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Bel canto… bell’ignoranza!

di Dora Liguori

La nostra televisione, con la fiction “Bel canto” (attualmente in onda) ci ha dato l’ennesima prova della sua totale non conoscenza degli argomenti che tratta, un’ignoranza che ha tutte le caratteristiche della stupida superficialità e dell’arroganza di chi non sa ed è anche felice di non sapere. Esempio eclatante di ciò che dico la messa in programma di una fiction che, a quanto riferito, è costata ben 15 milioni e che, nonostante tutti questi soldi (bastano 5 milioni per una discreta fiction) non ha pensato, per evitare figuracce, di mettere a disposizione poche migliaia di euro per un consulente della storia del canto e della musica; ciò significa totale sciatteria. Infatti, la presenza di un consulente di canto sarebbe stata più che necessaria per illustrare al regista ed agli autori la differenza che passa tra un basso-baritono e un tenore e soprattutto la differenza che passa tra il cosiddetto “Bel canto” del XVII e XVIII secolo e la grande stagione operistica ottocentesca.

Tra le altre cose, una basilare conoscenza della storia della musica avrebbe potuto evitare di dare il titolo “Bel canto” ad una fiction che, ambientata nell’Ottocento, confonde il barocco con il classico. Infatti, la dizione “bel canto”, da attribuirsi al musicista Giulio Caccini (ma già alla fine del Cinquecento la cantante Vittoria Archilei così definiva la voce umana usata quale strumento) si basa su uno studio di tecnica vocale che nasce e perdura dal Seicento sino alla fine del Settecento ed è pertanto tipica del barocco e con nessun tipo di contaminazione con il classicismo ottocentesco.

Tornando al Caccini e al “Bel canto”, il musicista, romano di nascita, si trasferisce a Firenze dove vive la straordinaria esperienza di essere un componente, insieme a Vincenzo Galilei (padre di Galileo) Jacopo Peri, Emilio de’ Cavalieri, Ottavio Rinuccini ed altri nomi eccellenti, della famosa “Camerata de’ Bardi”, divenendo anche tra i più attivi propulsori del nuovo genere musicale che, per l’appunto, la “camerata” propone, dicasi: “Il recitar cantando”.

La storia, infatti, ci racconta di come i componenti della camerata, nei lunghi incontri del 1573 in casa del conte Bardi, si riunissero principalmente per discutere sul come sconfiggere il predominio della musica fiamminga (esasperato e freddo esercizio contrappuntistico) e, discussione dopo discussione, pervenissero al fatto che, per trovare vie innovative sarebbe stato utile ritornare al predomino della parola. Alla fine, teorizzarono, con una certa “contraddizione in termini” che, volendo progredire, occorreva affidarsi al passato, rispolverando addirittura i fasti della tragedia greca. 

Dalla teoria alla pratica e il Caccini, con il dramma in musica “Il rapimento di Cefalo” su testo di Gabriello Chiabrera, diede vita al primo esempio di quella che, neppure volendo, sarebbe poi divenuta l’antesignana della gloriosa storia dell’“opera lirica”. Altri compositori seguirono questa via fra i quali di notevole importanza, nonché contemporaneo del Caccini, Jacopo Peri. Comunque, l’affermarsi di questo novello genere musicale fece sorgere fra i compositori l’esigenza, d’istruire esecutori adatti e capaci d’affrontare il nuovo impegno, basato soprattutto su una lunga monodia accompagnata dalla recitazione. 

Per questo fine, sempre Caccini, accolto anche alla Corte medicea, in Firenze, aprì una scuola di canto per addestrare, al nuovo genere, cantanti (fra i quali le sue figlie Francesca e Settimia) ai quali imponeva una dura disciplina finalizzata ad ottenere un’emissione di voce, uniforme in tutta la sua gamma, un buon legato e buone agilità nel registro acuto. A tutto ciò, Caccini univa un attento studio per la respirazione diaframmatica che intuiva dovesse essere alla base dell’emissione vocale, favorita anche dalla dolce pronuncia della lingua italiana. Infine, il musicista, nel suo trattato inserì alcune note che, per lo studio del canto, sono valide ancora oggi e, cosa più importante, pose le basi del cosiddetto “Bel canto italiano”. 

