lunedì, Aprile 28, 2025
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Ripartiamo dal latino e dalla centralità della Roma cristiana

di Salvatore Sfrecola

Un segnale l’avevamo colto già nei giorni scorsi, quando le preghiere del Rosario, recitato sul sagrato di San Pietro, scandivano in latino la preghiera che Cristo ci ha insegnato e l’invocazione alla Madonna. Fino a qualche giorno prima le stesse preghiere, recitate per auspicare la guarigione di Papa Francesco ricoverato al Gemelli, risuonavano per tutta la piazza di San Pietro in italiano. In ogni caso, a dirigere la preghiera erano sempre Cardinali di Santa Romana Chiesa. Ecco, appunto, romana, come è apparsa in mondovisione la Chiesa Cattolica nello splendore della Messa celebrata dal Cardinale Giovanni Battista Re, Decano del Sacro Collegio.

Già sento, dopo la parola “latino”, levarsi un grido “conservatore”, che dovrebbe essere sulla bocca di taluni anche un insulto. Come è stato quando il Ministro dell’istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, ha ripristinato, sia pure come opzione volontaria, lo studio del latino. Il recupero della lingua di Cesare nella liturgia romana è in evidente controtendenza rispetto a quanto si è percepito in questi anni, dopo le dimissioni di Papa Benedetto XVI, con l’affermazione di una Chiesa in una condizione geopolitica del tutto “liquida”, per cui era stato possibile aprire una Porta Santa lontano da Roma. L’abbandono totale del latino, prima consentito, poi addirittura vietato, si ricollega all’attenuazione della centralità di quella Roma “onde Cristo è romano”. Come ci ha insegnato Padre Dante (Purgatorio, XXXII, 102), la Roma terrena, sede del papato e fulcro del cristianesimo e la Roma celeste, la dimora eterna delle anime beate.

E così, mentre ebrei e musulmani pregano nella lingua originaria, i cattolici che dispongono di una lingua straordinaria l’hanno abbandonata, per “nazionalizzare” i riti, trascurando il valore di una preghiera, anche una sola, che i cattolici in tutto il mondo fossero chiamati a recitare nella stessa lingua. Che poi aveva anche un aspetto pratico, nel senso che gli uomini di Chiesa s’intendevano, qualunque fosse la cultura di origine, proprio grazie alla lingua di Cicerone. Oggi, invece, come abbiamo assistito nei servizi televisivi nei quali venivano intercettati i Cardinali, convenuti per le prime congregazioni in vista del Conclave, molti non si conoscono e non si parlano.

Del resto, anche alcuni chiamati a leggere le preghiere hanno stentato, non solamente con il posizionamento degli accenti. Con il latino si è persa una cultura che non sarà facile recuperare. Ma che è necessario fare, come dimostra il fatto che i cattolici americani prediligono la Messa in latino. Non sono europei, sono di lingua inglese e sentono il fascino della lingua di Roma che, del resto, è fortemente presente nell’idioma parlato a Londra, dove anche Carlo III sulle monete è Rex, come Elisabetta II era Regina.

Ieri in piazza San Pietro, dinanzi ad un parterre d’eccezione, quanto ad ordinamenti e lingue di personalità provenienti da ogni angolo del globo, Roma ha confermato la sua centralità come sede della Chiesa cattolica, una centralità necessaria per affermare proprio quella universalità che può fondarsi solo su una tradizione millenaria che poggia sulle basi solide della cultura che ha accompagnato la crescita e l’espansione dell’Occidente cristiano che per la Chiesa è stata l’humus, l’identità di Roma rigenerata dall’insegnamento del Vangelo.

Non si tratta di conservatori o di progressisti, come con eccessiva disinvoltura e scarso approfondimento si sente dire nella prospettiva del Papa che dovranno scegliere i componenti del Sacro Collegio, di una Chiesa che si dovrebbe “adeguare” ai tempi, dimenticando che si tratta di una religione rivelata il cui insegnamento va al di là del contingente. Anche in questo senso il cosiddetto “dialogo interreligioso”, che ovviamente significa approfondimento dei tratti comuni alle religioni, non può e non deve divenire fonte di appiattimento alle idee altrui che vanno sempre rispettate, nella consapevolezza della diversità delle origini spirituali. Noi abbiamo, proprio grazie all’insegnamento della Chiesa cattolica, una cultura indirizzata al rispetto di tutti, purché ovviamente non siano in contrasto con il credo cattolico e soprattutto con i principi di libertà personale che la Chiesa porta avanti nel nome di Cristo. 

Per questo i signori cardinali che si ritroveranno ad effettuare una scelta, che continuiamo a sostenere ispirata dallo Spirito Santo, devono interpretare la volontà divina attraverso l’insegnamento della Chiesa che è di attenzione all’uomo in tutte le sue condizioni nella vita civile, che è protesa naturalmente al mantenimento della pace che sarebbe assurdo accreditare a questo od a quel papa, perché, ai nostri tempi, il desiderio di progresso nella pace e nella sicurezza è una condizione intrinseca all’insegnamento cristiano, per cui l’accoglienza, non può andare disgiunta da condizioni di sicurezza di chi accoglie e di chi è accolto, altrimenti si pongono in essere delle condizioni che prima o poi determineranno contrasti sociali potenzialmente cruenti. Prima dell’accoglienza c’è la necessità di aiutare dovunque il bisognoso, in primo luogo a casa sua. Come sostengono anche i prelati africani perché non si può svuotare l’Africa con le sue tradizioni, la sua storia le sue culture in favore di una migrazione planetaria. 

Quindi la Chiesa si troverà ad affrontare una realtà complessa, come del resto sempre è stato, e il nuovo Papa dovrà avere la forma mentis capace di interpretare l’insegnamento del Vangelo secondo la storia, le tradizioni, la cultura delle singole realtà che tutte insieme formano la società cristiana che s’irradia da Roma. Quella Roma che era resa evidente sul sagrato di San Pietro dalla presenza di autorità politiche provenienti da tutto il mondo che sono sì venute a rendere omaggio al Santo Padre Francesco ma che individuano in Roma non solo la sede centrale della Chiesa dal punto di vista ordinamentale ma l’immagine stessa della civiltà occidentale le cui radici sono indubitabilmente cristiane.

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