di Salvatore Sfrecola
C’è stato chi, giusto ieri, alla vigilia della “giornata del ricordo”, si è scusato per le leggi razziali a nome della Famiglia reale all’epoca regnante. Le scuse sono sempre un gesto meritevole del massimo apprezzamento. Costituiscono un gesto di umana pietà per le vittime di quell’immane tragedia alla quale l’Italia ha dato un apporto limitato ma non per questo meno grave. Anche una sola vittima, infatti, avrebbe macchiato l’onore di un popolo di antica civiltà, erede della romanità sempre tollerante e permeato di spirito cristiano. Eppure non è servito ad evitare un’ingiustizia che ho fatica a capire come possa essere avvenuta. Come gli italiani non abbiano percepito l’infamia di un pubblico funzionario escluso dal suo ruolo, nonostante il giuramento di fedeltà allo Stato ed al Re, e quella del bambino allontanato dalla scuola.
Da liberale e, pertanto, lontano anni luce da ogni totalitarismo non capisco neppure come un regime che, come ha ripetutamente raccontato, tra gli altri, Bruno Vespa, godeva del consenso della assoluta maggioranza degli italiani abbia pensato un tale orrore che è anche un errore politico ad iniziativa di un leader che aveva dimostrato in altre occasioni di saper cogliere i sentimenti degli italiani, come aveva fatto nel prendere in mano, lui socialista e libertario, la fiaccola, si direbbe oggi, dell’interesse nazionale messo in forse nel drammatico dopoguerra dall’aggressione comunista, all’interno, e dagli effetti del tradimento degli alleati a Versailles.
Oggi chi si scusa in nome di Casa Savoia e del Re fa bene se lo fa in nome del popolo italiano per quelle leggi promosse dal Governo ed approvate dal Parlamento, Camera e Senato, che il Sovrano non poteva non promulgare dopo ripetuti dinieghi. Fa comodo, tanto ai fascisti ancora esacerbati per il risultato del Gran Consiglio del Fascismo che il 25 luglio 1943 restituiva i poteri statutari al Re, quanto agli antifascisti nemici del Risorgimento, scaricare le responsabilità sul Re che i più benevoli vorrebbero avesse abdicato, dimenticando che sarebbe stato un disastro a guerra perduta non avere un interlocutore con gli angloamericani per un armistizio doloroso ma necessario.
Tutti comunque fanno finta di trascurare che in un ordinamento costituzionale il Capo dello Stato non governa ed è tenuto a promulgare una legge approvata dal Parlamento. Anche oggi la Costituzione prevede all’art. 74 che il Presidente della Repubblica, il quale, prima di promulgare una legge, “con messaggio motivato”, abbia chiesto alle Camere “una nuova deliberazione”, se nuovamente approvata “deve” promulgarla (comma 2).
Spero che questa polemica ingiusta nei confronti di Re Vittorio Emanuele III finisca per rispetto della verità storica che ci dice di un Re che ha retto contro le prepotenze di un regime che si era presentato come pacificatore e, come tale, il governo presieduto da Benito Mussolini era stato accolto dalla maggioranza di una Camera (il Senato di nomina regia non dava la fiducia ai governi) liberamente eletta. Poi nel prosieguo, incrementandosi le norme liberticide, anche delle prerogative sovrane, le opposizioni si sono volontariamente messe fuori del circuito parlamentare, mentre il regime occupava tutti gli spazi, perfino nell’esercito, la cui fedeltà al Re si consigliava di non mettere alla prova, comandato da generali acquisiti al regime con promozioni ed onorificenze.
È stata una pagina buia della nostra storia con italiani che per denaro hanno denunciato ebrei ed altri che, anche nelle condizioni peggiori, nell’Italia occupata dai tedeschi, li hanno protetti e nascosti anche a rischio della vita. Come sempre le persone ignobili sono state numericamente meno di quelle che con generosità hanno fatto onore alla Patria.