Di questo tipo di vocalità, volta al bello e che avrebbe caratterizzato tutto il Seicento e Settecento, i protagonisti indiscussi furono i “castrati” che, dopo la, per loro, disgraziata “operazione” riuscivano ad ottenere “mirabilia” dalle loro gole, divenute in pratica pirotecnici strumenti, capaci di inarrivabili virtuosismi. Queste capacità tecniche imposero gli evirati, soprattutto nell’esecuzione di opere serie, in tutti i teatri italiani ed Europei con spettatori che, estasiati, ascoltavano improbabili eroi della storia romana e greca che raccontavano le loro vicissitudini attraverso un astratto canto edonistico ma anche sfavillante e soprattutto capace di spingere la gola umana al limite delle proprie possibilità fisiologiche.

Alla moda dei castrati si sottrasse la “commedia sentimentale” e soprattutto la grande scuola napoletana che con le sue “Commedeje pe’ museca” (antesignana della commedia musicale americana) cantava, al posto di improbabili eroi, il difficile vivere quotidiano della povera gente. Melodie di estrema bellezza provenienti dal popolo e rielaborate dagli esponenti della grande scuola napoletana (Pergolesi, Jommelli, Cimarosa, Paisiello) incantarono un pubblico proveniente da mezza Europa ma, questa volta, ad emergere furono le voci femminili di grandi cantanti che, senza abuso di artifizi ma attraverso la bellezza della voce e delle melodie, riuscirono a contendere il primato della popolarità ai castrati.

A sbaragliare il panorama dei cantanti – nel 1765 – presso il teatro Bonacossi in Ferrara, apparve la più grande interprete del cosiddetto “Bel canto”, colei che, a detta di pubblico e di critica (ne fanno fede anche i Mozart, padre e figlio) ebbe in possesso dalla natura la voce più bella ed estesa di tutti i tempi: Lucrezia Agujari, detta la “Bastardella” (l’estensione della sua voce è rimasta ancora oggi imbattuta: dal sol basso sotto i righi al do sovracuto… tre ottave e mezzo).

Lucrezia morì giovane e con lei, pochi anni dopo, morì anche il cosiddetto “Bel canto” che trovò ancora, nei primissimi anni dell’Ottocento, qualche spazio con Rossini ma fu mandato in soffitta da Vincenzo Bellini, il quale, genio in assoluto ed unico nella storia, riuscì a dare un’ espressione drammatica e intensa a tutto l’armamentario belcantista fatto di scale, arpeggi e trilli (vedi Norma). 

I compositori che seguirono, compresi Donizetti, Verdi sino a Puccini e Mascagni, rifiutarono l’edonismo fine a sé stesso della voce per soffermarsi, invece, sul dramma e l’espressività della parola da mettere in stretta correlazione con la musica. E il loro genio, inutile ricordarlo, fece grande in tutto il mondo il predominio dell’opera lirica italiana, un qualcosa di meraviglioso ma di profondamente dissimile dal “Bel canto”.

Pertanto, nominare una fiction ambientata nell’Ottocento “Bel canto” è un errore grossolano pari a quello di confondere lo stile barocco con il classico.

Purtroppo, gli errori della fiction non si fermano qui essendo altrettanto anacronistico portare, in scena, a metà Ottocento un castrato poiché, oltre a non essere, queste voci, più di moda, la castrazione in molti Stati, per fortuna, era stata proibita. A seguire, sempre nell’elenco “castronerie”, la mancanza di uno straccio di consulente che avvertisse gli sceneggiatori che un basso-baritono che canta il Don Giovanni, neppure andando a Lourdes, potrebbe diventare un tenore lirico-leggero che canta “Una furtiva lacrima” così come una voce di soprano che canta Norma non potrebbe ugualmente tramutarsi in un contralto rossiniano in grado di esibirsi nella Cenerentola di Rossini.

Sciocchezze queste? No davvero! 

Essendo la produzione della fiction internazionale, queste sono cose che faranno ridere dell’ignoranza italiana i musicologi di tutto il mondo.

Ultima perla: il labiale delle pseudo cantanti protagoniste in playbach è terrificante; in parte si salva la protagonista Vittoria Puccini poiché, quando finge di cantare poche note del Don Giovanni, si comprende che, essendo una seria professionista, ha, magari di suo, posto la giusta attenzione e ben studiato su ciò che doveva fare prima di aprire bocca.

Peccato…l’ennesima occasione persa della Rai. 

P.S. Se qualcuno volesse approfondire l’affascinante storia della “Bastardella” lo invito a leggere la Biografia-romanzo (di recente uscita) che ho scritto su di lei. 

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