mercoledì, Aprile 2, 2025
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I giovani italiani senza un’idea di democrazia parlamentare


di Salvatore Sfrecola

Secondo un sondaggio commissionato da “Azione” all’istituto SWG, reso noto da Carlo Calenda giovedì nel corso di “Otto e mezzo”, il 42% dei giovani tra 18 e 24 anni è favorevole all’“Ipotesi del premier con mani libere”, percentuale che sale al 52% quando ad essere interpellati sono gli italiani tra 25 a 34 anni: la maggioranza.
Per “Dagospia”, che ha diffuso la notizia, “i ragazzi italiani vorrebbero un dittatore al comando”, allo scopo di “rendere l’Italia più efficiente, giusta e sicura”. L’idea è quella di affidare il governo a “una persona autorevole, in grado di operare in autonomia, senza il controllo del Parlamento, e senza necessità di una maggioranza parlamentare, con un mandato fisso di cinque anni”.
Per Beppe Severgnini “un governo senza controllo parlamentare è un regime”. È la strada maestra verso un’autocrazia. I più anziani, che l’hanno conosciuta, capiscono. Infatti, la percentuale degli over 64 favorevole al “premier con le mani libere” scende al 28%. Ma i mali delle autocrazie non sono stati capaci di spiegarlo ai figli. Un autentico disastro educativo che potrebbe avere conseguenze drammatiche. Un governo senza controllo parlamentare è un regime, un potere assoluto refrattario a mollare. Ne sono un esempio la Russia e la Turchia, per fare due esempi drammaticamente sotto gli occhi di tutti.
Il sondaggio fa riflettere e ci dice che la democrazia rappresentativa, quella, per intenderci, alla base, prima dello Statuto Albertino poi della Costituzione repubblicana, evidentemente non è compresa e di fronte alla difficoltà di governare, chi non ha strumenti di democrazia è facile che acceda ad una semplificazione del sistema politico privilegiando chi governa. Comunque al di là delle idee e dei programmi.
È un argomento sul quale occorre riflettere, considerato che ricorre nel dibattito politico, anche per bocca della Presidente del Consiglio che ne ha parlato nei giorni scorsi rilanciando l’idea del “premierato” giustificato dal fatto che in Italia, nel corso della Repubblica, i governi sono stati tanti e spesso di breve durata.
Il fenomeno è vero ma va capito. Per chiarire che al tempo della prima Repubblica, ad esempio, quando dominava la Democrazia Cristiana le crisi di governo seguivano la verifica del potere delle correnti del partito, anche in rapporto alle alleanze con i partiti che tradizionalmente reggevano quei governi. Con la conseguenza che, anche se cambiavano il Presidente del Consiglio ed i ministri, la linea politica era sostanzialmente la stessa, quella nata dal risultato elettorale di legislatura. E i programmi avviati continuavano il loro iter.
Il problema della governabilità, tuttavia, è una richiesta buona e giusta, condivisa dall’opinione pubblica e dai partiti, i quali peraltro dovrebbero rendersi conto di essere loro i primi responsabili della breve durata dei governi perché sono loro che decidono le crisi di governo e sono loro che hanno progressivamente svilito il ruolo del Parlamento, laddove si realizza l’esercizio della sovranità popolare. Questo è avvenuto perché i partiti sono responsabili della modestia della classe politica e del mancato collegamento con l’elettorato che in qualche modo delegittima il Parlamento e il dibattito parlamentare.
Il progressivo svilimento del ruolo del Parlamento è iniziato con la lotta al voto di preferenza, ritenuto fonte di corruzione perché la ricerca del consenso poteva favorire intese con ambienti portatori di interessi, economici o criminali. Con la conseguenza che abbiamo un Parlamento di nominati e non di eletti che non ha l’autorevolezza della Camera dei Comuni del Regno Unito alimentata da parlamentari scelti in collegi uninominali nei quali il rapporto fra eletto ed elettore è strettissimo. Sicché la forza dei partiti non è negli apparati ma nei gruppi parlamentari composti di esponenti di primo piano della società civile la cui forza è data dal consenso.
Un Parlamento di nominati non ha il prestigio necessario per fare politica, guidare e controllare governi i quali non riescono ad ottenere dalle Camere le leggi necessarie per realizzare l’indirizzo politico. E questo non in ragione del bicameralismo, come taluno superficialmente afferma, ma per carenza di classe politica sicché anche il bilancio dello Stato, documento fondamentale della politica, passa sulla testa dei parlamentari ai quali è consentita appena qualche goccia di spesa per accontentare le esigenze del collegio elettorale.
In queste condizioni i governi ricorrono a provvedimenti d’urgenza anche al di fuori dei casi previsti dalla Costituzione.
È così che, incapace di affrontare le cause autentiche della crisi delle istituzioni, la classe politica alla ricerca della governabilità considera assurde scorciatoie semplificatorie, come la proposta del governo Renzi di abolizione del Senato, tema ripreso dal deputato Luigi Marattin, l’ultimo dei patiti del monocameralismo, senza riflettere sulla possibilità di semplificare il lavoro delle Camere prevedendo ad esempio che in alcune occasioni possano operare in seduta comune, a cominciare dalla dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio all’atto della formazione del governo e successivamente in occasione di informative di carattere generale come quelle in prossimità di incontro internazionali.
È grave che il ruolo del Parlamento, fulcro della democrazia, sia svilito agli occhi dei giovani e che per governare ci si debba affidare all’“uomo solo al comando” che poi diventa l’uomo “della Provvidenza”, inevitabilmente un “autocrate” che sarà sempre più difficile consigliare e condizionare. Credo che debba essere una riflessione importante questa, nel momento in cui si rilancia il premierato, che non si rinviene in altri ordinamenti, che tanto ricorda il discorso con il quale l’8 giugno 1923 il Cavaliere Benito Mussolini tracciò le linee della sua riforma costituzionale nella quale sosteneva che il Parlamento non poteva più essere considerato l’istituto capace di “contenere tutta la vita di una nazione” divenuta eccezionalmente complessa. Con l’obiettivo di giungere ad una modifica della rappresentanza politica, il superamento del modello parlamentare togliendo alla Camera dei deputati il predominio sul potere esecutivo. “Ma in questo potere, o Signori, avrebbe detto Cavour, è la democrazia parlamentare. Lo Stato rappresentativo”.
Noi abbiamo esempi illustri di democrazia parlamentare. Uno dei quali resiste da secoli in un equilibrio fra Governo e Parlamento che è quello del Regno Unito di cui già parlava Vittorio Emanuele Orlando, il grande giurista e statista che aveva iniziato i suoi studi di diritto pubblico proprio con una riflessione attenta sul sistema elettorale, perché al centro della democrazia è il sistema elettorale. Che deve essere capace innanzitutto di selezionare la classe politica. La governabilità viene di conseguenza.

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