mercoledì, Marzo 26, 2025
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Nel labirinto del decreto “sulla funzionalità” delle Pubbliche Amministrazioni

di Salvatore Sfrecola

Sarebbe difficile immaginare una definizione più calzante di quella, “museo degli orrori”, con la quale il Professore Sabino Cassese, acuto osservatore delle vicende delle Pubbliche Amministrazioni, ha bollato, scrivendone sul Corriere della Sera, il decreto-legge sulla “funzionalità delle pubbliche amministrazioni”, di recente approvato dal Consiglio dei ministri (“L’oscurità dei decreti labirinto”). Con 22 articoli per 112 commi, alcuni lunghi sei pagine, 16.825 parole, 114.192 caratteri, come il Professore puntigliosamente riassume nell’incipit del suo articolo, il decreto è un autentico monstrum che si occupa di tutto (e “di più”, come comunemente si dice per segnalare un’incongrua abbondanza) con una tecnica legislativa che credevamo abbandonata per sempre, quella del decreto omnibus irto di norme talmente oscure (con 255 riferimenti ad altre leggi) che lo stesso Cassese dubita sia stato così fatto perché gli autori “desideravano non essere capiti”. Accusa gravissima per bocca di chi è parso molto spesso “dalla parte” dei governi, considerato che scopo della normativa d’urgenza, reso palese dal titolo, è la “funzionalità”, requisito fondamentale per la regolamentazione degli apparati burocratici istituzionalmente destinati a svolgere un ruolo essenziale, quello della realizzazione delle politiche pubbliche delineate nel programma del governo. Laddove la richiesta della politica, ma anche dei cittadini e delle imprese, è quella della semplificazione cancellando adempimenti non necessari quelli, per intendersi, che sono alla base della critica che dipinge da sempre l’amministrazione pubblica farraginosa ed inefficiente.

Lo sconcerto del Professore Cassese è grande, perché in quel decreto “c’è di tutto: l’ovvio, l’utile, il superfluo, lo strano, il dannoso”. Soprattutto in tema di provvista del personale, tra modifiche dei criteri di definizione delle procedure concorsuali, ricorso a procedure selettive già svolte altrove, stabilizzazione di precari, che in tal modo diventano “di ruolo”, assunzioni a tempo determinato che diventano a tempo indeterminato. Sono ricorrenti iniziative del potere alla ricerca di assunzioni facili, mascherate con l’esigenza di celerità che nelle pubbliche amministrazioni non è sempre possibile garantire considerato il numero dei concorrenti ed i tempi di correzione degli elaborati. Così negli anni sono state attuate procedure semplificate con riduzione delle prove e delle materie di esame, con conseguenze ben note quanto all’accertamento della professionalità richiesta. Come nel caso di assunzioni effettuate con semplici colloqui, oppure con limitazione del numero delle prove scritte, un tempo particolarmente selettive. Ricordo, ad esempio, che nelle prove di accesso alle carriere “di concetto speciali”, un tempo istituite presso alcune amministrazioni, le finanze, il tesoro, la giustizia, la Corte dei conti, il Consiglio di Stato, alle quali si partecipava anche con il semplice diploma di scuola media superiore, le prove scritte erano tre, come per le carriere direttive. Ciò che giustificava che questi impiegati, nel giro di qualche anno, a seguito di una promozione entravano a far parte della carriera direttiva. 

Ancora un esempio. Pochi ricordano che c’è stato un tempo nel quale le amministrazioni conoscevano nella carriera direttiva, dalla quale si traevano coloro che avrebbero esercitato funzioni dirigenziali, i cosiddetti concorsi “per merito distinto”, particolarmente selettivi perché con uno o due posti a disposizione vedevano la partecipazione di qualche centinaio di funzionari. Chi avesse vinto quel concorso sarebbe passato in testa al ruolo ed avrebbe visto la sua carriera aperta in modo straordinario. Da quei concorsi sono usciti personaggi che hanno fatto la storia delle pubbliche amministrazioni, i più giovani direttori generali.

Tornando alle osservazioni del Professore Cassese sul decreto, richiamo quanto ha scritto a proposito della “trasformazione del Dipartimento della funzione pubblica in una specie di super direzione del personale pubblico, che gestisce i reclutamenti”. Detto da chi è stato Ministro della funzione pubblica sembra abbastanza importante, anche se la gestione unificata di molti concorsi sarebbe auspicabile, quanto meno per riduzione dei costi che le amministrazioni devono sostenere. Sempre centinaia di migliaia di euro.

Osserva anche che contraddizioni ve ne sono, ad esempio, da un lato, si dispone che il concorso “è lo strumento ordinario e prioritario di accesso alle pubbliche amministrazioni”, come prevede l’art. 97 della Costituzione, “dall’altro si prevedono stabilizzazioni di precari e persino dei lavoratori socialmente utili di Basilicata, Calabria, Campania e Puglia, in modo da assumere personale per soddisfare la fame di posti nelle regioni meridionali, piuttosto che per servire meglio gli utenti della pubblica amministrazione”. E siccome, come ricordava Giulio Andreotti, a pensar male si fa certamente peccato ma spesso si indovina, sembra di poter immaginare che le forze politiche di governo si attendano infornate di persone gradite. Un po’ come quella già criticata proposta di assumere dirigenti di seconda fascia “a chiamata” ad iniziativa dei capi degli uffici presentata dal Ministro della pubblica amministrazione Zangrillo. Una iniziativa che ha scatenato polemiche. Significa immaginare la classica “cordata” degli amici degli amici.

È la dimostrazione che “lo sguardo del governo è tutto rivolto all’interno, senza tentare di migliorare l’organismo amministrativo in funzione degli utenti”, cioè i cittadini e le imprese in funzione dei quali molte regole molte competenze amministrative sono stabilite. Per cui se per ottenere un’autorizzazione ad una attività che ha un significato importante dal punto di vista dell’imprenditore ma anche del Paese, perché contribuisce alla ricchezza nazionale, è necessario passare attraverso adempimenti defatiganti e spesso inutili è evidente che non solo si ritarda a volte fino a scoraggiarla l’imprenditoria ma si dà luogo ad una ad un rallentamento dell’attività amministrativa nella quale si può inserire facilmente la corruzione. 

Cassese, in fine, rileva come nelle pieghe del decreto legge “sono nascoste nuove spese, passate indenni al vaglio della “bollinatura” compiacente della Ragioneria generale dello Stato che, nel prospetto riepilogativo degli effetti finanziari ha certificato che vi è uno scarso o nullo impatto sul saldo netto da finanziare, sul fabbisogno dell’indebitamento netto del triennio”.

Le conclusioni sono certamente da condividere. “Giunti al termine della lettura di questo decreto labirintico, ci si chiede – scrive il Professore – se, per risolvere i problemi storici dello Stato italiano, quelli che ci portiamo dietro da secoli, sempre evocati con il ricorso alla parola “burocrazia”, l’attuale governo potrebbe fare quello che altri, sempre di breve durata, non hanno potuto fare, per rendere lo strumento amministrativo più efficace, invece di alimentare l’“industrie des places”, ascoltando sollecitatori e postulanti, per supplire al mancato sviluppo di industrie, commerci e servizi privati, per diminuire le tensioni del mercato del lavoro, senza migliorare la funzionalità dei servizi pubblici”.

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