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Il caso Almasri e la ragion di Stato

di Salvatore Sfrecola

Alla fine, la verità l’ha detta Bruno Vespa. In coda ai “5 minuti”, lo spazio di approfondimento subito dopo il TG1 delle 20.00, il giornalista ha ricondotto nei termini esatti la vicenda del Generale libico Almasri che, trovandosi in Italia raggiunto da un ordine di cattura della Corte Penale Internazionale, è stato accompagnato libero in patria con un aereo di Stato.

Al termine degli interventi di Angelo Bonelli, parlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra, e Francesco Paolo Sisto, Sottosegretario al Ministero della Giustizia, che hanno ribadito, rispettivamente, le posizioni della sinistra e della maggiorana di governo, Vespa è stato categorico: “lo sanno tutti i partiti che in ogni stato si fanno delle cose sporchissime, anche trattando con i torturatori, per la sicurezza nazionale. Questo avviene in tutti gli Stati del mondo”. Insomma, le argomentazioni politiche o giuridiche profuse a proposito della procedura di arresto del generale non valgono un gran che, nonostante siano tutti consapevoli che si tratta di un criminale. Il motivo che ha mosso il governo a rimpatriare Almasri è, dunque, di natura politica e attiene alle esigenze di sicurezza dello Stato in quanto il personaggio è parte dell’ingranaggio che assicura una limitazione delle partenze dalla Libia verso le coste italiane di migranti provenienti da ogni angolo di Africa rinchiusi in campi di detenzione. La Libia, si è sentito dire in queste ore, è preziosa anche per la nostra industria petrolifera. 

Si tratta, pertanto, dell’applicazione della regola “salus rei pubblicae suprema lex esto” cioè della “ragion di stato” per la quale gli ordinamenti ricorrono ad iniziative che, leggi alla mano, sarebbero illecite ma che sono giustificate dall’interesse generale.

Detto questo è altresì evidente che questa vicenda è la prova inconfutabile dell’assoluta inadeguatezza almeno di parte della squadra di governo e dei loro consiglieri che non hanno pensato ad assumere una iniziativa riservata, nel caso coperta dal segreto di Stato, facendo accompagnare il generale libico in patria immediatamente dopo il suo fermo a Torino, evitando di investire del problema la magistratura che non avrebbe potuto ignorare l’ordine della Corte internazionale. 

Si è sempre fatto, ha detto Vespa. Ed è vero. Quante volte i servizi segreti hanno fatto espatriare qualche indesiderabile nel silenzio assoluto. Quante spie sono state catturate e scambiate senza che l’opinione pubblica ne fosse a conoscenza. D’altra parte, i servizi di intelligence non a caso sono definiti nel linguaggio comune “segreti”. Quasi mai di queste vicende hanno scritto i giornali e detto le televisioni. Sono cose che accadono tutti i giorni. Bisogna saperle fare. Vi devono provvedere persone che abbiano la capacità e l’intelligenza di non coinvolgere responsabilità dell’autorità politica. Gestita tra mezze verità ed autentiche bugie, anche perché a qualcuno sarà pure venuto in mente che poteva essere sfruttata a fini di accrescimento del consenso, la vicenda Almasri rischia di danneggiare il Paese. La sinistra, consapevole della realtà dei rapporti Italia – Libia, chiede chiarimenti come il Presidente Conte che, da giurista, fa intendere di aver percepito l’interesse nazionale che ha mosso il governo, ma vuol farselo dire dalla Presidente del Consiglio. E sbaglia quella congerie di personaggi schierati a fianco del governo, come i giornali e il talk show che finiscono per far del male alla Presidente del Consiglio perché sostenere una linea politica non significa dire sempre della personalità di riferimento “come sei brava, come sei bella, sei unica” perché chi vuole aiutare Giorgia Meloni e la sua linea politica ha il dovere di essere propositivo e stimolante non appiattito acriticamente, da velina del Minculpop.

Alcune ricorrenti presenze in televisione sono imbarazzanti e Giorgia Meloni dovrebbe tenerle lontano, non cedere alla diffusa mentalità che il capo non si contraddice mai.

È così che sono andati a sbattere personaggi illustri che hanno perso il collegamento con la realtà proprio a causa della mancata scelta degli amici e dei collaboratori.

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