domenica, Marzo 9, 2025
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Ucraina: pace giusta non è uno slogan

di Salvatore Sfrecola

I giornali e i dibattiti politici richiamano spesso in questa stagione, a proposito della guerra nell’Ucraina aggredita dalla Federazione Russa, il concetto di pace giusta e duratura e forse a qualcuno può sembrare uno slogan facile e ripetuto, anche se è evidente che una pace giusta e naturalmente duratura. E così vorrei fare alcune considerazioni di carattere storico perché indubbiamente quando si è arrivati ad una pace non giusta questa è stata anche non duratura e nella maggior parte dei casi ha provocato un nuovo conflitto.

Significativo in proposito il Trattato di pace che ha concluso la Prima Guerra Mondiale al termine della quale la Germania, che l’aveva combattuta sul fronte russo, su quello francese e, da ultimo, anche su quello italiano, è stata oggetto di decisioni gravi, umilianti. È evidente che lo sconfitto in qualche modo viene sempre umiliato. La sconfitta è di per se stessa una umiliazione. Ma la storia di Roma insegna che lo sconfitto non va mai umiliato perché si deve guardare al futuro delle relazioni ed è pertanto necessario che la pace non innesti motivi di ulteriori conflitti.

Gli esempi sono tanti nella storia. Fu un errore dei sanniti umiliare i romani che, invece, avevano l’abitudine di sottomettere un popolo lasciando a volte perfino i regnanti, come nel caso di Antioco III, perché Roma cercava di coinvolgere i popoli che annetteva alla Repubblica prima e all’impero poi mirando a romanizzare quei territori, tra l’altro con importanti opere pubbliche che sono rimaste a dimostrazione di questo spirito di inclusione, acquedotti, terme, teatri, strade.

Naturalmente nell’era moderna, mancando un impero capace di assicurare al mondo intero una inclusiva presenza, tanto che come è noto diventare cittadino romano era un’ambizione diffusa anche a migliaia di miglia di distanza dall’Urbe, i paesi vincitori richiedono sacrifici al vinto, il riconoscimento di danni di guerra, la perdita di aree territoriali prevalentemente nelle zone di confine e altri vincoli di carattere istituzionale, come è stato per il Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale, o vincoli riferiti per esempio alla limitazione di armamenti.

L’errore di cui ormai tutti gli storici sono convinti è quello che ha concluso la Prima Guerra Mondiale, cioè l’umiliazione della Germania che è un grande popolo, con una grande storia, una cultura straordinaria, dedito, è vero, a guerreggiare all’occorrenza anche perché è un popolo fiero.

È evidente, dunque, che questa situazione ha pesato moltissimo sugli anni successivi alla fine della guerra perché ha creato malessere sociale in un contesto di diffusa crisi economica, favorendo una reazione nel popolo tedesco che ha portato al governo Adolf Hitler il quale, nello spazio di poco tempo tra il 1933, quando prende il potere, e il 1939, quando dichiara guerra alla Polonia, trasforma questo paese sconfitto in una potenza industriale e militare che mette paura alle potenze occidentali le quali non rispondono come avrebbero fatto i romani, fautori del si vis pacem para bellum, cioè non dicono ad Hitler sta al tuo posto perché io sono forte e pronto a battermi. Invece, Francia e Inghilterra, quest’ultima soprattutto, hanno dato l’impressione a Hitler di avere di fronte dei governi imbelli, come mette bene in risalto Winston Churchill nella sua Storia della Seconda Guerra Mondiale, e quindi alle continue provocazioni del dittatore tedesco oppongono ragionevoli ma non ragionate politiche neutraliste.

Ora è noto e sperimentato da sempre che le guerre scoppiano quando colui che intende provocarle è convinto di vincerle, perché se una nazione teme l’esito di un conflitto nella maggior parte dei casi evita di impegnarsi.

Ecco, dunque, che l’esperienza che abbiamo ricordato deve essere un punto di riferimento per chi oggi si appresta a definire la situazione del contrasto fra Federazione russa e Ucraina. Perché è evidente che se l’aggredito dovrà subire delle pesanti umiliazioni mettiamo in discussione un equilibrio che invece l’Europa ha interesse a mantenere in quanto è evidente che la Russia, quantomeno a livello di influenza, intende recuperare le posizioni che aveva nell’Europa centrale e baltica fino alla caduta dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) e alla vigilia della caduta del muro di Berlino.

I timori manifestati da Svezia, Finlandia, repubbliche baltiche e Polonia nei confronti di una aggressività russa, che è tradizionale dai tempi degli Zar, dimostrano che bisogna trovare un equilibrio che garantisca la pace e che questa sia duratura e per esserlo, come ho detto fin dall’inizio di questa riflessione, è necessario anche che sia giusta. Qui non è soltanto un problema di umiliazione di un popolo fiero come quello ucraino ma di dignità dell’intero mondo occidentale, essendo evidente che la Federazione russa, in persona del suo autocrate, ha l’ambizione di esercitare un’influenza quanto meno sul piano economico e commerciale nei confronti di vari paesi europei che un tempo furono ”satelliti” dell’URSS.

Oggi, sia Trump che Putin guardano alle riserve minerarie delle quali hanno bisogno. In Ucraina ambedue, mentre il riferimento costante del Presidente statunitense alla Groenlandia, dimostra che anche a Washington non si ha eccessivo rispetto per un paese alleato come il Regno di Danimarca del quale fa parte l’isola artica. Il Re Cristiano X ha opportunamente risposto inserendo nello stemma del Regno anche la Groenlandia che prima era assente.

La pace ad ogni costo rischia di essere una pace ingiusta e come tale incapace di garantire nel tempo le condizioni di stabilità nel rapporto fra i paesi interessati e ed è foriera di ulteriori conflitti a breve o a lungo termine.

Per riprendere un tema trattato da Aldo Cazzullo in quel suo bel libro “Quando eravamo i padroni del mondo” manca un impero che abbia la capacità di gestire con saggezza la pace all’interno di una vasta area territoriale e questo impone anche una coerenza nel tempo, cosa che è mancata agli Stati Uniti d’America che hanno abbandonato il Vietnam, poi l’Irak e da, ultimo, l’Afghanistan dimostrandosi inaffidabili. E questo è un elemento di debolezza dell’occidente nei confronti di paesi aggressivi, ma è anche l’occasione per l’Europa di dimostrare di essere un soggetto politico che, pur nella varietà delle sue componenti, sia capace di presentarsi sulla scena internazionale con una voce unica, che significa una politica estera decisa e condivisa, e con una forza militare che deve essere più che protesa a combattere a dissuadere altri dall’aggressione.

Si vis pacem para bellum, dunque, continua ad essere una proposizione saggia e attuale .

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