrado? Ne parlo spesso con amici con i quali ricordiamo gli studi dei nostri genitori, i nostri, quelli dei nostri figli e, per i più grandi, dei nostri nipoti. E constatiamo una progressiva diminuzione dell’attenzione per la formazione. Perché, a fronte dell’introduzione di materie tecniche come l’informatica, che è di supporto per molte attività e comunque strumento di ricerca, si sono perduti degli elementi importanti come quello della capacità di sintesi, che sviluppavamo attraverso i riassunti, o di memorizzare, attraverso lo studio delle poesie che poi si recitavano dinanzi al docente ed ai colleghi. Così stimolando la capacità di presentazione del proprio modo di essere, di parlare, di esprimersi.
Non immagino certamente si possa tornare ad una scuola molto elitaria, quella per la quale a mio padre era richiesto di tradurre dal greco al latino. Ma non credo neppure che l’espansione del diritto allo studio, che per la verità lo Stato italiano ha coltivato fin dalla sua formazione contrastando la dispersione scolastica, possa essere in contrasto con una scuola di massa perché una scuola aperta a tutti non deve necessariamente perdere il valore dell’insegnamento. E la scuola italiana nelle sue articolazioni del liceo classico, scientifico e delle scuole professionali è stata sempre in condizione di diplomare soggetti con una buona preparazione nelle materie curricolari. Posto che nella valutazione un tempo numerica delle performance degli studenti c’è un 6 e un 10, non è necessario che siano tutti da 10 ma è utile che a tutti sia data la possibilità di arrivare al massimo possibile del risultato in relazione alle capacità personali, che sono diverse da ragazzo a ragazzo, per le capacità mnemoniche, per l’intuito, per l’impegno che ognuno pone nello studio.
Ma qui c’è un problema fondamentale che va affrontato e che certamente il Ministro Valditara ha presente anche se non ne ha parlato in questa occasione nelle interviste e nei chiarimenti con i quali ha accompagnato il suo programma. Mi riferisco al corpo docente che, purtroppo, risente anch’esso del degrado degli studi perché un bravo studioso di storia, tanto per fare un esempio, può non essere capace di coinvolgere gli studenti, di interessarli, di stimolarli, di incuriosirli, di far loro capire le ragioni degli eventi storici e della utilità che questa conoscenza comporta ai fini della formazione di cittadino che deve comprendere i fatti della politica, anche internazionale, perché è chiamato ha votare, a dare il suo contributo al funzionamento dello Stato. Mio nonno, che era docente di italiano e latino al liceo classico, diceva spesso che quando un ragazzo non va bene a scuola la responsabilità è del docente. In questa drastica affermazione c’è tutta la realtà di uno dei mestieri più belli del mondo, come sostiene giustamente un mio amico. Straordinario, evidentemente in quanto la trasmissione del sapere è fondamentale. Ma la cosa importante e il coinvolgimento dei ragazzi, la trasmissione di un interesse per la materia che si insegna per farne capire l’importanza. E qui inserisco un ricordo personale, l’impatto negativo che ebbi in prima media con la professoressa di matematica che si presentò dicendo che la matematica era materia difficile, complessa e che pochi avrebbero potuto seguirla. Non era evidentemente adatta ad insegnare.
Poi c’è da dire che ognuno di noi, guardando alla propria esperienza personale e professionale certamente è in condizione di valutare l’utilità degli studi che ha fatto. E non credo che nessuno di quelli che hanno studiato in un buon liceo classico, faccio questo esempio perché è stato il mio studio al “Torquato Tasso” di Roma, possa dire che qualcosa che ha imparato sia stato inutile per la sua formazione, per la sua capacità di relazionarsi con gli altri, di lavorare, di esprimersi, di comprendere i fatti.
Bene ha fatto, dunque, il Ministro Valditara a valorizzare la lingua italiana che è stata gravemente abbandonata nel tempo con un grave effetto per l’impoverimento della cultura e anche della capacità relazionale.
Nel dibattito che è seguito alle linee guida del Ministro si è letto di tutto: giusti riconoscimenti e le solite critiche assolutamente inadeguate. Ho apprezzato che il Ministro abbia ricordato che “sui banchi i ragazzi devono trovare il gusto della lettura e imparare a scrivere bene” perché questo è un prezioso elemento della loro formazione. E quanto al “ritorno al passato”, evocato da Elisa Forte nel titolo del suo articolo per La Stampa, lui giustamente ha sottolineato, nell’intervista a Stefano Zurlo per Il Giornale, che “prendiamo il meglio della nostra tradizione per una scuola capace di costruire il futuro”.
