venerdì, Gennaio 31, 2025
HomeNEWSUn’atmosfera deprimente

Un’atmosfera deprimente

di Salvatore Sfrecola

Leggo le prese di posizione dei partiti, mi soffermo sui commenti e mi ritrovo con la penna che non riesce ad andare avanti, a vergare sul foglio anche poche considerazioni. Non riesco neppure ad immaginare un titolo. E così devo ripiegare su un aggettivo, “deprimente”, che abbatte moralmente, che provoca sconforto e sfiducia; avvilente, desolante, sconfortante, triste. Che dà il senso, da uomo delle istituzioni, dello stato d’animo, delle riflessioni amare che suggerisce la vicenda che ha coinvolto il Presidente del Consiglio, i ministri dell’Interno e della giustizia e il Sottosegretario alla Presidenza. 

E ritorno alla risposta pubblica, in forma di un brevissimo filmano diffuso dai social, della Presidente Meloni alla nota con la quale la Procura della Repubblica di Roma la informa che è iscritta nel registro degli indagati per i fatti connessi con il mancato arresto del generale libico della polizia a seguito di un ordine della Corte penale internazionale e il successivo trasferimento in Libia con un aereo di Stato. E mi trovo a considerare, con lo sguardo perso nel vuoto, l’esperienza degli anni passati quando altri conflitti fra il potere giudiziario, il governo e i partiti hanno riguardato vicende importanti che impattavano sulla gestione della politica.

In quelle occasioni mi tornano a mente i comportamenti delle autorità politiche e governative che non gridavano al complotto, che sapevano  assorbire la vicenda sul piano delle relazioni istituzionali comunicando che, sorpresi per l’indagine giudiziaria, erano pronti a collaborare con la giustizia per chiarire le ragioni del loro comportamento, in qualche modo offrendone una motivazione politica, una “ragion di stato”, come avrebbe detto Giovanni Botero.

Oggi i protagonisti scaldano i muscoli e ricorrono alle argomentazioni più becere, come l’accusa ai magistrati di essere “toghe rosse” e alla politica di essere alimentata da interessi di parte, estranei a quelli della Nazione.

Tutto ciò è deprimente, da un lato, perché emerge l’assoluta inadeguatezza dei consiglieri che assistono i protagonisti di parte governativa che avrebbero dovuto suggerire un atteggiamento più cauto, più istituzionale, dall’altro perché l’opposizione, nel tentativo di cogliere l’opportunità di ricompattare la galassia delle anime della sinistra, compresi i minuscoli cespugli, non sembra avere la dignità delle moderne democrazie liberali.

È, in fondo, il tema della classe politica caratterizzata da una estrema modestia, quanto alla comprensione dei ruoli istituzionali, come dimostra il fatto che se a destra un’iniziativa giudiziaria è sgradita l’autore è immediatamente una “toga rossa”, mentre, a sinistra, una analoga situazione fa gridare al fascista al reazionario. Non è questo che gli italiani desiderano. Inoltre, va detto che dalla destra e dalla sinistra si richiede agli amici una fedeltà acritica, che è segno di stupidità politica, perché l’amico del tuo stesso partito è soprattutto colui che suggerisce, stimola, critica. Non necessariamente quello allineato qualunque cosa dica il leader o il politico di riferimento. È sufficiente ascoltare certi interventi nei telegiornali e talune dichiarazioni di esponenti di questo o di quel partito che hanno tanto il sapore di veline predisposte fuori e pedissequamente ripetute. Così non si realizza all’interno dei partiti una riflessione critica delle idee. Taluni, in particolare, sembrano colpiti dall’esigenza di apparire più realisti del leader della coalizione, forse nel timore di perdere la leadership del movimento o del partito.

È evidente nella Lega dove Salvini subisce l’azione disinvolta di Luca Zaia, Preesidente della Regione Veneto, o in Forza Italia, dove Antonio Tajani sente sul collo il fiato dei figli di Silvio Berlusconi. Questo altera lo sviluppo del dibattito, sclerotizza le idee. Abbiamo sentito in Parlamento interventi urlati, che non fanno onore al luogo sacro della democrazia, impediscono gli accordi su quanto è condiviso.

Vorrei chiudere queste brevi considerazioni con una riflessione che propongo a quanti, in questi giorni, dopo l’iscrizione al registro degli indagati del presidente del Consiglio dei suoi ministri, hanno ipotizzato l’accelerazione della riforma della giustizia. Una riflessione che trasmetto ai miei lettori immaginando per un momento che la riforma costituzionale della separazione delle carriere che i politici di destra di questa destra chiedono a gran voce quale panacea dei mali della Giustizia. Quale diversità ci sarebbe stata per Meloni, Piantedosi, Nordio e Mantovano? Assolutamente nessuna. Anzi i politici si sarebbe trovati di fronte ad un corpo di Pubblici Ministeri più compatto e più autorevole.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Most Popular

Recent Comments

Gianluigi Biagioni Gazzoli on Turiamoci il naso e andiamo a votare
Michele D'Elia on La Domenica del Direttore
Michele D'Elia on Se Calenda ha un piano B