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“In ginocchio da te”: ovvero Conte e Di Maio alla corte di Haftar

di Salvatore Sfrecola

“In ginocchio da te”, cantava Gianni Morandi per riconciliarsi con la sua bella, e l’espressione torna ironicamente nel momento in cui il nostro Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ed il Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, hanno offerto un accreditamento internazionale al Generale Haftar che controlla la Cirenaica nonostante l’Italia sia formalmente alleata del Presidente Sarraj che siede a Tripoli, riconosciuto dalla comunità internazionale. Qualcuno ha evocato il bacio della pantofola, considerate le antiche usanze del mondo turco-arabo. Una brutta figura la passarella dei due a Bengasi per ottenere la liberazione dei pescatori di Mazara del Vallo dopo 108 giorni di detenzione in Libia da parte di quello che è solo un capo fazione.

Il conflitto libico, ha scritto Carlo Jean su Aspenia, la Rivista di Aspen Institute Italia, “è pressoché completamente geopolitico: la Turchia, in contrapposizione con l’Arabia Saudita e l’Egitto, mira diventare una grande potenza regionale soprattutto oggi che l’Italia sembra aver abbandonato tale suo ruolo”. Quella della Turchia e della Russia è un’aspirazione antica se si pensa che nel 1855 Cavour decideva la partecipazione del Regno di Sardegna alla guerra di Crimea perché – aveva detto in un discorso alla Camera subalpina il 3 febbraio – “se la presente guerra avesse esito felice per la Russia, se avesse per conseguenza di condurre le aquile vittoriose dello czar in Costantinopoli, evidentemente la Russia acquisterebbe un predominio assoluto sul Mediterraneo, ed una preponderanza irresistibile nei consigli dell’Europa. Sia l’una che l’altra conseguenza non possono a meno che reputarsi altamente fatali agli interessi del Piemonte e dell’Italia”.

I pescatori e le loro famiglie, ovviamente, hanno gioito e a molti italiani è parso che il governo abbia saputo gestire la vicenda. Ma non è così, perché una detenzione di oltre 100 giorni di un equipaggio italiano, con l’iniziale tentativo di ricatto di promettere la liberazione in cambio di soggetti detenuti in Italia a seguito di sentenze di condanna, dimostra quanto poco credito abbia il governo italiano in Libia dove noi abbiamo grossi interessi in particolare per l’approvvigionamento di fonti energetiche di gas e di petrolio. E dove possiamo vantare un ruolo storico culturale sulle orme di Roma che nei paesi rivieraschi ha lasciato significative immagini di civiltà, le strade, gli acquedotti, gli anfiteatri, le terme, a dimostrazione che l’occupazione di quelle aree geografiche aveva un carattere inclusivo e non predatorio, come siamo abituati dall’esperienza coloniale di alcuni paesi europei.

Noi siamo, diceva sempre Cavour, che mi piace ricordare per la straordinaria lucidità con la quale ha affrontato problemi di carattere economico e di geopolitica si direbbe oggi, la porta dell’Europa sul Mediterraneo. Ma oggi non sappiamo far valere questo nostro ruolo che è naturale per un paese che ha 8000 km di coste che si affaccia come un promontorio su un mare che i romani chiaravano “nostrum”, di seguito dominato dalle flotte delle repubbliche marinare. Perdere questo ruolo è gravissimo, anche nei rapporti che abbiamo con l’Europa alla quale non dobbiamo dimostrare di saper scimmiottare alcuni stati continentali nell’ottica della cosiddetta mitteleuropa, che appartiene ad altri. Noi siamo un paese Mediterraneo, un paese di mare. “L’Italia è il mare”, ha scritto Limes dedicando un volume all’aspettativa di una nostra sempre più intelligente presenza sul mare. La mossa di Conte e di Di Maio, che hanno legittimato una delle fazioni in lotta, è quindi un errore di politica internazionale senza prospettive. La situazione, scrive ancora Jean, “è estremamente fluida e gli sviluppi sono imprevedibili, sia in Libia che nel Mediterraneo orientale. Poiché gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di impegnarsi, di toglierci la “patata bollente dal fuoco”, il “gioco” resta nelle mani degli europei. Solo una buona lettura di Clausewitz da parte del governo e uno stretto accordo con la Francia – mandando se necessario al diavolo Sarraj che non ha tenuto in minima considerazione i nostri interessi firmando il duplice accordo con la Turchia – potrebbe rimetterci nelle condizioni, se non di seconda, almeno di terza potenza regionale in Mediterraneo”.

Nulla di questo all’orizzonte.

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