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“Carulì si m’amave”, Napoli 1799 – Un romanzo storico di Dora Liguori. Una rivoluzione senza popolo

di Salvatore Sfrecola

Dora Liguori, alla quale si devono studi storici sul Mezzogiorno, prima e dopo l’unità d’Italia, studiosa della romanità, torna in libreria con un romanzo storico dal titolo accattivante “Carulì si m’amave”. Carolina è la Regina di Napoli alla quale si rivolge il popolo nel gennaio del 1799 cantando sotto le finestre di Palazzo Reale in polemica verso la sovrana colpevole d’aver convinto il consorte, Ferdinando IV di Borbone, re di Napoli, ad abbandonare la città per rifugiarsi a Palermo. Siamo alla vigilia dell’invasione della capitale del Regno da parte dell’esercito francese guidato dal generale Jean Etienne Championnet.

Apparente protagonista del romanzo è un pappagallo “ararauna” dal piumaggio variopinto, uno dei più grandi e più longevi, un pappagallo “parlante” diffuso a Napoli in quegli anni in ossequio ad una moda proveniente dalla Spagna attraverso la colonia iberica di Nueva Granada. Nella città partenopea il pappagallo giunge inviato da Carlo III, Re di Spagna, già Re di Napoli, un dono di compleanno per la nipotina Maria Amalia, detta Maja. E Napoli, con la sua corte galante e festaiola, i suoi monumenti, i suoi vicoli e soprattutto i suoi abitanti è l’ambiente nel quale si svolgono gli eventi che animano il romanzo. La città, da colorata e gioiosa che era, subisce il clima severo e teso portato dall’eco della Rivoluzione Francese e della decapitazione, nel 1793, della Regina Maria Antonietta, moglie di Luigi XVI e sorella di Maria Carolina, moglie di Ferdinando IV di Borbone. La città radiosa e allegra precipita in una cupa e angosciante spirale di sospetti e delazioni. Carolina, dopo la perdita dell’amata sorella, folle di dolore, vede nemici ovunque e diffida soprattutto dei liberali e in particolare di quei circoli massonici, da lei, nel passato, già ampiamente protetti e frequentati.

La situazione precipita nel 1798-99, quando Ferdinando IV, sconfitto dai francesi, ripara in Sicilia su sollecitazione di Carolina e dell’Ammiraglio Oratio Nelson, mentre il Generale Championnet, alla guida dell’esercito francese, alle porte di Napoli, impone con arroganza il pagamento di una ingente somma per siglare l’armistizio, pena l’invasione del Regno.

E qui il romanzo si anima nell’esaltazione del ruolo del popolo minuto che si ribella all’arroganza dell’invasore e affronta pressoché inerme l’armata nemica. È l’orgoglio di un popolo che, in condizioni difficili, in tre giorni, il 21, 22 e 23 gennaio del 1799 (passati alla storia come i “tre giorni della Lazzaria”), contende all’invasore quartiere dopo quartiere, vicolo dopo vicolo, in una lotta impari e disumana che sarà anche l’inizio di una atroce guerra civile. Infatti, a dare man forte ai francesi, sparando da Castel Sant’Elmo sui concittadini, ci sarà un gruppo di aristocratici e di colti borghesi, esponenti di spicco dell’intelligentia napoletana, che, entusiasti della rivoluzione di Francia, intendevano abolire la monarchia ed instaurare una “Repubblica Napolitana”.

Nei tre giorni dell’orgoglio popolare i lazzari, bambini compresi, riuscirono a bloccare gli ingressi della città, facendo barriera, in pratica senza altre armi che fossero pietre e qualche vecchio archibugio, ai fucili e ai cannoni francesi. Fu una mattanza, forse trentamila morti… sicuramente di più, ma fu anche una grande pagina di storia che, ricordata e rispettata dai francesi, inspiegabilmente, è rimasta quasi ignorata dalla storiografia ufficiale, propensa piuttosto ad esaltare i vincitori ed a demonizzare i vinti, gli avversari. Una storia che Dora Liguori vuole ricordare per amore della verità e della sua terra attraverso questo libro che è un romanzo ma rigorosamente ancorato agli esiti di una pluriennale, accurata ricerca archivistica, con onestà intellettuale e imparzialità nel rispetto anche di eventi carichi di sofferenze umane.

In questo scenario, prima gioioso e poi drammatico, si muovono i protagonisti del romanzo: dal pappagallo Coco con il suo istruttore e valente botanico Ramon Ortega, alla giovane Piccerenella, detta anche “a cummarella ‘e don Cocò”; da donna Eleonora de Fonseca Pimentel al grande medico napoletano Domenico Cirillo; da Ferdinando IV e Carolina d’Asburgo Lorena a Oratio Nelson ed Emma Hamilton, sino al tanto bistrattato dalla storia, Cardinale Fabrizio Ruffo di Calabria. In particolare, a questo personaggio, capace di un’ impresa che neppure Napoleone avrebbe saputo emulare, Dora Liguori ritiene che andrebbe dedicata maggiore attenzione, poiché, egli, dopo aver in poco tempo, con l’aiuto di un esercito eterogeneo, composto da calabresi, pugliesi e lucani, riconquistato un regno, ebbe l’amarezza di veder invalidata la parola che, quale rappresentante del Re, e per evitare ulteriori spargimenti di sangue, aveva dato ai repubblicani, ovvero la promessa che, qualora si fossero arresi, avrebbero ottenuto salva la vita ed un dignitoso esilio in Francia. Purtroppo Nelson, incapace di sopportare le vittorie altrui, in accordo con l’odioso primo ministro Acton, ambedue desiderosi di umiliare il Cardinale, vennero meno alla promessa dell’illustre porpotrato e fecero arrestare e condannare a morte i restanti componenti della “Repubblica Napolitana”.

Come la storia ci insegna, come insegna Roma, parcere subiectis et debellare superbos, un gesto di clemenza si addice sempre al vincitore. Non si ebbe l’intelligenza di farlo. E fu un tragico errore. E per Napoli, “città della gioia” cantata da artisti, poeti, scrittori, musicisti e anche semplici viaggiatori, la tragica guerra fratricida del 1799, rappresenterà anche la fine della sua… “innocenza”.

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