di Salvatore Sfrecola
Com’era prevedibile, l’incontro di due ore ieri pomeriggio a Palazzo Chigi, tra la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, il Sottosegretario alla Presidenza, Alfredo Mantovano e i rappresentanti dell’Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M.) guidati dal neopresidente, Cesare Parodi, non ha aperto quella breccia nel progetto governativo di riforma della Giustizia che qualcuno si attendeva, anche per stemperare la polemica politico giornalistica seguita alla protesta dei magistrati nel corso delle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione e nei distretti di Corte d’appello.
Alla vigilia il Presidente Parodi aveva dichiarato di apprezzare la disponibilità del Governo all’incontro e aveva letto l’invito a Palazzo Chigi come un segnale di apertura ritenuto in ogni caso utile per spiegare ai ministri “le ragioni specifiche e non ideologiche, né pregiudiziali” per cui i magistrati sono contrari alla riforma “punto per punto”.
Ma obiettivamente, pure nel clima sereno e costruttivo che ha caratterizzato l’incontro, e che potrà rivelare in prosieguo di tempo sviluppi positivi, non c’era spazio per un significativo cambio di rotta da parte del Governo rispetto ad una riforma che la maggioranza ritiene “epocale”, come l’ha definita la stessa Presidente del Consiglio, convinta che “la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri”, prevista dal disegno di legge costituzionale sulla Giustizia, sia una scelta necessaria “per avere finalmente una giustizia più equa e più efficiente”. Una riforma che secondo l’on. Meloni, è “attesa da decenni … in modo da differenziare finalmente il percorso di chi è chiamato a giudicare i cittadini da quello di chi ha l’incarico di muovere le accuse e rendere così più equilibrato il rapporto tra difesa e accusa nel corso del processo”.
Ma è certo, con tutto il rispetto dovuto alle idee della Presidente del Consiglio ed a quanti le condividono, da ultimo il Professore Nicolò Zanon, ordinario di Diritto costituzionale e già giudice della Consulta che vuole separare anche i concorsi, non è questa la riforma che darà certezza ai tempi dei processi, cioè a quel che chiede l’opinione pubblica.
Nonostante l’insistenza, soprattutto di Forza Italia, perché “la voleva Berlusconi”, la separazione delle carriere non snellirà i processi penali e non darà maggiori garanzie di certezza della individuazione dei colpevoli di reati anche gravi e di tutela delle parti offese. Che è quel che cerca da tempo la gente. Quanto alla separazione delle carriere, hanno ribadito i rappresentanti dell’A.N.M., già esiste una sorta di separazione tra magistrati giudicanti e requirenti, disciplinata dalle nuove norme dell’ordinamento giudiziario, in base alle quali: “Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non è consentito all’interno dello stesso distretto, né all’interno di altri distretti della stessa regione, né con riferimento al capoluogo del distretto di corte di appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni. Il passaggio di cui al presente comma può essere richiesto dall’interessato, per non più di quattro volte nell’arco dell’intera carriera, dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata ed è disposto a seguito di procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario” (art. 13, comma 3 del Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160).
E evidente, dunque, che spazi di mediazione sono sempre possibili ma estremamente ristretti e potranno riguardare al più alcuni aspetti importanti ma marginali, come la scelta dei componenti togati del Consiglio Superiore della Magistratura (C.S.M.), con una possibile opzione sul sorteggio “temperato” con previsione di un’estrazione di nomi più ampia dei componenti, per poi procedere a un’elezione che in questo modo sarebbe condizionata dal sorteggio, e alcune correzioni ipotizzate con riguardo all’estensione dell’Alta Corte disciplinare a tutte le magistrature.
Non è possibile immaginare una più ampia revisione del progetto governativo a favore del quale si è schierata anche l’Unione delle Camere Penali, i cui rappresentanti sono stati ricevuti a Palazzo Chigi prima della ANM. Per Giandomenico Caiazza, ex Presidente dei penalisti, “bene il dialogo di oggi ma poi l’esecutivo deve andare avanti senza intralci”.
L’impianto della riforma è blindato, quindi non si tocca nelle sue linee portanti, e tra le parti “non è stata una trattativa, non volevamo farla” hanno osservato dall’A.N.M.. E questo atteggiamento non facilita il superamento dell’attuale aspro confronto tra classe politica al Governo, da un lato, e il variegato mondo dell’informazione, indipendente o meno che sia. Certo i fautori della separazione contano molto sulla scarsa considerazione della quale godono in questo periodo giudici e pubblici ministeri relegati in un dato che è praticamente la metà di quello che indica il consenso raggiunto dalle Forze dell’Ordine, i tutori della legalità, come i magistrati.
Sempre Caiazza, intervistato da Il Giornale, manifesta critiche anche nei confronti della protesta dei magistrati che, dice, “solo in Italia scioperano contro il governo”. Trascurando che, in altri contesti, la Giustizia viene regolata in una visione d’insieme delle opinioni di Giudici e avvocati, essendo ovunque evidente negli ordinamenti liberali che quello dell’interesse ad una Giustizia efficiente è obiettivo necessariamente condiviso e, per usare un’espressione cara all’on. Meloni, le tifoserie non aiutano.
Sintomatico, al riguardo, del clima politico-giornalistico sul tema un intervento di Claudio Velardi, editorialista de Il Riformista il quale su TikTok accusa senza mezzi termini di cialtronaggine i magistrati che non si sono astenuti dalle udienze per far fronte a processi indilazionabili e sono stati considerati comunque tra gli scioperanti ai fini della individuazione della percentuale di partecipazione alla protesta. Capisco il profilo formale, ma l’illustre e sempre attento commentatore avrebbe dovuto comprendere il senso di una scelta che conferma l’adesione alla protesta ma riconosce il diritto degli interessati all’udienza. A mio modo di vedere l’iniziativa andava apprezzata, come quella di un medico che, durante lo sciopero della categoria, assicura un servizio di pronto soccorso ma vuol far sapere che aderisce alla protesta.
Basta capirsi.