di Salvatore Sfrecola
Il Professore Marcello Clarich, Ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Roma “La Sapienza”, firma l’editoriale del fascicolo n. 20, del 2 maggio 2020, di Guida al Diritto, il settimanale di approfondimento giuridico del Gruppo Il Sole 24 ore.
Il titolo “Semplificare procedure e servizi, la sfida della fase post Coronavirus” apre un dibattito importante. È “iIl tema della settimana” per la Rivista perché – scrive – “potrebbe segnare la risurrezione del nostro Stato e la sua rivincita rispetto al mercato”. Perché questo avvenga occorrerà però rimettere al primo posto dell’agenda politica “la questione amministrativa”, trascurata da decenni. Per il Professore Clarich “l’Italia non può più permettersi strutture pubbliche inefficienti, procedure bizantine e servizi di scarsa qualità. L’impegno di questi giorni di medici, infermieri, volontari, benefattori e anche di qualche politico, potrebbe far sperare in una volontà di riscatto anche morale”.
Impossibile non essere d’accordo con il riconoscimento della debolezza strutturale delle nostre pubbliche amministrazioni messa in evidenza, ancora una volta, in questi due mesi nei quali impegnativa è stata l’azione di contrasto all’epidemia da Covid-19. Ricorda, al riguardo, il professor Clarich che il decreto legge 17 Marzo 2020, n. 18, che ha varato le prime misure urgenti richieste per contenere la diffusione del virus, contiene una quantità di deroghe alle norme vigenti, procedure semplificate, autocertificazioni e quant’altro ritenuto necessario allo scopo di superare le pastoie burocratiche che rallentano le decisioni delle pubbliche amministrazioni. È un tema antico, il motivo, insieme alla lentezza della Giustizia civile, della ritrosia di molti imprenditori, italiani ed esteri, ad investire in Italia.
Tuttavia, se siamo d’accordo sulla “debolezza strutturale” delle nostre amministrazioni è quasi inevitabile ci si divida sulla individuazione delle cause.
Questo giornale da sempre denuncia i difetti della nostra pubblica amministrazione quanto alla distribuzione delle attribuzioni e delle competenze e alla farraginosità delle procedure amministrative e contabili ed abbiamo più volte tentato di individuare le ragioni di questa situazione, da tutti denunciata ma mai concretamente affrontata.
In primo luogo dobbiamo prendere atto che la nostra classe politica e di governo è estremamente modesta, con scarsa professionalità e poca o nessuna esperienza, ed ha difficoltà a sollecitare riforme concrete anche per la scarsa capacità di dialogo con gli apparati. D’altra parte questi, nel corso degli anni, hanno perduto il prestigio e le professionalità di cui un tempo erano dotati. Il politico dirà sempre che le norme incriminate, quelle che appesantiscono le procedure, sono scritte dai funzionari dei vari ministeri e le complicazioni denunciate sono dovute alla preoccupazione dei funzionari di non sbagliare e di non incorrere nelle sanzioni penali, ad esempio per abuso d’ufficio, o nella responsabilità amministrativa per danno erariale dinanzi alla Corte dei conti. È così che le procedure sono appesantite da documentazione varia, pareri, concerti, attestazioni, ecc.
Il professore Clarich è consapevole di questo problema per cui a suo giudizio “vanno ripensati i modelli organizzativi delle amministrazioni, nonché le regole sull’assunzione, sulla formazione e sullo status del personale”. Gli è chiaro, cioè, che i mali della Pubblica Amministrazione possono essere curati soprattutto modificando le regole che presiedono al reclutamento e alla formazione. Aggiungo che assunzione e formazione, riferiti al personale dirigente dovrebbero restituire ai capi degli uffici l’autorevolezza necessaria per darsi carico delle decisioni da assumere e delle procedure da seguire sotto il profilo della loro legittimità. L’autorevolezza del dirigente, che nel pubblico e nel privato significa preparazione professionale ed esperienza, fa la differenza.