Ho molto apprezzato, ad esempio, il fatto che il Ministro abbia iniziato prestando attenzione alla scuola elementare e media perché è lì che si formano i futuri studenti delle scuole superiori. Io ho sempre creduto che il più importante dei docenti, non me ne abbiano gli insegnanti di scuola media, primaria, secondaria e dell’università, sono i maestri elementari, quelli che prendono in mano il destino di un bambino e aprono la sua mente alla curiosità, alla capacità di comprendere, di memorizzare, di ragionare. Perché è lì che si forma la struttura dell’insegnamento, dell’importanza dell’istruzione perché le ore di scuola ed i compiti a casa non devono avere il senso di una attività soltanto coercitiva ma devono costituire un momento importante della vita di un giovane il quale, insieme ad altri, di diversa estrazione sociale, di diversa cultura, di diversa formazione, impara a vivere nella società anche dialogando su questioni di vita e di storia. Ed ho apprezzato moltissimo il fatto che, ad esempio, il ministro abbia previsto che fin dalla prima elementare i bambini siano avvicinati alla musica, alla sua comprensione, alla civiltà musicale. Questo è molto importante perché finora la musica è stata di fatto ghettizzata, nonostante l’Italia sia il paese della musica, della musica leggera, della musica classica, della musica più bella, nota in tutto il mondo. Perché l’insegnamento non è stato, a mio giudizio, adeguato. Imporre a un bambino l’uso del flauto se non ha l’attitudine è una tortura mentre sarebbe certamente apprezzato l’ascolto di musica bella, con educazione alla percezione dell’armonia delle note. E la musica rasserena gli animi, come è stato accertato sulla base dello studio dell’effetto delle onde sonore anche sulla mente delle persone.
Poi c’è questo importante ritorno alla lettura, che è stata abbandonata e alla poesia. La lettura significa capacità di entrare nel mondo antico e moderno comprendendo la varietà degli argomenti trattati e la poesia, come la musica educa all’apprezzamento delle parole, delle espressioni nei quali si concretizza il messaggio del poeta. Pensiamo a Dante ed alle tante espressioni che noi normalmente usiamo nella vita di tutti i giorni, che molti non sanno sono tratte dalle opere del sommo poeta.
Inoltre, l’uso della memoria, è una dote naturale che va coltivata come la capacità fisica. È evidente che ognuno di noi ha una diversa capacità di utilizzazione della muscolatura. C’è chi corre, chi salta, chi solleva i pesi. Ma queste attitudini vanno coltivate e così la memoria che nel corso dei secoli è servita a assicurare a tutti coloro i quali non avevano disponibilità di testi di conservare il ricordo di quel che aveva letto. Ma la memoria anche oggi che disponiamo in abbondanza di libri e del patrimonio che si assicura il supporto informatico è una preziosa capacità dei singoli che va coltivata. Devo dire che nella mia vita professionale mi sono sempre giovato della mia buona memoria, che ho sempre esercitato nel ricordo delle più belle liriche italiane e straniere.
Infine, la rivalutazione del latino, che è lingua preziosa non solo per la conoscenza di una vastissima cultura classica, così come il greco del resto, ma è anche la base della lingua italiana che è una lingua meravigliosa, apprezzata in tutto il mondo, spesso la seconda fra le lingue straniere che vengono adottate nelle scuole, non solo in Occidente. Eppure abbiamo perduto il senso del collegamento fra il latino e l’italiano. Ricordo mio nipote che quando gli ho chiesto che lingue straniere studiasse, insieme all’inglese e allo spagnolo, ha indicato il latino. Evidentemente lo riteneva una lingua straniera.
Il ministro ha concluso una sua intervista con un’affermazione che mi è molto piaciuta quando indica gli obiettivi: “una scuola seria, protesa in avanti e attenta all’educazione critica dei nostri ragazzi”.
Naturalmente, siccome si butta tutto in politica, ho letto del “ritorno al passato” e dello “scetticismo” di Avvenire in un articolo di Lucia Bellaspiga, non strano per il giornale della Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I.) che ha abbandonato il latino, la lingua che avrebbe dato il senso dell’universalità ai cattolici di tutti il mondo, come anche l’insegnamento che negli oratori i sacerdoti riservavano ai ragazzi che avevano bisogno di un supporto.
Il tutto in linea con una certa sinistra che ha la responsabilità di avere depotenziato la scuola e lo faceva mentre i loro figli studiavano nelle scuole classiche, private o confessionali. Ricordo una cosa che sentii dire da Furio Colombo, scomparso di recente, uomo della sinistra più radicale, il quale, vivendo negli Stati Uniti, si sentì chiedere quale fosse l’insegnamento che era impartito alle figlie le quali studiavano in una scuola che lui aveva definito “classica”. La risposta fu che studiavano come nelle scuole classiche italiane del tempo, latino e greco.
E, per concludere, mi riferisco quello che ho letto nel piano degli studi di una scuola famosa inglese il Collegio di Eton, tante materie, tante lingue, latino, greco, storia, filosofia. E, a questo proposito, ricordo sempre una battuta del primo Ministro inglese Sir Anthony Eden al quale era stato fatto osservare che il suo governo aveva ministri di elevata formazione professionale. Lui rispose con orgoglio: oltre a me altri sette ministri sono diplomati a Eton.