domenica, Dicembre 22, 2024
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Dalla rabbia alla protesta

di Salvatore Sfrecola

Nessuno, che abbia un minimo di percezione della realtà, si è stupito della protesta esplosa a Napoli e a Roma, alla vigilia dell’emanazione delle nuove misure di contenimento delle attività pubbliche e private disposte dal Governo in funzione anti-Covid. E neppure che il disagio e la rabbia della gente siano state strumentalizzate da ambienti vari, della malavita e dell’estremismo politico. I miei amici napoletani percepivano da tempo che andava montando la protesta e non dubitavano che qualcuno avrebbe soffiato sul fuoco, che sarebbero stati possibili disordini nel corso dei quali qualche delinquente avrebbe anche potuto usare un’arma per colpire le Forze dell’Ordine e così accrescere la tensione. Segnali erano stati colti anche dal Viminale a mano a mano che la chiusura delle attività produttive nei mesi scorsi ha messo in difficoltà non solo i cittadini perbene ma anche gli affiliati ai clan. È stato difficile riscuotere il pizzo da imprenditori ed artigiani che non incassano un centesimo. Alla ripresa, a chi ne aveva bisogno per pagare canoni di locazione arretrati o per sostenere le spese di adeguamento dei locali alle regole del distanziamento, qualcuno ha offerto il denaro per riaprire l’officina o la bottega. La malavita dispone di denaro in abbondanza. È sporco, e lo “ripulisce” prestandolo a strozzo, in assenza dell’intervento dello Stato e delle banche che si sono dimostrate restie a concedere mutui, anche nella misura che si giova della garanzia dello Stato, che Giuseppe Conte aveva con grande enfasi annunciato in uno dei tanti comizi televisivi.

Troppo e troppo a lungo è durato il blocco. Artigiani, piccoli imprenditori, professionisti sono allo stremo, come i loro dipendenti e collaboratori, e l’annuncio di un ulteriore blocco, che è facile immaginare sarà più lungo di quel mese indicato nel decreto del Presidente del Consiglio appena entrato in vigore, annulla ogni più ottimistica prospettiva emersa nel corso dell’estate, quando la statistica dei contagiati e dei morti aveva fatto ritenere che il peggio fosse passato.

Ognuno di noi conosce situazioni di grave sofferenza a tutti i livelli, di parenti e amici. Ma forse non tutti ne sono consapevoli nelle stanze del potere. Chi lavora alle dipendenze dello Stato o di un ente pubblico, ad esempio, ha regolarmente riscosso lo stipendio, ma le paghe degli operai o dei camerieri sono mancate, come, in molti casi, la cassa integrazione. Hanno supplito, dove possibile, genitori e nonni, ma non sempre in misura adeguata. Anche le loro pensioni si sono rivelate spesso una risorsa debole, falcidiate dalla sterilizzazione degli aumenti periodici, e dai “contributi di solidarietà” decisi dalla legge di bilancio per il 2019 voluta dal Governo giallo-verde, il Conte 1, per far fronte allo squilibrio dei conti del sistema previdenziale, ma soprattutto per soddisfare l’invidia sociale dell’elettorato del Movimento 5 Stelle.

A nessuno sfuggono le dimensioni della crisi economica, nonostante la tanto sbandierata “potenza di fuoco” di cui si è vantato il premier nei suoi comizi che hanno cominciato a stancare anche coloro che, sulle prime, lo hanno giudicato affidabile. Parla bene, dicevano, è chiaro, convincente, trasmette fiducia. Adesso le sue parole sono fonte di ansia, come i servizi dei telegiornali che, con il tono incalzante del bollettini delle tragedie, inondano i telespettatori di numeri sempre più preoccupanti dei contagiati, dei tamponi e dei morti.

Enrico Mentana, il direttore del TG de La7, un giornalista che va al fondo delle vicende della politica e dell’economia, ha scritto “Attenzione alla rabbia. Le proteste e gli incidenti di Napoli sono un misto di tante pulsioni diverse, che sicuramente qualcuno ha tentato di strumentalizzare (estremismo politico e criminalità). Ma sarebbe sbagliato dire che ieri sera in strada a protestare contro De Luca e il suo invito al lockdown c’erano solo neofascisti, ultras e camorristi. Chi dissente non va santificato, ma nemmeno criminalizzato. L’altro ieri a invitare il premier Conte a considerare la rabbia che monta nel paese non era stato un oppositore, un estremista né tanto meno un criminale, ma il capo dei deputati del Pd Delrio”.