Questo del reclutamento e della formazione è un tema fondamentale, sempre enunciato, mai concretamente affrontato, perché la politica ha seguito la strada della moltiplicazione dei posti di funzione secondo al regola antica del divide et impera, pensando di affermare il proprio ruolo dinanzi a dirigenti frastornati dall’uso improvvido dello spoils system e dalla generalizzata e sempre più ampia assunzione di soggetti estranei all’amministrazione. In sostanza va preso atto che è fondamentale restituire all’amministrazione una dignità e un’autonomia professionale nei confronti della politica, perché se le strutture burocratiche sono serventi dei governi e alle indicazioni dei governi devono attenersi, è certo che dirigenti nominati dalla politica, che dalla politica attendono la conferma nell’incarico, non sono indipendenti nella loro espressione professionale come dovrebbero essere in quanto “al servizio esclusivo della Nazione”, come si esprime l’art. 98 della Costituzione. Insomma, nessun dirigente oggi è in condizione di dire al ministro “questo non si può fare”, spiegandone ovviamente le ragioni. Perché può accadere che il Ministro, sollecitato dai suoi clientes, non è disponibile ad ascoltare il dirigente il quale non vuole inimicarselo. Un dirigente che non sappia, all’occorrenza, dire “no” non è un buon funzionario.
Fatte queste premesse è evidente che la preoccupazione di molti funzionari, della quale si fa portavoce il Professore Clarich, è quella della “paura della firma dovuta al rischio di finire nel mirino del giudice penale e della Corte dei conti”, ciò che genera la cosiddetta “burocrazia difensiva”. Ora questa impostazione, pur nella comprensibile sinteticità dell’occasione, non può essere seguita perché la paura di incappare nell’abuso d’ufficio o nella azione di responsabilità contabile non può portare alla conclusione che va “rivista la configurazione del reato di abuso d’ufficio e consentito alle amministrazioni danneggiate entro limiti e con cautela adeguate, di paralizzare l’azione della procura contabile”.
Non mi occupo dell’abuso d’ufficio, anche se intuisco che probabilmente andrebbe rivisto nella sua configurazione. Non è mia materia e non mi permetto di entrare in un settore molto specialistico. Quanto invece alla paura per l’azione di responsabilità amministrativa mi sento di dire alcune cose con molta chiarezza sulla base di una lunga esperienza di magistrato contabile, per molti anni in servizio presso la Procura Generale, poi responsabile di una Procura regionale, infine Presidente di una sezione giudicante ed oggi di avvocato.
In primo luogo, va escluso che possa essere “consentito alle amministrazioni danneggiate entro limiti e con cautela adeguate, di paralizzare l’azione della procura contabile”. Sarebbe lo stesso responsabile, magari per culpa in vigilando ad assolversi. Inammissibile!
Scendendo sul concreto, la responsabilità amministrativa per danno erariale, rammento a me e a tutti, viene esercitata dalle Procure Regionali della Corte dei conti in presenza di una accertata, attuale diminuzione finanziaria o patrimoniale. Per semplificare occorre che a carico di un bilancio pubblico sia posta una spesa inutile, eccessiva rispetto al valore del bene o della prestazione, ovvero una minore entrata (ad esempio una imposta o tassa non riscossa). La legge n. 20 del 14 gennaio 1994 all’art. 1 prevede che la responsabilità è “limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali”. In presenza, dunque, di un danno occorre quanto meno la colpa grave, che, come ci ha spiegato la giurisprudenza della Corte dei conti, si realizza quando vi è una macroscopica violazione di norme, assoluta inosservanza delle più elementari regole di buon senso e di prudenza, prevedibilità dell’evento dannoso, sprezzante trascuratezza dei propri doveri, locuzioni che implicano un giudizio di disvalore da accertare in relazione alle concrete e specifiche fattispecie dannose, scaturente dal raffronto tra la condotta esigibile e quella in concreto osservata dal soggetto agente.
La colpa grave, in sostanza, non è un errore, come assumono i funzionari quando sono chiamati a rispondere dinanzi alla Corte dei conti. In latino culpa lata secondo Ulpiano (libro I, regularum) est nimia neglegentia, id est non intelligere quod omnes intellingunt. È chiaro anche a chi non conosce il latino.