Sì, la rabbia cresce perché se un discreto numero di italiani si sente garantito, come nel caso dei dipendenti dello Stato, degli enti pubblici e delle aziende dei servizi di pubblica utilità (acqua, luce e gas), di cui già si è detto, e di quelli che operano nei settori privati che indirettamente si sono giovati del blocco, come nel caso della grande distribuzione e dei gestori degli acquisti on-line, come Amazon, per un’altra parte i disagi sono stati gravissimi. Per gli imprenditori e i loro dipendenti, perché molte sono le imprese e i negozi che hanno chiuso, con perdita dei posti di lavoro, mantenuti solo per il blocco dei licenziamenti, una “bomba a tempo”, perché il beneficio è destinato inevitabilmente a finire. E chi è in cassa Integrazione non sempre ha riscosso. Poi ci sono le partite Iva che hanno visto le loro attività ridotte ai minimi termini. Soffrono i giovani che erano fuori dal mercato ma avevano una speranza. Che non c’è più. Certamente non a breve.

Il centro storico di Roma offre un’immagine impietosa e tragica della situazione. Assenti i turisti, non ci sono neppure i romani. Chiusi i ristoranti, chiusi gli alberghi. Via Veneto, la strada della dolce vita, è uno squallore. Sono chiusi gli alberghi più prestigiosi, quelli nei quali si riuniscono i Club Rotary, dove gli uomini d’affari si davano appuntamento. La chiusura dei ristoranti alle 18 è una assurdità. I ristoranti abbassano le saracinesche subito dopo pranzo e riaprono verso le 19, 19.30 per la cena. Qualcuno resta aperto per i turisti, molti dei quali sono abituati a pranzare a tutte le ore. Ma non ci sono.

Anche l’aeroporto di Fiumicino è desolante. Funziona solo il Terminal 3, ma il percorso che porta ai gate, lungo il quale sono bar e ristoranti e i più importanti negozi degli stilisti, le profumerie e le rivendite di liquori e tabacchi sono desolatamente vuoti. Solo le commesse, senza compratori, cinguettano tra loro e via cellulare.

Tutti “hanno passato il lungo tunnel di questi otto mesi nella speranza che la fine della galleria fosse vicina”, scrive Mentana. Li ha rassicurati in questo tempo la narrazione quotidiana del Presidente del Consiglio certo abile comunicatore, gratificato da un elevato indice di consensi che in questi giorni si sono inesorabilmente contratti avendo tutti verificato che il tempo che avrebbe consentito di rimediare a certe accertate carenze è trascorso invano. Che lì dove mancavano unità di terapia intensiva non ne è stata costruita neppure una. Inoltre non sono state acquisite al servizio nuove unità di personale, né sono state addestrate quelle che s’immaginava avrebbero potuto essere impiegate nei servizi di rianimazione. Un medico o un infermiere in questi reparti non s’inventa, si è sentito dire nei tanti talk show dedicati alla pandemia dilagante.

Eloquente l’articolo di Susanna Tamaro per il Corriere della Sera che denuncia disfunzioni personalmente accertate e patite ed altre a tutti note, come la mancanza di mascherine nella prima fase dell’epidemia. Le avevamo cedute alla Cina che Di Maio e compagni volevano ingraziarsi in vista degli sviluppi dei commerci lungo la “via della seta”. Incredibile, assurdo, mentre quei presidi mancavano a medici ed infermieri in prima linea. E mentre cresce il contagio le nuove restrizioni per molti sono una batosta forse decisiva sulle speranze di ritrovare lavoro, ruolo, dignità al di fuori del circuito dei sussidi e degli ammortizzatori sociali.

Intanto tra gli italiani che si chiedono se davvero è stato fatto di tutto per prevenire o almeno attenuare questa seconda emergenza, aumentano di giorno in giorno quelli che rispondono NO, alcuni dei quali non sono disposti ad ulteriori attese, in una stagione nella quale l’inverno porta naturalmente con sé la “solita” influenza, con la consueta dose di ricoveri e decessi. E monta la rabbia, pericolosa, come sempre è l’ira dei giusti.

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